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Fenomenologia della protesta dei tassisti

di Amdrea Cascioli - 22/02/2017

Fonte: Amdrea Cascioli

Leggo molte osservazioni sensate sulla protesta dei tassisti, perlopiù in chiave critica. Parlo di rilievi nel merito, di natura lavorativa, non delle obiezioni morali sulla liceità dei blocchi o sui saluti romani che sono invece roba a cui possono dare priorità solo la Contessa di Pietrangeli e i figli dei dirigenti all’industria dell’Aldo.

Si fa notare che il servizio, a quei costi e a quelle condizioni, non ha più motivo di esistere. Che i tassisti sono i primi ad aver approfittato del “mercato” creandone uno parallelo sulle licenze. Che sono fabbricanti di candele interessati a bloccare la marcia del progresso per salvare le loro prerogative corporative.

Può darsi che in linea di massima sia tutto vero, ma non attenua la sensazione di trovarsi a far parte di un esperimento sociale che è un gigantesco remake di Dieci piccoli indiani. Oggi tocca ai tassisti e domani ad altri ceti improduttivi, e del resto sul piano della produttività e dei costi marginali è una logica inattaccabile.

Il punto è che dalla rivoluzione industriale in avanti abbiamo sempre visto i fabbricanti di candele di oggi trasformarsi negli addetti ai lampioni a gas di domani: ogni balzo in avanti era un passaggio a una tecnologia superiore e a un modello di organizzazione del lavoro più efficiente, dove qualcuno magari inciampava per strada ma gli altri smettevano presto di mugugnare e si adattavano, spesso guadagnandoci.

Oggi non succede più perché il meccanismo si è inceppato: sappiamo che le nostre candele non hanno futuro, che continuare a produrle è poco lungimirante, e forse anche ingiusto nei confronti della società nel suo complesso. Però non abbiamo ancora nessuna idea di cosa sia l’illuminazione a gas, o perlomeno di come diffonderla assicurando il maggior benessere al maggior numero di persone.

L’unica prospettiva, per adesso, è che i fabbricanti di candele spariscano insieme a quasi tutti gli altri lavoratori dequalificati (e a buona parte di quelli qualificati “in eccesso”).

Nella migliore delle ipotesi, si possono mettere a produrre candele a cottimo, per conto di un padrone che però non li considera nemmeno suoi lavoranti - perché crede che produrre candele sia un mestiere funzionale soltanto ad arrotondare un reddito che già dovresti avere, e perché comunque il suo modello di impresa non si basa sugli utili delle candele vendute ma sulla scommessa borsistica di poterne vendere sempre di più domani.

Insomma, alla fine rimane sempre in sospeso la domanda che Clint Eastwood mette in bocca al suo Cavaliere Pallido, in un dialogo con il padrone delle miniere che vuole scacciare i cercatori d'oro:
"questi padellari ostacolano la marcia del progresso!"
"quale progresso, il loro, o il suo?"