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Fa più schifo chi ammazza i bimbi o chi se ne fa scudo per propaganda? Dietro il gas, c’è di peggio

di Mauro Bottarelli - 05/04/2017

Fa più schifo chi ammazza i bimbi o chi se ne fa scudo per propaganda? Dietro il gas, c’è di peggio

Fonte: Rischio Calcolato

Prima di tutto, un grazie a Maurizio Blondet per lo spazio e l’interesse dedicato ai miei articoli negli ultimi giorni. Ora, veniamo a noi. Avrei voluto cominciare questo articolo con una lunga carrellata di fotografie di bambini ammazzati in bombardamenti e attacchi in Yemen, Iraq, Afghanistan, Donbass: insomma, in tutti i quei posti di cui non frega un cazzo alle anime belle che da ieri stanno battendosi senza esclusione di bugie per accaparrarsi il ruolo di testimonial dell’Unicef per i prossimi 20 anni. I bambini, ecco la parola magica: gli ipocriti in servizio permanente ed effettivo da ieri hanno la loro coperta di Linus, ammorbano i social network con pensierini zuccherosi e nauseabondi, mostrano al mondo la loro sensibilità ferita attraverso concetti la cui profondità e genuinità è pari a quella di un organismo monocellulare del Borneo. Ipocriti: la guerra ammazza e ammazza anche i bambini. Erano bambini anche quelli della strage di Gorla nella mia Milano ma se provi a ricordarli invocano la legge Mancino: se ti ammazzano i liberatori la tua infanzia non conta, sei solo un danno collaterale della grande campagna in nome della libertà e della verità.

Lo stesso vale in Yemen: avete mai visto prime pagine indignate per i bambini massacrati nelle feste di nozze o nei mercati utilizzati come bersagli dai jet sauditi, armati con munizionamenti di prima categoria tutti media in USA, Germania, Francia e Gran Bretagna? Guarda caso, le stesse nazioni che oggi chiederanno la testa di Assad a quel simposio di craniolesi corrotti conosciuto come Consiglio di sicurezza dell’ONU, ente di suprema farsa di un’istituzione che ha posto l’Arabia Saudita, la stessa che fa strage di bimbi in Yemen e decapita cittadini come passatempo, a capo del Comitato per i diritti umani. E questa gente parla: non so chi mi fa più schifo, se chi ammazza in bambini in guerra svolgendo il proprio compito, per quanto aberrante o chi si fa scudo di quei corpi in nome della propaganda e delle false versioni di comodo che deve vendere alla massa, per tenerla buona e al guinzaglio. Vi fa schifo la guerra? Piangete i bambini? Riguardatevi la scena finale di “Finché c’è guerra, c’è speranza” con Alberto Sordi, eccola.

Finché c'è guerra c'è speranza – Alberto Sordi – muppets luca

 

Poi ditemi se avete ancora voglia di difendere gli esportatori di democrazia che armano la mano di satrapi e dittatori vari, gli stessi però che hanno la fortuna mediatica di stare dalla parte giusta della Storia. E che, quindi, possono ammazzare in assoluta serenità e con il silenzio assenso del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Siete pronti a rinunciare al Mac-world in cui vivete, facendo i liberal, pur di non vedere più bambini morire?

Come siano andate le cose a Idlib, pare ormai abbastanza chiaro: le truppe di Assad non hanno bombardato con gas letali ma centrato un deposito dei ribelli stipato con quel veleno, facendo sprigionare un nube tossica: non è Sarin, come piacerebbe ai Torquemada della carta stampata ma, comunque sia, ammazza. Giova farsi una domanda: che cazzo ci fanno i guerriglieri anti-Assad con armi vietate dalle Convenzioni? Giocano al piccolo chimico tra un assalto e l’altro? Pensavano che fossero innocui detersivi? Chissà se all’ONU oggi qualcuno avanzerà questa domanda? O, magari, una ancora più interessante: chi ha fornito quella merda ai ribelli, visto che non mi pare che cresca spontaneamente sulle piante siriane? Ce lo dice questa fotografia di fonte americana,

la quale mostra in tutta la sua plasticità la fabbricazione saudita degli armamenti chimici utilizzati in Siria. Guarda caso, nel dicembre del 2012, quando armare e addestrare i ribelli anti-Assad era ancora ragione di vanto e non qualcosa da fare di nascosto, fu la stessa CNN a mostrare un video in cui si vedevano militari Usa del “Destructive Wind Chemical Battalion” addestrare miliziani anti-governativi all’uso del gas nervino, con tanto di simulazione a danno di alcuni poveri conigli. Nel marzo del 2013, il 19 per l’esattezza, ecco che due attacchi chimici furono condotti nel villaggio di Khan al-Assel a ovest di Aleppo e nel sobborgo di Damasco denominato al-Atebeh. Morirono 31 civili, oltre ad alcuni soldati regolari siriani di guardia alle città. Il giorno dopo il governo siriano chiese ufficialmente all’ONU di condurre un’inchiesta al riguardo: stranamente, la richiesta non ottenne la stessa eco mediatica del Consiglio di sicurezza di oggi.

Il 30 marzo, poi, il governo turco ammise che le sue forze di sicurezza trovarono un cilindro da 2 chili di gas sarin nell’abitazione di un miliziano di Jibhat al-Nusra, gruppo terroristico operante in Siria e supportato dall’Arabia Saudita. Lo stesso Paese che presiede il Comitato per i diritti umani dell’ONU. Tanto più, poi, che gli agenti chimici di Assad sono sotto controllo della stessa ONU al 2014, quando si raggiunse un accordo e nello stesso anno fu il Massachussets Institute of Technology a smentire chi voleva le truppe lealiste come utilizzatrici di agenti chimici nell’attacco del 21 agosto 2013 a Goutha che costò la vita a decine di civili. Furono i ribelli ad usarli e questa scoperta bloccò i piani di attacco di Barack Obama, il quale aveva posto il limite della cosiddetta “linea rossa” nei confronti di Assad: attacchi con i gas avrebbero significato reazione militare Usa.

Guarda caso, quella formula è tornata a campeggiare sui giornali: Assad avrebbe superato il limite. Cosa si fa, un nuovo intervento? Queste prime pagine



paiono chiederlo a gran voce, l’ultima a dire il vero molto sobria e dubitativa nel titolo principale, salvo poi ospitare l’editoriale di Fiamma Nierenstein, la quale non sta bene se non evoca Hitler almeno una volta al giorno, caratteristica questa che le ha negato la possibilità di diventare ambasciatrice d’Israele in Italia, visto che la comunità ebraica ha eretto le barricate non appena l’ipotesi è stata paventata (tanto per farvi capire l’elemento). D’altronde, è in buona compagnia, come potete vedere:

lui, però, è uno che può permettersi di parlare di certe cose, il fosforo bianco utilizzato contro pericolosissimi civili palestinesi (anime belle dei miei coglioni, c’erano dei bambini anche lì) durante l’operazione “Piombo fuso” resta a testimoniarlo a imperitura memoria. E adesso, cosa si fa? Guerra ad Assad? Ovvero, guerra alla Russia? E chi la fa, l’Unione Europea in stile Sturmtruppen? Perché gli USA sono stati abbastanza paraculi nel gestire la situazione. Certo, hanno detto che quanto accaduto è inaccettabile e avrà conseguenze ma hanno anche sottolineato come l’accaduto sia responsabilità della linea di politica estera di Barack Obama: troppo debole con Damasco o troppo accondiscendente con i ribelli? Difficile dirlo, visto che a Washington ci sono due governi: uno legittimamente in carica e uno che opera dietro le quinte.

Il primo ha scelto la linea morbida con Assad, rinunciando ufficialmente al regime change e concentrando i suoi sforzi su tre priorità: Iraq, dove poco fa l’Isis ha fatto 50 morti in un attacco (ora controllo se ci sono bambini, in caso avverto le redazioni dei dolenti mediatici), Yemen e Corea del Nord, la quale ha appena lanciato un nuovo missile a medio raggio nel Mar del Giappone, portando gl USA a dire che “abbiamo già parlato troppo”. Ricordo a lorsignor che un giretto in Corea l’hanno già fatto, vedano un po’ se tenerne conto. Di fatto, è l’Europa che vuole chiudere i conti con Assad, senza però avere un esercito per farlo: gessetti contro il regime? Federica Mogherini, Alto rappresentante della politica estera UE, ha dichiarato che Bashar al-Assad dovrà rispondere di crimini contro l’umanità e sulla stessa lunghezza d’onda si è espresso Paolo Gentiloni: un tonante “me cojoni” è risuonato dal palazzo presidenziale di Damasco, coprendo anche i rumori del traffico infernale del mattino. Siamo all’ennesima pantomima diplomatica?

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C’è un qualcosa che deve far pensare: senza che nessuno lo facesse troppo notare, nel comunicato del Dipartimento di Stato di ieri, il numero uno Rex Tillerson diceva chiaramente che “la responsabilità morale per l’attacco chimico ricade anche su chi sostiene il regime di Assad, Russia e Iran”. Ma Tillerson non era filo-Mosca, addirittura insignito della “Medaglia dell’amicizia”, la più alta onorificenza russa per i cittadini stranieri? Sì, infatti la questione non riguarda direttamente Mosca, bensì Teheran, alla vigilia del voto presidenziale del 19 maggio scorso. E, soprattutto, all’indomani dell’incontro del 27 marzo scorso a Mosca tra Vladimir Putin e il presidente Rouhani, durante il quale il Cremlino ha confermato l’incremento del 70% di scambi commerciali tra i due Paesi nel 2016, definito da Putin “un risultato senza precedenti”.

E ancora: “Vediamo un buon potenziale nell’espansione della cooperazione nel settore petrolifero e del gas. Le nostre società hanno raggiunto una serie importante di accordi per lo sviluppo di grandi giacimenti di idrocarburi in Iran; inoltre i due Paesi cooperano nel quadro del Gas Exporting Countries Forum, in cui si stabilizzano i mercati globali del petrolio”, ha sottolineato Putin al “Teheran Times”. Rouhani, dal canto suo, ha espresso la speranza che i due Paesi “accrescano ulteriormente le proprie relazioni bilaterali” e ottenuto la rassicurazione dell’imminente adesione iraniana nella Shanghai Cooperation Organization. Le delegazioni di Iran e Russia, infine, hanno firmato 14 trattati di cooperazione che coprono vari ambiti: economia, politica, ma anche scienza e cultura. Piccolo particolare, quel consesso – la Shanghai Cooperation Organization – ha come base fondante il superamento del dollaro come valuta di scambio e riferimento globale.

Non a caso, Donald Trump ha già definito “molto difficile” l’incontro che si terrà domani e dopo in Florida con il presidente cinese, Xi Jinping, la cui agenda ufficiale parte dal protezionismo commerciale per passare alla questione coreana fino alle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale. Il Pentagono, poi, vede l’asse Russia-Iran come la minaccia principale, soprattutto perché a sovrintendere alle politiche reali dell’amministrazione Trump c’è il potente e fidato consigliere Steve Bannon, ufficiale di Marina durante la crisi degli ostaggi in Iran, uno per cui la Repubblica islamica rappresenta una minaccia ontologica. Guarda caso, una visione del mondo che accomuna anche Israele e l’eterna indecisa Turchia, tornata ieri a menar fendenti contro Mosca. Nel frattempo, dell’attentato a San Pietroburgo è sparita ogni traccia. Come non fosse mai accaduto.

C’è poi dell’altro. L’affaire russo-siriano sta silenziando al di fuori degli USA il caso Russiagate, con non poco caos attorno alla deposizione della cosiddetta “talpa”, Susan Rice, che avrebbe smascherato i rapporti di Michael Flynn con l’ambasciatore russo, portandolo alle dimissioni. Barack Obama sapeva o no di questa pletora di infiltrati? Proprio oggi il Wall Street Journal spara la notizia in base alla quale la Rice non sarebbe stata l’unica a operare in tal senso, lasciando intendere la presenza di almeno un altro funzionario di alto livello nell’intrigo. Inoltre, serve gettare una bella cortina fumogena su questo,





ovvero il sistema “Marble” svelato da WikiLeaks nella sua ultima pubblicazione di documenti, stranamente passata sotto silenzio sui media occidentali. Di cosa si tratta? Niente di che, solo del sistema in base al quale la CIA opera con tattiche di hacking che lasciano tracce in lingua russa, cinese, farsi, araba e coreana. Insomma, loro spiano, intercettano, violano e manipolano ma le briciole informatiche portano a qualche altro Pollicino. Una bella figura di merda globale, in caso si scoprisse che il famoso caso di hackeraggio al Comitato democratico altro non era se non un’operazione di false flag cybernetica dell’intelligence per montare il caso Russiagate, cosa ne dite? In giorni come questi, tornano in mente le parole di André Malraux ne “Il tempo del disprezzo”, parole che come le scritte sui muri delle celle delle galere, trasudano destini: “Bisognava attendere. Era tutto. Resistere. Vivere a rilento, come i paralitici, gli agonizzanti, con quella volontà tenace e sepolta, come un volto nelle tenebre più profonde. Se no, la follia”. Quante cose possono nascondersi dietro il corpo martoriato di un bambino siriano, ucciso una seconda volta dagli sciacalli del politicamente corretto. In nome di una libertà per conto terzi che si riduce quasi sempre a interessi poco nobili e confessabili.