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Progresso?

di Lorenzo Parolin - 15/03/2017

Fonte: Lorenzo Parolin

 

Nel 1950, per riuscire a far vivere in modo decoroso 100 Italiani, occorreva che 70 lavorassero sodo. Gli altri 30 erano bambini in età scolare e vecchi malandati. A quel tempo, la sanità, l’istruzione, il comparto della difesa e della giustizia, il settore bancario e assicurativo, gli stipendiati comunali, provinciali, statali e gli apparati politico-sindacali contavano in tutto poco più di tre addetti per ogni cento abitanti.

Da notare che la pratica religiosa era molto sviluppata.

È poi arrivato il boom economico.

L’elevata capacità di sfruttare le risorse energetiche naturali e l’avvento del lavoro assistito da macchinari ha consentito anche alle masse di condurre una vita agiata. Il lavoro minorile è sparito, sostituito dalla scuola dell’obbligo; la pensione ha messo a riposo chi aveva maturato 35 anni di contributi, e si sono moltiplicati i burocrati, i professionisti e i parassiti di Sistema.

A fine secolo, a lavorare produttivamente erano rimaste circa 20 persone su cento.

Poco male; c’era ancora da mangiare per tutti, ma le note dolenti incominciavano a farsi sentire. La cultura religiosa era quasi sparita; il debito pubblico era aumentato; la qualità dell’insegnamento scolastico era peggiorata; i mass media si erano specializzati ad eccitare ed intontire il popolo con trasmissioni spazzatura; i prodotti voluttuari, superflui e diseducativi erano diventati i più gettonati; la cultura del lavoro si era indebolita; gli individui erano diventati più fragili, più aggressivi, più annoiati e più esigenti; le famiglie avevano incominciato a disgregarsi con facilità; la ricerca della trasgressione si era intensificata; la malavita era dilagata ecc. ecc.

Risultato?

Il personale necessario per tenere a bada e per assistere un popolo così deteriorato è cresciuto di molto; inoltre, la qualità generale dei lavoratori attivi si è abbassata, e con essa la produttività.

Oggi, 2011, a fare lavori produttivi sono rimaste solamente 13.3 persone su cento, e pure poco motivate. Le altre 86.7, direttamente o indirettamente gravano su di esse. I bambini, gli studenti e i pensionati sono il 47,2%, le casalinghe, i mantenuti e i disoccupati sommano a 14,2%, gli stipendiati dallo Stato sono il 7.6% e gli occupati nel settore terziario (quello dei servizi ai privati e all’industria) sono il 17,7%. Agricoltura, pesca, edilizia, artigianato ed industria, i settori da cui dipendono i beni di primaria importanza, sono appena il 13.3%.

È chiaro ora perché siamo in crisi? Possono 13.3 persone, fossero anche scattanti come grilli, saziare cento bocche piene di pretese?

Riconosciuto che un cambiamento è necessario, c’è un’altra questione da dirimere: chi deve avviare i cambiamenti?

Tutti si aspettano che ad imporli siano quelli che stanno in alto, ma costoro sono gli ultimi a sentirne l’urgenza, perché essi prosperano proprio grazie alle anomalie del Sistema. Per essi, eliminarle, equivarrebbe a perdere il lavoro. Dovrà essere il popolo scottato dalla crisi a sollecitare a gran voce il risanamento, anche scendendo in piazza. In tempi brevi i manifestanti potrebbero ottenere la riduzione dei parassiti fannulloni, perché non più difendibili, ma poi, per ridurre certi burocrati, certi consulenti e certi servitori dello Stato occorrerà che ciascun cittadino lavori assiduamente su sé stesso in modo da risanarsi. Allora, non essendoci più bisogno di tante badanti sociali, gli “assistenti” in esubero sarebbero costretti a cambiare mestiere per mantenersi.

È il popolo ignorante, pigro, egoista, corrotto ed arrogante l’artefice di un progresso con risvolti così negativi! [Tratto da L6/892]

 

 

[rif. www.lorenzoparolin.it S3/72]