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Sicurezza contro libertà

di Luca Mancini - 10/02/2017

Fonte: Appello al Popolo

 

 

Con la formula bellum omnium contra omnes il filosofo inglese Thomas Hobbes descrive lo stato di natura. Nella sua concezione, lo stato di natura è la condizione più primitiva dell’essere umano, nella quale gli uomini vivono come individui singoli dotati di una libertà assoluta. Non essendoci leggi, ognuno ritiene di avere diritti su ogni cosa e tale stato di estrema libertà si traduce, appunto, in una guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes), poiché ogni singolo individuo cerca di eliminare o danneggiare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei propri desideri. Ne consegue, perciò, che lo stato di natura per l’uomo è estremamente pericoloso, poiché esso vi vive senza alcuna sicurezza e rischia quotidianamente la propria vita per sopravvivere. Per uscire da questa perenne condizione di precarietà, i singoli individui si uniscono in una collettività e fanno un “patto sociale”, un “contratto” in base al quale essi alienano una parte della loro libertà al sovrano, il quale si fa garante di una serie di sicurezze sociali. Hobbes, con il suo ragionamento, mette a nudo una delle principali problematiche della filosofia politica: libertà e sicurezza non vanno d’accordo. All’aumento di una corrisponde necessariamente la diminuzione inversamente proporzionale dell’altra. Uno stato in cui vi sia libertà assoluta si traduce necessariamente in uno stato senza alcuna sicurezza per gli individui; al contrario, uno stato che fa della sicurezza estrema il suo caposaldo è uno stato in cui i controlli e le limitazioni raggiungono livelli inimmaginabili, fino ad eliminare quasi completamente la libertà dei singoli.

 

Ora c’è da chiedersi quanto il liberalismo e la sua visione del mondo siano vicine allo stato di natura hobbesiano, ossia alla condizione più primitiva dell’uomo. È noto come per i liberali le libertà individuali costituiscano il valore supremo. Questo porta ad una visione della società composta esclusivamente da un agglomerato di individui singoli, nella quale i soggetti collettivi (famiglia, partito, nazione) vanno serenamente estirpati, in quanto portatori di valori ritenuti potenzialmente pericolosi, nonché danneggiatori delle libertà individuali. La retorica liberale in tal senso è manifesta: la nazione è pericolosa perché porta alle guerre che massacrano poveri uomini, i partiti sono corrotti e rubano soltanto i soldi dei contribuenti, la famiglia cosiddetta tradizionale è ingiusta poiché limita fortemente le libertà e i diritti di singoli individui. In realtà, l’obiettivo è distruggere tutto quanto ciò che è collettività, applicando il classico principio del divide et impera: una società fatta di individui singoli, dove i soggetti collettivi sono ridotti al minimo, è ovviamente più malleabile e facilmente controllabile. Perciò, in nome di un’abusata libertà, vanno spezzati quei legami che, storicamente, hanno unito gli esseri umani in qualcosa di più di un mero agglomerato di volontà individuali.

 

Inoltre il sistema socio-economico connesso all’ideologia liberale, ossia il capitalismo liberista, è dichiaratamente basato sulla glorificazione assoluta della competizione fra liberi individui. Tale competizione riporta l’uomo ad una versione socialmente accettata del bellum omnium contra omnes di hobbesiana memoria, poiché grazie ad essa ogni singolo individuo ritiene di poter aver diritto su tutto. Una concezione assurda che pervade la società ad ogni livello: dalle lotte finanziarie fino alla cosiddetta “scuola-azienda”, passando per le università e gli uffici, dove ogni singolo impiegato si sente costantemente in competizione con il suo vicino. Tutto ciò a discapito di valori come cooperazione e solidarietà, che hanno la colpa di anteporre la collettività all’individuo. L’estrema competitività alla quale siamo continuamente sottoposti in questa società, in nome di un’eccessiva libertà, ci porta inevitabilmente a cercare di danneggiare il prossimo, con il risultato che viviamo perennemente senza certezze e privi di sicurezze. Il pericolo della morte fisica, che pervadeva lo stato di natura hobbesiano, in questo caso è stato sostituito da un altro socialmente accettato: il pericolo della disoccupazione che equivale alla morte sociale di un individuo. La gente, invece, è satura di false libertà e ha bisogno di rassicurazioni sulla propria vita e sul proprio futuro. Pertanto c’è l’esigenza di un nuovo patto sociale, di un nuovo contratto tra gli uomini che limiti una parte delle libertà individuali in nome della sicurezza comune e della certezza di un avvenire solido per le prossime generazioni.