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Il Mito ci salverà

di Marcello Veneziani - 20/02/2017

Il Mito ci salverà

Fonte: Marcello Veneziani

Se la storia finisce, la politica fallisce, la ragione si spegne e la religione declina, l'economia non regge e la finanza si sgonfia, cosa può salvarci da questa corale e fatale percezione di decadenza? Solo un mito. Non un'illusione o una bella menzogna, ma un mito. Perché un mito non è verità ma non è nemmeno finzione. E' vedere il mondo con altri occhi, sotto altra luce. Il mito non è oscurantismo ma diverso splendore. Non è post-verità, curiosa ossessione di un'epoca relativista, ma altra cosa dalla verità e dalla dissimulazione.

Il mito è il fondo originario che precede la storia, la politica, il pensiero, l'arte, la religione e perfino l'economia. E' da lì che traggono spunto e incanto, è lì che ritrovano il loro impulso iniziale e la loro energia creativa. Ed è lì, nel mito, che si possono ritrovare ora che la storia e la politica, il linguaggio e il pensiero, l'arte e la comunicazione, la teologia e la fede, l'economia e addirittura la scienza, perdono la loro spinta propulsiva. Non resta che il mito, perché il mito è prima dell'inizio e dopo la fine: lo sostengo nel mio nuovo saggio, Alla luce del Mito uscito da Marsilio. Finito l'intellettuale verrà il tempo del mitoforo, dopo il filosofo verrà il mitologo?

Prendiamo il caso dell'Italia. Fosse per gli indicatori biologici, anagrafici, sociali ed economici, l'Italia dovrebbe essere già morta. Il cuore non batte, la mente non pensa o è altrove; i morti superano i nati, i vecchi superano i giovani, i singoli e i separati superano i congiunti, i pensionati, i precari e i disoccupati superano i lavoratori. Non nutre aspettative, non si cimenta in nuove imprese, si crogiola nel declino. Tutto dice, da un pezzo, che l'Italia non ha più scampo. Solo il mito la sorregge: il suo racconto, i suoi siti, i suoi simboli, il suo brand, la sua rappresentazione nel mondo mantengono in vita la sua identità. La storia d'Italia è finita, il mito d'Italia vive. Così l'Europa, in origine fu un mito. Forse riportandola al suo inizio mitico, ritirandola al suo principio, come scrive Machiavelli, sarà possibile accendere un calore di vita in questa unione incapace di darsi una linea geopolitica, strategica, militare, culturale unitaria.

Ma cosa s'intende qui per mito? Oggi i miti classici, i miti greci in particolare, ma anche le grandi narrazioni dei miti orientali, hanno una fioritura sorprendente. Però non mi riferisco a questo ritorno di fiamma degli dei antichi, ma a due cose diverse. Da una parte i miti come racconti di fondazione, richiami originari, e quel che può rientrare in un filone favoloso, suscitatore d'incanto, bellezza e poesia, grandi imprese e grandi sogni che vogliono farsi realtà. Mitica è l'infanzia, mitico è l'amore. Il mito in questa chiave è una forma mentis originaria che appartiene al nostro essere, come compresero Platone e Vico, e fior di artisti non solo romantici. Gli scrittori del mito sono belpensanti, tutt'altra cosa dei benpensanti. Ma oltre la bellezza del mito, ho tentato di tracciare un mitopensiero, e dunque una rielaborazione critica del mito.

Dall'altra parte dilagano i miti nel presente, inclusi i mitoidi e gli pseudomiti, animano la pubblicità e lo storytelling, i film, la musica e lo sport, fabbriche di miti per eccellenza; i viaggi, le esperienze eccezionali, lo stupore dei bambini e l'ardore degli amanti. I miti prendono corpo non solo sulle spoglie della ragione disfatta ma anche nel cuore dei sentimenti, dei desideri e dei sogni che abitano ogni uomo. Certo, bisogna distinguere tra i miti che elevano e quelli che portano in basso; tra gli eroi e gli idoli, tra i modelli positivi e quelli devastanti, per non dire degli usi e gli abusi dei miti in politica. Qui ci soccorre il pensiero critico che è indispensabile filtro dei miti, argine alle sue intemperanze e antidoto alle sue degenerazioni. Dietro l'angolo c'è sempre il pericolo della mitomania, del narcisismo e dell'idolatria, del raggiro tramite i miti per carpire fiducia, fama e denari. Anche le religioni quando si ritirano dal mondo lasciano una scia di miti, un alone mitologico, nel quale si ritrovano – come agli inizi – le tracce delle loro fedi. Dove finiscono le aspettative perdute della religione, dove sono disperse o deviate? Abbiamo bisogno di proiettarci fuori dall'io e dalla routine quotidiana.

Il mito è una dimensione costitutiva, essenziale dell'animo umano, un bisogno fondamentale a cui non sappiamo rinunciare; e se lo cacciamo dalla porta rientra contraffatto e subdolo dalla finestra. Ma il mito è anche il solo competitore globale della tecnica. Perché oggi solo la tecnica e il mito hanno una potenza di mobilitazione e di trasformazione del mondo perduta in altri ambiti, parlano un linguaggio universale che può essere inteso da tutti, ciascuno al suo livello, hanno insomma una vocazione planetaria a guidare il mondo. Naturalmente competitore non vuol dire necessariamente nemico, e tantomeno nemico assoluto. Mito e tecnica possono essere avversari e contendersi la guida del mondo, o concorrenti e possono compensarsi a vicenda. Entrambi sono legati in origine a un pensiero magico, teso a modificare il mondo e la sorte. Ma il mito ha carenza sul piano pratico-strumentale e la tecnica ha carenza sul piano della parola e della visione. Le mani della tecnica hanno bisogno degli occhi del mito. E l'uomo ha bisogno di mezzi per vivere e per trasformare il mondo ma anche di miti per conoscerlo e per trascenderlo. Da qui l'urgenza di ripensare i miti e di sprigionarli nella vita. Un mito ci salverà, forse.