Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Assad come Saddam: le armi chimiche che non ci sono

Assad come Saddam: le armi chimiche che non ci sono

di Michele Rallo - 19/04/2017

Assad come Saddam: le armi chimiche che non ci sono

Fonte: Michele Rallo

 

Il titolo potrebbe sembrare provocatorio: le armi chimiche ci sono, eccome! A Idlib hanno fatto una strage orrenda, al di là di ogni dubbio.

Eppure il titolo dice la verità. Perché Assad non ha armi chimiche nel suo arsenale, esattamente come non le aveva Saddam. L’uno e l’altro erano semplicemente degli ostacoli sulla strada del “Grande Medio Oriente” disegnato dalla strategia mondialista dei poteri forti, fortissimi che comandano a Washington come a Tel Aviv, come in certe monarchie petrolifere del Golfo.

Ma torniamo alle armi chimiche, che i paesi industrializzati hanno regolarmente utilizzato fino alla guerra cino-giapponese (1937-45), continuando poi a produrle ed a stoccarle sin quasi  alla fine del secolo scorso. Dal 1997 sono state messe al bando da una Convenzione Internazionale sulle Armi Chimiche, ma alcuni paesi (compresi gli USA) non si sono sbarazzati di tutte le rimanenze, ancorché senza più farvi ricorso.

L’ultimo paese a fare uso di aggressivi chimici è stato negli anni ’80 (quindi prima del bando) l’Iraq di Saddam Hussein, al tempo sostenuto dagli Stati Uniti nella sua guerra contro l’Iran komeinista e contro la dissidenza kurda filoiraniana. Da allora, le armi chimiche sono state utilizzate soltanto da gruppi terroristici, e con non poche difficoltà: l’unico episodio notevole è stato quello dell’attacco con gas sarin alla metropolitana di Tokio nel 1995 (12 morti e 5.000 intossicati).

Fin qui la “scheda tecnica”. Venendo invece all’attualità politica, v’è da dire che – quando la Siria nel 2011 fu invasa da potenze straniere che si celavano dietro i “ribelli” – furono in molti a sperare che Assad potesse far ricorso alle armi chimiche, in modo da avere il pretesto per un “aiutino” un po’ più esplicito ai tagliagole (come in Libia). Ma, poiché il Presidente siriano si guardava bene dal farlo, ecco che – provvidenzialmente – un episodio del genere ebbe comunque a verificarsi nel 2013. Se nonché emerse chiaramente che ad usare le armi chimiche non era stato Assad, bensì “l’esercito degli insorti”, probabilmente allo scopo di offrire una scusa ad Obama per ripetere le gesta di Libia.Lo disse anche la magistrata elvetica Carla Del Ponte, ex procuratore del Tribunale Penale Internazionale per i crimini di guerra in Jugoslavia e, all’epoca, componente autorevole della commissione ONU che indagava sui crimini di guerra in Siria: «Stando alle testimonianze che abbiamo raccolto – dichiarò la Del Ponte – i ribelli hanno usato armi chimiche.» E ancora: «Per quanto abbiamo potuto stabilire, al momento sono solo gli oppositori al regime ad aver usato il gas sarin.» Il Premio (ig)Nobel per la Pace fu quindi costretto a richiamare i bombardieri ed a fare buon viso a cattivo gioco.

A quel punto, onde evitare che qualcuno potesse ripetere il trucchetto, Assad si sbarazzò di tutte le armi chimiche che erano ancora conservate negli arsenali siriani. Americani e russi si accordarono perché gli ordigni venissero consegnati ad un custode certo non amico di Assad, la NATO, che nel giugno 1994 li imbarcò su una nave danese appositamente attrezzata, e li diede alle fiamme in pieno Mediterraneo (suscitando anche le proteste degli ambientalisti). Peraltro – ricorda in questi giorni Giulietto Chiesa – l’avvenuta consegna fu certificata anche dall’allora portavoce del Pentagono, John Kirby.

Dunque, dal giugno 1994 la Siria non possiede armi chimiche.

Ma, allora, chi – il 4 aprile scorso – ha fatto esplodere l’ordigno chimico a Idlib? La risposta logica non può essere che una: gli stessi che fecero il servizio tre anni fa, e cioè i “ribelli”, con il medesimo obiettivo: giustificare un intervento americano. Allora si sussurrò che a fornire armi chimiche ai tagliagole fossero stati i servizi segreti turchi. Ma si disse anche che quelle armi provenissero dai servizi americani: eravamo in piena stagione mondialista, con la Clinton al Dipartimento di Stato; e gli USA – si ricordi – non avevano (e non hanno) dismesso il proprio arsenale chimico. Tutte voci di corridoio – naturalmente – senza elementi che potessero essere oggettivamente riscontrati.

In questa occasione, ragionevolmente, i fornitori potrebbero essere stati gli stessi di tre anni fa. Ma – con ogni probabilità – non lo si saprà mai con certezza.

La cosa incredibile è che oggi, dopo la figuraccia del 2013, il Presidente americano abbia fatto partire una rappresaglia. E con tanta fretta, prima che una qualunque inchiesta dell’ONU potesse dimostrare che, anche questa volta, si era trattato della solita bufala ad uso dei creduloni.

Ma, a ben guardare, c’è anche un’altra differenza fra i due casi: allora c’era un Presidente che era in piena sintonia con l’ambiente bellicista delle “primavere arabe” e delle “rivoluzioni colorate”; oggi c’è un Presidente che in campagna elettorale s’era impegnato ad abbandonare quel mondo ed a cooperare con la Russia per distruggere l’ISIS e debellare il terrorismo.

Teoricamente, quindi, Trump avrebbe dovuto essere certamente più prudente di quanto non lo fosse stato Obama tre anni or sono. E, invece, è stato esattamente il contrario: missili sulla Siria, con obiettivo reale la Russia.

Il neo-presidente americano, evidentemente, è passato dall’altro lato della barricata. Là dove sono i “filantropi” che sognano la terza guerra mondiale. Perché e percome lo vedremo la prossima settimana.