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Concorrenza tra gli ultimi

di Diego Fusaro - 30/03/2017

Concorrenza tra gli ultimi

Fonte: Lettera 43

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30 Marzo 2017

Supponete che vi siano note, notissime ditte di Monfalcone che cercano 60 operai. Supponete che “purtroppo” le ditte del cantiere di Monfalcone siano “costrette” ad assumere stranieri, soprattutto del Bangladesh: costrette, sì, perché gli italiani, abituati a vivere “al di sopra delle loro possibilità”, spendaccioni e ancora memori di quelli che una volta si chiamavano diritti e conquiste del lavoro, si “rifiutano” di lavorare nei “giorni festivi”, magari la domenica. Ecco, e ora supponete che la vostra supposizione sia realtà. Come infatti è. Quanto appena detto si sta realizzando. Non è fantasia, né complotto. È la realtà realissima in cui viviamo. E da cui, forse, possiamo apprendere qualcosa. Il Capitale - non è difficile da capire - adora l’immigrazione di massa. Giubila all’idea della possibilità di disporre di nuovi schiavi disposti a tutto, con i quali abbattere i costi della forza lavoro. Va da sé che a trarne giovamento non può essere, in alcun caso, la classe del Servo, che, per via della nuova concorrenza migrante, è sottoposta a una pressione concorrenziale al ribasso ed è costretta a combattere l’ennesima guerra tra poveri non solo nel campo del lavoro, ma anche in quello dei servizi, per il posto nelle scuole, per il letto in ospedale, per la casa popolare, per l’attesa al pronto soccorso. 

A vincere non sono né i migranti né i lavoratori, formanti entrambi il polo in divenire del nuovo Servo precarizzato: i migranti perdono, perché figurano come schiavi ricattabili e come materiale umano privato dei diritti e della dignità; i lavoratori autoctoni sono anch’essi sconfitti, giacché debbono ora competere con lavoratori migranti che esercitano concorrenza al ribasso. Vince l’élite globalista liberal-libertaria, che può beneficiare sovranamente di questa condizione di concorrenza tra gli ultimi, ma poi anche della frammentazione della coscienza di classe e dei nuovi conflitti tra lavoratori autoctoni e lavoratori migranti. A trionfare sono, dunque, una volta di più il Signore neofeudale e il Capitale, con la sua insaziabile ricerca di braccia e neuroni disposti a fare il medesimo a un prezzo più basso. Esso si giova del lavoro irregolare e a basso costo offerto dai migranti per due ragioni: a) intensifica il plusvalore, b) abbatte il costo del lavoro in generale. Per questo, gli architetti della globalizzazione promuovono i processi di immigrazione di massa (che più opportuno sarebbe appellare deportazione di massa) e, insieme, delegittimano come xenofobo chiunque osi questionare della loro intrinseca bontà.