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Autocoscienza dei popoli

di Ilio Barontini - 14/05/2017

Autocoscienza dei popoli

Fonte: Appello al Popolo

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Ora vi racconto alcune cose a cui ripensavo questa mattina, e visto che tante persone che leggono quello che scrivo vivono in Russia da tanto tempo o sono Russi mi smentiranno se esagero. Alla fine degli anni ’90 andavo già avanti e indietro dalla Russia ed ho conosciuto alcuni Italiani che ci andavano più spesso di me per lavoro o addirittura ci vivevano. Lo spirito di queste persone, con rarissime eccezioni, era in niente diverso da quello del governatore britannico della Tanzania. L’opinione comune era che i Russi non valessero niente, non sapessero fare niente e non avessero nemmeno voglia di provarci e potessero quindi avere una remota utilità solo mettendoli in quindici a fare il lavoro che avrebbe fatto un Italiano per aiutarci a prendere roba dal loro paese (perché loro, ovviamente non erano neanche capaci di raccogliere le pepite nel loro cortile) e portarla da noi. Oggi può sembrare una cosa folle, ma non dimentichiamo che negli anni Novanta noi avevamo il boom delle PMI e dei distretti industriali e loro erano nella crisi più nera. Un operaio in Italia guadagnava cinque volte quello che guadagnava un professore universitario in Russia (quando, e non era certo, veniva pagato). Non parliamo poi di come venivano considerate le donne dai nostri baldi connazionali in trasferta. Mi ricordo ancora un pranzo al ristorante in cui, nel tavolo vicino al nostro, un commesso viaggiatore di Ferrara teneva una lezione magistrale sul tema “la prima regola è che qui gli uomini sono tutti ladri e le donne sono tutte troie”. La preoccupazione di dimostrare questo teorema era pari solo a quella di convincere un cameriere prevedibilmente perplesso a organizzargli il conto in modo che sembrasse che le portate dei suoi sei commensali fossero state consumate da una sola persona, per il rimborso dalla ditta. Tutto questo, pur essendo abbastanza vergognoso, non era la cosa più vergognosa. La cosa più vergognosa è che tanti Russi sembravano, a tutti gli effetti, essere d’accordo con noi nel considerarci oro e nel considerarsi merda. C’è stato un periodo in cui pareva non ci fosse un limite al livello di umiliazione che la maggioranza della popolazione era disposta ad accettare ed al livello di presunzione che gli italiani in Russia riuscivano ad esprimere.

 

Questa mattina ero in coda sulla via Toscana, e ricordavo tutto questo riflettendo sul fatto che la bretella fra Pianoro e San Lazzaro di Savena è una priorità regionale ed ha gli stanziamenti dal 2011 (se non ricordo male) e a quanto pare sarà pronta più o meno nel 2019, ovvero grosso modo assieme al Ponte di Kerch, un ponte autostradale e ferroviario di 19 chilometri che i Russi hanno iniziato a progettare nel 2014 e di cui stanno completando il terzo ponte tecnico di costruzione da 5 chilometri in questi giorni. Insomma da quella volta, come ampiamente noto, alcune cosette si sono messe a posto. E non è tutto. Credo che quella riserva di umiliazione bruciante sia il propellente che ha tirato fuori la Russia dal buco in cui era sprofondata e che la spingerà verso vette degne di lei e le consentirà di stupire il mondo respingendo qualsiasi tentativo occidentale di riaffondarla in quel pozzo nero attraverso le solite manfrine colorate. Di quegli anni loro non parlano volentieri. Ma se li ricordano. Oh, se se li ricordano… Ma lo spettacolo di come è cambiata la considerazione di sé stessi degli Italiani e dei Russi negli ultimi 20 anni, spettacolo che si riflette nei reciproci rapporti, è importante anche perché illumina il meccanismo attraverso il quale si sviluppa in una nazione presunzione, arroganza, razzismo e mentalità coloniale, e attraverso il quale ci si adatta a subirli. E ci dice che questi meccanismi sono reversibili in relativamente pochi anni attraverso una azione politica consapevole e potente, anche in situazioni di partenza quasi disperate. Se per l’Italiano la Russia negli anni Novanta era “il Congo con la bomba atomica” (non è mia, mi ricordo ancora questo titolo su un giornale), un paese da sfruttare e colonizzare abitato da una umanità sottosviluppata, mentre oggi è qualcosa da temere o da ammirare (a seconda dei gusti) ma comunque certamente in nessun caso da disprezzare… Se per i Russi gli Italiani negli anni novanta erano intelligenza, estro, ricchezza, cultura (questa è particolarmente spassosa) ed ora sono dei poveri presuntuosi che abitano una colonia insignificante e cercano di vendere paccottiglia più scadente di quella dei cinesi a cento volte il prezzo di mercato… Questo significa che tutto può cambiare in pochi anni. È una lezione che ci dobbiamo ricordare e che dobbiamo conservare per quando saremo (manca poco) una grande Grecia ridotta alla fame ed alla disperazione, tradita dalla politica di ogni colore, con i giovani che sperano di poter scappare in Inghilterra in Germania o in Australia e con il complesso di inferiorità generosamente inculcatoci dal Prof. Monti (gli Italiani devono cambiare), che deriva dalla coscienza di essere incapaci, pigri, corrotti, in sostanza di meritare tutto quello che ci accadrà per il fatto di essere peggiori di tutti gli altri. Tutta la boria di Americani, Tedeschi, Inglesi ed Eurosatrapi assortiti è comprensibile e naturale, perché nessuno può resistere alle lusinghe di una lunga fortuna e di una lunga ricchezza senza pensare di essere migliore (e noi dovremmo ricordarcelo). Quanto al nostro senso di inferiorità, esso è il piedistallo su cui si eleva la presunzione dei nostri padroni. Sta e starà sempre più a noi decidere quando basta, quando alzarci sulle nostre gambe e guardare negli occhi chi si crede migliore di noi. Come per la Russia degli anni Novanta, dipende dalle circostanze esterne, ma dipende tanto anche da noi. Spero che più aspetteremo, più accetteremo umiliazioni, più sarà irresistibile la ribellione quando alla fine si scatenerà. Dibattito sulle unioni civili permettendo.