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Heidegger, un'eredità essenziale nell'era della post-verità

di Annalisa Terranova - 11/05/2017

Heidegger, un'eredità essenziale nell'era della post-verità

Fonte: Lettera 43

La filosofia di Martin Heidegger, come ha scritto Massimo Recalcati, era capace di provocare traumi. Traumi positivi s’intende, di quelli che danno una scossa potente al modo di riflettere e di pensare. Per questo non passa inosservato il fatto che il 2017 è l’anno in cui si celebra il 90esimo anniversario della pubblicazione di un’opera fondamentale come Essere e tempo. Già, ma cosa può dirci ancora questo filosofo dal linguaggio oscuro (al pari di Eraclito che tanto lo affascinava) e compromesso con il nazionalsocialismo (sebbene non nella misura esagerata che vorrebbero i suoi detrattori)?

LA RIVOLUZIONE COGNITIVA. Ebbene, questo pensatore attento alle parole come un chirurgo chino sul lettino operatorio pretenderebbe di trasformare gli uomini in “pastori dell’essere”. Una vuota definizione? Non esattamente. Qui avviene la prima rivoluzione cognitiva: l’uomo non è colui che “pensa dunque è” (Cartesio) ma colui che sperimenta il Dasein (l’esser-ci). Lo stare dentro una situazione con la possibilità di poter attuare qualcosa, di poter progettare qualcosa. Questa potenzialità che rende tutti uguali e allo stesso tempo tutti diversi somiglia molto al concetto cristiano di “libero arbitrio” (di qui l’attenzione del pensiero cattolico agli scritti di Heidegger) e allo stesso tempo fonda quell’esistenzialismo che non poteva non piacere ai marxisti delusi dal marxismo e dal suo presunto rigore scientifico.

L'UOMO COME PASTORE. Per Heidegger al contrario non vi è nulla di scientifico nel linguaggio che cerca di appropriarsi dell’essere: l’uomo vigila come un pastore appunto sull’essere che si disvela e lo coglie non nel linguaggio della scienza ma in quello della poesia. «Il linguaggio è la casa dell’essere. In questa dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i guardiani di questa dimora». Cosa deve fare l’uomo per cogliere questa “rivelazione”? Il suo giusto atteggiamento sarà quello del silenzio per l’ascolto dell’essere, un atteggiamento di abbandono (Gelassenheit) che rende l’uomo veramente libero e allo stesso tempo emancipa la filosofia occidentale dall’errore di Platone che aveva degradato la metafisica a fisica.

Plato Symposium Papyrus

Estratto del Simposio di Platone.

Cosa aveva combinato Platone? Allontanandosi dai presocratici aveva confuso l’essere con la ricerca dell’essenza delle idee. Ma non nel mondo degli oggetti dobbiamo cercare il senso dell’essere e neanche nel “teatro della mente” che conosce. Questo dualismo è superato da ciò che Heidegger cerca di dirci: l’uomo è una situazione emotiva, è gettato nel mondo e comprende il suo significato perché si prende cura delle cose che vi sono in esso e le utilizza. La “cura” è la modalità dello stare nel mondo, un progetto che è iscritto nel tempo, ed è dunque un esserci storicizzato.

ESSERI DENTRO UNA STORIA. Tantissime cose ha da dirci Heidegger, allora. Ci ricorda che noi siamo umani in quanto percepiamo il nostro essere gettati nel mondo, ci ricorda ancora che siamo esseri dentro una storia, e dunque siamo esseri finiti, sovrastati dalla morte come “possibilità permanente”, e ci dice da ultimo che non possiamo fare altro rispetto a questa condizione che affinare il linguaggio affinché l’essere (che coincide con la verità ricercata dai filosofi) trovi una via per rivelarsi. La modernità di questo pensatore è impressionante. Impressionante è la sua accusa all’esistenza inautentica, sciupata in un vortice di fatti, in un linguaggio che si trasforma in chiacchiera, in una inconsapevole fuga dalla paura della morte.

L'ONTOLOGIA DIVENTA ESISTENZIALISMO. La vera esistenza si ha invece quando si riesce ad accettare l’angoscia della morte come visione del nulla (la possibilità che tutte le altre possibilità divengano impossibili). Ed ecco che l’ontologia di Heidegger diviene esistenzialismo, con la denuncia finale, quasi mistica, dell’esistenza inautentica degli uomini che si nutrono delle fede nella tecnica. Un elemento che riconduce Heidegger nell’alveo di quel pensiero della crisi che tanto ha influenzato le vicende europee tra le due guerre mondiali. Un pensiero rivalutato e riscoperto (non solo puntando su questo filosofo ma anche su autori come Carl Schmitt ed Ernst Jünger) nell’età della morte delle ideologie, quasi a volervi trovare indicazioni per una via oltre il nichilismo occidentale, le distruzioni della modernità e la perdita di fiducia nel progresso.

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Sarebbe tuttavia sbagliato giudicare il pensiero di Heidegger come una forma di nostalgia per il passato o, peggio, come pilastro di una mentalità conservatrice. Per l’autore di Essere e tempo infatti il dominio della tecnica sta nel destino dell’Occidente, nella sua scelta di fare dell’uomo il padrone dell’ente: la tecnica è dunque l’esito scontato di quello sviluppo per cui l’uomo, dimenticando l’essere, si è lasciato travolgere dalle cose, rendendo la realtà puro oggetto da dominare e sfruttare.

UNA EREDITÀ ESSENZIALE. Accanto all’attualità di Heidegger come pensatore della crisi non possiamo fare a meno di rivalutare la sua attenzione per il linguaggio, che fornì all’allievo Hans Georg Gadamer gli strumenti analitici per definire il “circolo ermeneutico”, cioè quell’opera di interpretazione, del dare significato alle cose, che è attività umana per eccellenza. Proprio su questo terreno l’eredità heideggeriana è essenziale: il suo richiamo a guardare “alle cose stesse” e non alle cose così come sono state pensate prima, e non lasciandosi tentare dai “si dice”, appare importantissimo nell’epoca della post-verità o della verità liquida, multiforme, mai definita stabilmente.

INTERPRETARE IL NOSTRO TEMPO. Gli esercizi ermeneutici di Heidegger non a caso si rivolgevano ai pensatori greci presocratici (i quali avevano capito che la verità è disvelamento dell’essere) e a un altro filosofo che utilizzava le metafore poetiche più del procedimento razionale, cioè Friedrich Nietzsche. Il pensiero che c’era prima della metafisica di Aristotele e il pensiero che la distrugge. Ciò fa parte della nostra coscienza di occidentali, della nostra memoria culturale, ciò ci fornisce l’impronta per interpretare il nostro tempo e ci restituisce anche il senso storico di esso. In pratica Heidegger ci spiega come siamo adesso, al termine di un processo in cui la metafisica si invera nella tecnica ma sempre in attesa di un futuro che può concretizzarsi nell’Evento (Ereignis) capace di dare una svolta al tutto, purché l’Essere si riveli, si stanchi di stare nascosto e di parlare solo attraverso le rime dei poeti.