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In Europa i vincitori sono i perdenti e la sinistra è destra

di Raul Ilargi Meijer - 20/03/2017

Fonte: Voci dall'Estero

Su Zerohedge, un’analisi delle elezioni olandesi, in linea con quella del professor Ellman, traccia un parallelo tra Wilders e la Le Pen. Sbaglia chi crede che quanto accaduto in Olanda si ripeterà in Francia: diverse le culture, i sistemi politici, lo spessore dei leader dei partiti anti-sistema e dei loro opponenti; a differenza di Wilders, il programma della Le Pen è ampio e dettagliato, ingloba politiche sociali di sinistra, e lei stessa è figura ben più preparata e accorta, con avversari politici tutti azzoppati. Inoltre, la Francia, a differenza dell’Olanda, sconta decenni di politiche fallimentari sull’immigrazione e una crisi economica acutissima, che rendono la situazione sociale esplosiva.

 

 

Le elezioni olandesi di mercoledì scorso ci hanno fornito moltissimi discorsi Orwelliani. Il partito di destra del primo ministro Mark Rutte (il VVD), in realtà “Il Partito degli Affari”, o per meglio dire “il partito di chi cerca una rendita”, ha perso qualcosa come il 20% dei seggi che aveva ottenuto nelle precedenti elezioni generali nel novembre 2012, passando da 41 a 33 seggi, ed è stato dichiarato il grande vincitore. Al contrario, il PVV, il partito di estrema destra di Geert Wilders, ha ottenuto il 25% in più dei seggi, passando da 16 a 20, ed è il grande sconfitto. […]

L’unica ragione per cui il VVD di Rutte ha finito per essere il partito più grande ha a che fare con Wilders. Le preoccupazioni per queste elezioni avevano tutto a che vedere con i sondaggi. Wilders è tutto il suo partito e ha un solo talento. Se dovesse mai lasciare, il suo partito si dissolverebbe. E il suo unico “messaggio” è che l’Islam è una cosa brutta e dovrebbe sparire prima dall’Olanda e poi dall’Europa. Non ha altri veri punti nel suo programma politico. D’accordo, c’è anche Bruxelles. Non gli piace nemmeno quella.

Forse è per questo che ha cercato di evitare i dibattiti pre-elettorali. Il problema è che questi dibattiti attirano molti telespettatori, e molta pubblicità gratis in TV. A dirla tutta, poiché per molti aspetti Wilders è il vero nemico di se stesso, non sorprende molto che il sostegno a suo favore sia crollato, se volessimo prendere i sondaggisti olandesi più seriamente delle loro controparti americane e britanniche. […]

Sono degli illusi tutti quelli che nell’esperienza olandese pensano di poter vedere un segno che nelle elezioni di aprile e maggio siano diminuite le probabilità per Marine Le Pen di diventare presidente. A giudicare dalle reazioni nei mercati finanziari, gli illusi sembrano essere molti. Ma la Le Pen è una figura molto meno marginale rispetto a Wilders, e di certo non evita i dibattiti. E’ vero che il suo Front National si regge su di lei, ma la Le Pen ha un programma politico molto più chiaro di Wilders.

E inoltre non ha un avversario politico come Rutte, che in patria è diventato una presenza formidabile, come sarebbe chiunque riuscisse a restare primo ministro per molti anni senza essere messo da parte. Non lo è quello che dovrebbe essere l’avversario principale della Le Pen; Hollande è del tutto fuori gioco, e non osa nemmeno ricandidarsi. Il suo partito socialista è diventato una barzelletta. Il secondo avversario più forte dovrebbe essere Francois Fillon, ma è quasi del tutto sparito da quando è formalmente indagato.

Quindi resta solo Emmanuel Macron, un indipendente senza partito e senza programma. In Francia si può venire eletti anche in queste condizioni, ma poi si finisce per avere le mani legate perché serve un Parlamento per votare le leggi.

..le sfumature del sistema politico francese hanno creato a Macron qualche piccolo problema. Il presidente trae il suo potere dal supporto di una maggioranza nella camera bassa del Parlamento, l’Assemblea Nazionale. Macron è stato ministro nei governi socialisti, ma ha lasciato nel 2016 per formare un suo movimento politico. Ora non ha nemmeno un partito, meno che mai una maggioranza. Sebbene la Costituzione della quinta repubblica francese, creata da Charles De Gaulle nel 1958, abbia allargato i poteri presidenziali, non ha permesso al presidente di governare il Paese.

Sono pochi i poteri presidenziali che non necessitano dell’autorizzazione del primo ministro. Il presidente può nominare un primo ministro, sciogliere l’Assemblea Nazionale, autorizzare un referendum e diventare un “dittatore temporaneo” in circostanze eccezionali, quando la nazione è in pericolo. Inoltre può nominare tre giudici al Consiglio Costituzionale e rinviare qualsiasi legge a questo organo. Sebbene siano tutti compiti importanti, questo non significa governare una nazione, in qualunque modo la si voglia vedere. Il presidente non può suggerire leggi, farle transitare in Parlamento e poi renderle esecutive senza il primo ministro.

Il ruolo del presidente si può definire al meglio come quello di “arbitro”. I poteri presidenziali gli danno la capacità di sovrintendere a certe operazioni e ad agire quando c’è un impedimento al normale funzionamento delle istituzioni. Quindi un presidente può intervenire se sopraggiunge una situazione grave o per sbloccare uno stallo istituzionale tra primo ministro e Parlamento, per esempio annunciando un referendum su una questione in discussione o sciogliendo l’Assemblea Nazionale.

Stando così le cose, perché tutti vedono il presidente come una figura chiave? In poche parole, è perché la Costituzione non è mai stata applicata del tutto. Qui sta la diabolica bellezza della politica francese. Una nazione che sin dalla rivoluzione del 1789 è conosciuta per l’incapacità di raccogliere delle forti maggioranze in Parlamento è stata in grado, dal 1962, di fornire delle maggioranze solide.

Forse quelli che credono che sia probabile che quanto accaduto in Olanda succeda anche in Francia sono influenzati dall’idea che entrambe le nazioni fanno parte della UE. Ma si tratta di nazioni e culture molto diverse, che hanno sistemi politici molto diversi. E la Le Pen non è Wilders. Non dice più assurdità, ha ripulito la sua immagine pubblica sbarazzandosi del padre, e tiene lontano dai riflettori gli altri estremisti che rimangono nel partito.

In Francia c’è ancora molta diffidenza sulla sua figura, ma ci sono anche molte persone che sono d’accordo con lei, con le cose che dice. Probabilmente la dichiarazione più interessante che ha fatto di recente è che si dimetterebbe se dovesse perdere il referendum sull’uscita della Francia dalla UE, referendum che intende indire se dovesse essere eletta presidente. Questo dovrebbe tenere sul chi vive Bruxelles. Marine fa le cose che dice. E potrebbe iniziare a piacere a molti francesi per questo. In un panorama politico in cui gli avversari continuano a darsi la zappa sui piedi.

Un’altra cosa sulla Le Pen è che il suo programma politico contiene alcuni punti che potrebbero essere considerati di sinistra: la settimana lavorativa di 35 ore, il pensionamento a 60 anni, una diminuzione del costo dell’energia. Il fatto è che vuole riservare queste cose ai francesi. Gli stranieri, specialmente i musulmani, non sono invitati. E poi è decisamente contraria al neo-liberalismo e alla globalizzazione:

Ne hanno fatto una ideologia. Un globalismo economico che respinge tutti i limiti, tutte le regolamentazioni della globalizzazione, e che come conseguenza indebolisce le difese immunitarie degli Stati Nazionali, spossessandoli dei loro elementi costitutivi: i confini, la valuta nazionale, l’autorità delle sue leggi e la gestione dell’economia, portando così alla nascita e alla crescita di un altro globalismo: il fondamentalismo islamico.

La popolarità della Le Pen non viene da un razzismo innato e predominante in Francia, anche se di certo almeno in parte esiste. Deriva invece dall’incredibile fallimento delle politiche francesi sull’immigrazione degli ultimi decenni. Nei sobborghi delle principali città si è permessa la formazione di ghetti nei quali le persone che vengono dalle ex-colonie francesi, specialmente dall’Africa, si sentono in trappola, senza possibilità di uscita. I francesi tendono a sentirsi superiori a tutti gli altri, e il sistema politico ha permesso che la situazione sfuggisse completamente di mano.

Ora la Francia, e l’Europa in generale, deve gestire questo pasticcio. Fino ad adesso la principale reazione europea è stata quella di trasformare la Grecia in un campo di prigionia per una nuova ondata di rifugiati e migranti. Naturalmente questo può solo peggiorare le cose. E non risolve nessuno dei problemi esistenti. E questo rende inevitabile l’ascesa di Marine Le Pen.

E anche l’ascesa di Wilders: il suo è diventato il secondo partito in Olanda, perché ha guadagnato il 33% di seggi in più rispetto al 2012, passando da 15 a 20. Questa crescita del 33%, paragonato alla caduta del 20% di Rutte, fa passare Wilders per lo sconfitto, agli occhi di molti, “rincuorati” osservatori.

I vincitori sono gli sconfitti, e come è chiaro dalle politiche sociali della Le Pen per i francesi, nei governi europei di coalizione che comprendono partiti laburisti e di destra, e nella direzione presa dal partito Democratico negli USA, la sinistra è evidentemente la stessa cosa della destra.

Orwell vince sempre. Il prossimo problema è questo: la vera sinistra non è più rappresentata da nessuno.

(traduzione a cura di @Malk_klaM)