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Trump: il chiarimento

di Thierry Meyssan - 16/03/2017

Fonte: Megachip

 
Due mesi dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dovrebbe chiarire la sua posizione rispetto al piano dei suoi predecessori di rimodellamento del Medio Oriente allargato. Se auspica davvero di mettere fine al jihadismo, dovrà riconoscere la resilienza della Siria e riposizionare sia il Regno Unito, sia l'Arabia Saudita e la Turchia.
Nell'immagine in apertura: Dopo aver detto delle cose trancianti su diverse questioni militari, il presidente Trump si è rimesso al suo segretario alla Difesa, il generale James Mattis, per tutti gli aspetti strategici e tattici. La Casa Bianca fisserà gli obiettivi e i mezzi politici, mentre il Pentagono avrà carta bianca per la messa in opera. Questa distinzione tra politico e militare non aveva posto nell'amministrazione Obama: il Pentagono doveva sottoporre ogni azione letale alla Casa Bianca.
DAMASCO (Siria) - Al momento della nomina del nuovo Segretario della Difesa, il generale James Mattis, il presidente Donald Trump gli aveva chiesto di preparare dei piani che consentissero non tanto di spostare dei jihadisti di qua o di là, né di fare affidamento su alcuni e non su altri ma di eliminarli tutti.
Durante il suo discorso davanti al Congresso, il 28 febbraio, ha confermato che il suo obiettivo era quello di porre fine al "terrorismo islamico radicale". Per evitare errori di interpretazione, ha precisato che i musulmani e i cristiani erano le vittime di questo terrorismo. La sua posizione non è dunque contro l'Islam, ma contro questa ideologia politica che utilizza riferimenti musulmani.
Sembra che la catena di comando statunitense verrà presto aggiustata. Una volta che l'obiettivo e i mezzi sono stati fissati dal presidente Trump, i militari avrebbero carta bianca per condurre l'operazione come meglio credono. Le responsabilità sarebbero quindi condivise in anticipo: al Pentagono farsi carico delle sbavature e alla Casa Bianca delle sconfitte.
Ecco perché conviene precisare al più presto la posizione degli Stati Uniti nei confronti della Repubblica araba siriana. Dovrebbe essere annunciata il 22 marzo a Washington, nel corso di una riunione della Coalizione anti-Daesh alla quale parteciperà il Segretario di Stato, Rex Tillerson. Il minimo che possiamo dire è che per il momento nulla è cambiato su questo punto: L'ambasciatrice Nikki Haley ha sostenuto al Consiglio di sicurezza un'ennesima proposta di risoluzione franco-britannica contro la Siria e si è sorbita il sesto veto cinese e il settimo russo.
Dietro la manovra franco-britannica volta a formulare accuse senza prove, soltanto sulla base delle presunte testimonianze che sono emanazione dei gruppi aggressori, l'ambasciatore siriano Bashar Jaafari ha denunciato un tentativo inteso a giustificare un cambiamento di regime e ad assolvere Israele, colpevole di detenere la bomba atomica, nonostante il Trattato di non proliferazione nucleare.
Farla finita con il jihadismo significherebbe abbandonare il piano congiunto di Londra e Washington per rimodellare il Medio Oriente allargato e di piazzarvi ovunque al potere i Fratelli Musulmani. Ciò implicherebbe riconoscere che la "Primavera araba" fosse solo la riedizione da parte della CIA e dell'MI6 della "Rivolta araba" del 1916. Questo costringerebbe il Regno Unito ad abbandonare una carta che ha pazientemente costruito da più di un secolo; l'Arabia Saudita a smontare la Lega islamica mondiale, che coordina i jihadisti dal 1962; la Francia ad abbandonare il suo miraggio di un nuovo mandato sulla Siria; e la Turchia a smettere di sponsorizzare le loro organizzazioni politiche. Non si tratta dunque probabilmente di una decisione solo statunitense, ma va a coinvolgere almeno altri quattro Stati.
Nonostante le apparenze, questa decisione va ben oltre la Siria. Fa riferimento alla possibile fine della politica imperiale anglosassone e alle sue innumerevoli conseguenze nelle relazioni internazionali. Si tratta sì del programma elettorale di Donald Trump, ma nessuno sa se sarà effettivamente messo in opera di fronte alla straordinaria opposizione da parte delle élites USA.
Il capo dello stato maggiore congiunto, il generale Joseph Dunford, nel frattempo ha tenuto un incontro ad Ankara con i suoi omologhi russo e turco. Questo per prevenire le interferenze reciproche degli eserciti in un conflitto con molteplici attori. L'Iran non è stato invitato, considerando che sul terreno le sue forze armate - a differenza di Hezbollah - si accontentano già da molto tempo di difendere soltanto le popolazioni sciite.
Mentre l'esercito arabo siriano ha di nuovo liberato Palmira, il contingente dei militari USA presenti illegalmente sul suolo siriano è stato aumentato fino a 900 elementi. Ha attraversato il nord della Siria facendosi notare a più non posso.
La più importante questione pratica consiste nel sapere su quali truppe gli Stati Uniti intendano affidarsi per attaccare Rakka. La stampa continua a dire che il Pentagono fa conto sui curdi dell'YPG, ma altre fonti suggeriscono una possibile riproduzione dello schema di Mosul: consulenti USA che inquadrano l'esercito nazionale.
Durante l'incontro ad Ankara, il generale Dunford sembrava preoccupato da prevedibili scontri turco-curdi, dal momento che una parte dell'YPG ha scelto di porsi sotto la protezione di Damasco di fronte all'annuncio di un possibile attacco turco-mongolo.
È tutt'al più il 22 marzo che si saprà se il presidente Trump ammette che l'amministrazione Obama ha perso la sua guerra contro la Siria e se lui è davvero serio nel pretendere di voler sradicare il jihadismo. Che ne sarà poi di coloro che furono, per un secolo, i fedeli esecutori della politica britannica?
Traduzione a cura di Matzu Yagi.