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Nobiltà del nichilismo

di Lorenzo Merlo - 26/03/2017

Fonte: Victory Project

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Sente la potenza trascendente nichilista chi vede il permanente affanno degli uomini protrarsi fino alla sopraffazione dell’altro pur di affermare sé; chi vede che anche dopo quelle affermazioni ancora la serenità non sopraggiunge; chi sente che la livella nichilista è una modalità occidentale per accedere a dimensioni umane altrimenti lasciate al fango dei giorni. Ipotizzando che lo spirito del nichilismo abbia pari diritto di ogni altro, potremmo condividerne il messaggio, l’essenza, il valore utili al nostro equilibrio, al riconoscimento del nostro profondo sé. Il binomio è contraddittorio: è di noi tutti tanto anelare alla pace, quanto essere intolleranti. È ragion sufficiente per sospettare che la pace permanente sia una incongrua aspirazione, oppure, per creare processi autoeducativi per scoprire come abortire gli embrioni di ogni conflitto? Processi umanamente possibili o cacciati a forza dalla presuntuosa ragione entro i limitati confini delle nostre identità? Dunque buoni per prendere coscienza che la concezione meccanicistica dell’uomo non può essere estesa ad ogni sua circostanza? Se realizzeremo la rivoluzione individuale, per vivere le relazioni nel rispetto, ci avvieremo a esprimere pace senza bisogno di appellarci al diritto razionale? Avremo a quel punto realizzato il progetto del Cristo e dell’anarchia? Per intenzioni e sospetti di questa portata, incertezze di questo peso e lotte di questo valore, anche il nichilismo offre la sua spinta evolutiva. Diversamente da quanto ci sussurra con insistenza il luogo comune - qualcosa di nefasto dal quale prendere le distanze - il nichilismo non è privo di orpelli nobili. Non c’è in lui alcuna contiguità con l’indifferenza e l’apatia, nessun prodromo della depressione, non è in lui appiattire ciò che ci appare come ente, come qualcosa che abbia valore, a niente. Né ha a che vedere con l’accidia, arida mortificazione più spirituale che pigrizia materiale, che rimanda ad una inesprimibile richiesta di amore. Piuttosto, gli è proprio farci presente che elevare qualcosa al di sopra di altro, preclude allo scaturire della profonda coscienza di sé, sempre nascosta dietro le più radicate, egocentriche convinzioni. Una volta consapevoli di noi stessi, non possiamo che riconoscere la permanente arbitrarietà delle nostre affermazioni. Non possiamo che convenire che viviamo solo entro il nostro discorso, che non abbiamo altro territorio vitale oltre alla mente nella quale siamo immersi. Nel nichilismo si può quindi riconoscere un risultato evolutivo. Esso scaturisce dalla consapevolezza che tutti gli affanni sono di pari valore, che farne graduatorie - tutte egoistiche - ci può anche portare in cima, ma su vette di carta.

 

Secondo lui - il nichilismo - ogni arbitrio è arrogante, inopportuno, privo di sostanza duratura e ragione universale. Per lui, ogni arbitrio necessita ed esprime forza sopraffattrice che, per implicita natura, si realizza nel sopprimerne altre. Ogni arbitrio fa l’occhiolino alla meschinità e alla disonestà. Condotte che sciamano in noi a rotazione, secondo il disegno delle circostanze della vita. Condizioni che mortificano le nostre migliori potenzialità di realizzare vite private, relazionali e sociali via via più idonee alla bellezza. Nessuno dovrebbe esonerarsi dal mettere in moto la propria evoluzione olistica, tutti possiamo riconoscere che se ogni foglia dedicasse a se stessa tutte le energie, prima il ramo e poi l’albero ne soffrirebbero. Tutti dovrebbero secondo misura personale farsi foglia di albero. […] Dal cospetto della nostra ricerca – qualunque essa sia – c’è difficoltà ad evitare il pungente compagno di viaggio detto nichilismo. Non di rado è acuto. Spesso riesce a sciogliere nel suo acido anche le architetture più solide e belle. Non ha riguardo per niente, ma ci si può fidare, non mente mai. Merita rispetto. Uno dei suoi trucchi – ma la realtà è maschera, quindi non è un inganno – sta nel portarci a traguardare le cose, il mondo, da un punto di vista utile alla sua causa. È ammaliante. Si estende su una rete sottile, che non vediamo se non quando ci prende. E sa attendere, quindi ci cattura sempre. Tuttavia ci sono momenti in cui sembra di essere riusciti a seminarlo, il nichilismo. Accade quando capita di essere nel qui ed ora, dentro il presente, identificati con le nostre concezioni. […] Dici “io” e sei orgoglioso di questa parola. […] C’è più assennatezza nel tuo corpo che nella tua più assennata saggezza. E chi può dire a quale scopo il tuo corpo ha bisogno proprio di questa saggezza così assennata? Senza “io”, si è in una condizione nelle quale non si avverte più la separazione delle cose, semmai la loro contiguità e necessarietà. La loro imprescindibile relazione. Uno stato nel quale non si fa arte, la si è; non facciamo niente, siamo tutto. Un ritorno all’Uno, alla condizione primigenia, astorica, che non è e non può essere permanente. Così, senza fretta e senza accorgerci, ci si ritrova a riconoscere che qualunque questione intellettuale, speculativa, analitica e globale, non contiene né conduce ad alcuna verità, che non sia creata dalla sua stessa dialettica. Ogni questione è ambitale, autopoietica, si crea mentre la si pronuncia, e la si pronuncia in modo da poterla creare ed alimentare e in modo sia confacente a noi stessi. Tira acqua al proprio mulino. La questione, fuori dall’invisibile e spesso inconsapevole recinto dell’ambito, non dice più nulla, non ha più ragione d’essere. […] Tanto più un’esposizione – qualunque sia il suo oggetto – è opportuna all’interlocutore tanto più gli sembrerà accreditabile, vera. Viceversa, se è inadeguata a coniugarsi con la biografia alla quale è destinata, tanto più – anche l’oggetto apparentemente più esclusivo, sacro e bello - avrà tutte le chances per non essere comunicato, riconosciuto, valorizzato. Anzi, per non essere proprio. […]  Come la democrazia. Dopo averla concepita nella sua sicura e rassicurante purezza, siamo rimasti ancorati ai suoi bei proclami, nonostante le dimostrazioni quotidiane di quanto si siano abbrutiti e allontanati dalla propria origine, nonostante siano stati mostruosamente deformati dalla burocrazia, nonostante le stanze dei suoi palazzi siano tutte androni della corruzione, non riusciamo né a ricucire gli strappi fatti alla sua bandiera, né a rinunciarvi. Così, per quanto pare abbia espresso l’ultimo e apparentemente migliore risultato della storia, per quanto sia oggi profondamente e radicalmente criticabile, si stenta a separarsene: ce ne siamo identificati; le alternative ci appaiono inaccettabili, tutte annichilirebbero quel perno essenziale a noi stessi. Così, pur potendo immaginare quanto sarebbe bello vivere in uno stato agile e veloce, non siamo nelle condizioni di realizzarlo se non uccidendola, la democrazia. Se non tornando ad aspirare e vedere il bello - solo per alcuni - dei pugni di ferro. Se non si può ancora dire che ce lo siamo voluto, si può però dire che ce lo stiamo volendo. Non è apologia dell’assolutismo. Quella democrazia che sognavamo e volevamo ardentemente, che avevamo idealizzato a nostra migliore immagine e somiglianza, ora ci appare vestita della sua concreta, rattoppata storicità. Ora sembra accettabile, giusto, voler cambiare vestito, rinunciarvi. L’invasiva malpolitica e certamente tanto altro stanno riuscendo ad allontanarci dal desiderio di democrazia. È la storia che ci segnala quanto sia funzionale la martellante difficoltà quotidiana al sempre più diffuso auspicio di vederla risolta in tempi brevi, senza più i lunghi lacci che tessono la democrazia. […] Mentre vediamo il suo lato oscuro, scorgiamo i vantaggi di un ordine che sappiamo facilmente abbinare a governi più rigidi. È tanto più difficile abbandonare l’idea della democrazia quanto più ce ne eravamo identificati. La separazione che possiamo accettare può avvenire per gradi contigui, non improvvisamente. Diversamente, sarebbe come compiere un gesto maldestro che ci fa uscire il baricentro dalla nostra base d’appoggio. […] È un processo che avviene per qualunque idea, scelta, ambito. Necessario per salvaguardare l’identità, la sopravvivenza. Ogni compromesso che consideriamo accettabile, ogni passo esplorativo che consideriamo idoneo a noi stessi sottostà a questa legge. La morale che interessa qui, è che le cose si muovono, che la forma che meglio esprime il tempo è quella del pendolo. La sola permanenza è l’oscillazione.

 

Il nichilismo ne è una modesta constatazione. La morale è che scoprire i lati oscuri delle nostre fedi che credevamo cristalline non è che una rispettabile premessa per riconoscere che ogni oggetto della nostra attenzione è potenzialmente soggetto della medesima sorte. È lì che può farsi in noi la consapevolezza del nichilismo, è lì la sua ragione d’essere. È lì che la ragione anarchica e cristica trovano il terreno adatto al loro basamento. Non più accumulo e sopraffazione ma assunzione di responsabilità di tutto, amore. Dunque la qualità spirituale del nichilismo non è semplicisticamente negativa e sconveniente, come un becero luogo comune vorrebbe, è semmai, e prioritariamente, la sola, in grado di farci presente quanto non potremo che perpetuare la storia mentre urliamo, tutti, di volerla cambiare, migliorare, trasformare (magari affidandoci alla tecnologia). Nichilismo perciò come una sorta di El Dorado. Vetta accessibile a chi non si perde lungo la parete, attratto ora da una, ora dall’altra tra le molte linee che non portano in cima. […] L’iperbole di tale “furia del dileguare”, prodotta dalla domanda metafisica fondamentale, è rappresentata dall’ipotesi cartesiana del Dio ingannatore [...] in forza della quale anche le verità logiche e matematiche, le verità analitiche di cui si predica l’incondizionata necessità, sono sospese all’arbitrio di una potenza di non essere. […] se è proprio di Verità che si sta credendo di parlare, come fa ad essere il nichilismo una questione più meritevole delle sue antagoniste? La risposta è di quel genere che appare semplice, contenuta nella stessa domanda. È proprio dalla consapevolezza di quella insolubile contesa, da quella velleitaria e narcisistica graduatoria delle cose del mondo, che la prospettiva del nichilismo si genera in noi, che prende il valore che spetta ad ogni cartina di tornasole. Parlare di antagonismo di idee, scelte e comportamenti, riconoscerne la presenza anche in noi, nei nostri più amorevoli ed intenzionalmente univoci intendimenti, è uno dei modi per accorgerci che anche se credevamo di viaggiare soli, il nichilismo, era lì, zitto e fermo ad aspettarci. […] Lottare per il giusto non è arbitrio diverso da qualunque altro, il più odioso incluso. Pronto a dirci che la storia si perpetua su questa inesausta ruota da criceto, sola permanente Verità dei nostri giorni.