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Merkel: Europa a due velocità… e a due sovranità?

di Luigi Tedeschi - 10/02/2017

Fonte: Italicum

La Merkel progetta una UE filotedesca: la sovranità degli stati è fuori dell’Europa 

 

La Merkel ipotizza una Europa a due velocità. Ma più che di due velocità, sembra opportuno pronosticare un differente immobilismo in seno alla UE, atto a cristallizzare gli attuali rapporti di dominio esercitati dalla Germania & C. nei confronti degli stati più deboli. La Germania, intanto, registra il record di surplus della bilancia commerciale che ha raggiunto i 253 miliardi nel 2016 (pari all’8,1% del Pil), in barba alle regole europee, che invece costringono l’Italia a manovre correttive a discapito della crescita. La Merkel ha comunque ribadito: “Ma non è vero che ho parlato di velocità diverse riguardo all’Eurozona, anzi l’area dell’euro deve essere coesa e continuare a sostenere tutti i progetti varati assieme come il fondo salva – Stati”. Lasciate ogni speranza, dunque riguardo all’idea di un euro flessibile, ipotesi caldeggiata anche dal premio Nobel Joseph Siglitz, che avrebbe restituito un minimo di flessibilità ai cambi e quindi favorito, oltre che la crescita dei paesi deboli, anche un maggiore equilibrio negli scambi interni alla UE.

 

E’ ovvio che tali prese di posizione da parte della Merkel scaturiscono da motivi elettorali: la Merkel deve arginare l’emorragia elettorale a destra, subita dalla CDU/CSU nelle elezioni regionali a vantaggio di Alternative fur Deutschland. Quest’ultimo partito infatti, costituisce una opposizione nazionalista contraria alla UE, in quanto interpreta il malcontento diffuso nell’opinione pubblica tedesca verso la politica della Merkel di apertura all’immigrazione e di non sufficiente rigore verso i paesi deboli della UE. Con questi ultimi, i tedeschi di A. f. D. non vogliono condividere i problemi inerenti i deficit del debito pubblico e le conseguenze delle crisi ricorrenti. Pertanto A. f. D. si oppone alla politica della Merkel perché non abbastanza restrittiva e rigorista in Europa. Un populismo nazionalista di segno opposto rispetto al resto d’Europa.


Una Europa a due velocità resterà comunque incardinata sulle regole finanziarie vigenti, onde preservare l’euro. Data l’impossibilità di una integrazione unitaria dei 27 paesi UE, si vorrebbero semmai formare due gruppi distinti: l’uno costituito dai paesi forti ed omogenei nell’Eurozona, nelle regole di bilancio e nelle riforme strutturali e l’altro dai paesi deboli, non abbastanza idonei ad integrarsi nel modello tedesco / europeo. E’ facile prevedere che si verificherebbe in tal caso anche un trasferimento dei centri decisionali (già di fatto esistente), a favore dei paesi dominanti, a discapito dei paesi deboli, che sarebbero costretti ad effettuare ulteriori cessioni di sovranità.
Si è ipotizzata una futura “Europa dei club”: sussisterebbe sempre un mercato unico, ma nelle altre sfere di competenza si darebbe luogo ad una diversificazione tra i membri UE. Tale situazione, è peraltro già in atto, dato che solo alcuni paesi fanno parte dell’Eurozona, solo alcuni paesi aderiscono all’area Schengen, solo alcuni paesi sono favorevoli al progetto difesa comune. Verrebbe quindi solo istituzionalizzata una realtà politico – economica già operante nei fatti.

 

 

Il tramonto del “sogno americano” europeo

L’Europa, a seguito della Brexit e dell’avvento di Trump alla presidenza USA, si configura come il ventre molle della geopolitica occidentale. Essa appare assediata dal protezionismo isolazionista di Trump e da Putin, con il ritorno della Russia sulla scena geopolitica mondiale. La svolta anti – europea di Trump non è altro che l’accentuazione della ostilità verso l’Europa già manifestata da Obama. La Russia, che fu oggetto di sanzioni economiche da parte della UE per la guerra in Ucraina, potrebbe bypassare le sanzioni UE attraverso un rapporto diretto con gli USA, che avrebbe l’effetto di marginalizzare l’Europa sia dal punto di vista politico che economico. Del resto, l’ “American First” di Trump non tollera rapporti paritari con l’Europa, ma piuttosto sembra orientarsi verso rapporti bilaterali con i singoli stati che accentuerebbero la posizione dominante americana.

 

L’Europa della UE è invero già disarticolata e in progressivo disfacimento: ne sono sintomi evidenti la Brexit (con possibili repliche in Francia e Olanda), e la nota ostilità dei paesi dell’est, la cui adesione alla UE è stata solo uno strumento per l’integrazione nell’Occidente americano e nella Nato.

 

Questa decadenza si è resa ancor più manifesta con la presidenza Trump. E’ venuto meno un modello ideologico americano diffusosi in Europa con la globalizzazione economica. L’Europa della UE fu concepita nell’ottica di un nuovo sistema capitalista a base finanziaria che avesse il suo rispecchiamento ideologico nel cosmopolitismo globalista, nella cultura dell’individualismo assoluto, nei costumi libertari, nella civiltà dell’immagine mediatica diffusasi nella masse europee mediante il progresso tecnologico degli ultimi decenni. E’ tramontato il mito di una Europa che fosse l’espressione di modello americano replicato in salsa continentale. E’ in crisi la visione ideologica progressista che ha costituito il fondamento del “sogno americano”, già fatto proprio dalla “generazione Erasmus”, una generazione cioè proiettata al futuro, nella misura in cui aderisse alla cultura liberal dell’individualismo, con annesso sradicamento dalla storia e dalle culture identitarie dei popoli europei.

 

In realtà, questa Europa si è integrata solo nella gabbia dell’euro, delle regole di bilancio e nelle conseguenti riforme che hanno generato la macelleria sociale subita dai popoli. Ma si è sempre dimostrata disunita e fomentatrice di selvaggia competitività tra gli accentuati egoismi degli stati.

 

Europa unita solo nella Nato

L’unico elemento unificante della UE è rappresentato dalla Nato. Infatti nel contesto della Nato tutti i membri rispettano le stesse regole, adottano le medesime politiche in tema di sicurezza, non si sono manifestati dissensi o contrapposizioni di rilievo tra gli stati, i quali anzi, hanno sempre aderito pressoché unanimemente agli interventi di aggressione armata perpetrati dagli USA. L’Europa si è riconosciuta nella sua unità, a prezzo della rinuncia alla propria sovranità, nella subalternità agli USA.
Ora nell’era Trump anche la Nato viene messa in discussione. La Nato, dopo la fine dell’URSS, si è trasformata, con l’estensione delle sue basi nell’est europeo, in uno strumento di aggressione armata al servizio degli USA nell’Eurasia, nel Nordafrica, e nel Medioriente. La politica espansionistica americana di esportazione armata della democrazia, di destabilizzazione degli stati, di polizia internazionale in sostegno del nuovo ordine mondiale si è rivelata per gli USA fallimentare, specie dopo le ultime vicende mediorientali, con l’escalation del terrorismo fondamentalista, con la comparsa sulla scena mediorientale dell’ISIS. Pertanto gli USA di Trump dovranno rielaborare la loro strategia geopolitica e necessariamente ripensare il ruolo e le funzioni degli stati membri della Nato. Non certo per ragioni etiche, ma per motivi di opportunità strategica.

 

La stessa Europa dovrebbe ripensare sé stessa, anche in tema di difesa e sicurezza. Il progetto di una Comunità europea della difesa non venne alla luce per l’opposizione della Francia nel 1954. Quindi, l’Europa occidentale, delegando la propria difesa all’Alleanza Atlantica, ha rappresentato per oltre mezzo secolo un modello di società artificiale basata sul benessere economico, cui faceva riscontro la sua irrilevanza nel contesto geopolitico mondiale: una fuga dalla storia dovuta al suo status di sovranità limitata nell’Occidente a guida americana.

 

Nell’attuale contesto geopolitico, l’Europa manifesta le proprie carenze endemiche sia nella sicurezza militare, che è stata sempre appannaggio della Nato, sia nella sicurezza territoriale, a causa dell’incontrollabilità dei flussi migratori (l’accordo / ricatto con la Turchia e quello testé conclusosi con il governo – fantasma libico ne sono la dimostrazione evidente), sia nella sicurezza economica a causa della instabilità del suo sistema bancario e delle crisi del debito irrisolte (vedi Grecia).

 

Sovranità e populismo: fuori dalla nato e fuori dall’Europa

Il vento populista soffia sull’Europa e suscita timori sempre più eclatanti nelle classi dirigenti, che vogliono esorcizzare questo spettro disgregatore della UE. Pertanto, secondo la vulgata mediatica, la disgregazione europea sarebbe dovuta alla avanzata populista: la classe dirigente al potere vuole plasmare un incubo denominato populismo (con relative previsioni – minacce di crack finanziari immani), cui imputare le proprie responsabilità circa la futuribile disgregazione della UE. Le classi dirigenti sono invece invise ai popoli, in quanto responsabili del declino economico, sociale, morale dell’Europa.

 

Per sconfiggere i populismi, secondo gli organi di comunicazione mediatica ufficiali, le attuali classi dirigenti dovrebbero farsi interpreti dei bisogni e delle aspirazioni dei popoli sempre nel rispetto dei trattati europei, data la fatalistica irreversibilità dell’euro e del processo di integrazione europeo.

 

Tale orientamento rende manifesta l’estraneità delle classi dirigenti alla realtà politica e sociale dei popoli europei. Non è possibile alcuna proposta politica se non sussiste la sovranità degli stati e non può esserci alcuna possibile riforma istituzionale di questa Europa. Perché strutturata sulla devoluzione della sovranità politica ad organismi tecnocratici finanziari oligarchici europei perpetrata da classi politiche che traggono la propria legittimazione dalla subalternità della politica dei singoli stati ai vincoli esterni imposti dalla UE.
E la sovranità degli stati e quindi dei popoli può sussistere solo fuori dalla Nato e fuori dall’Europa.