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Qual è l'Italia migliore?

di Francesco Lamendola - 24/05/2017

Qual è l'Italia migliore?

Fonte: Il Corriere delle regioni

 

 

 

 

Il 20 maggio 2017, in Italia, si sono svolte, contemporaneamente, due manifestazioni molto diverse. A Milano, la marcia contro i muri; a Roma, la settima edizione della marcia per la vita. I mass media ci hanno bombardati con le notizie della prima, hanno passato praticamente sotto silenzio la seconda. Il mondo della politica e della cultura era pressoché tutto a Milano, a sfilare coi centri sociali e con gli immigrati che pretendono accoglienza e cittadinanza. 

La differenza, diremmo antropologica, fra le due manifestazioni, emerge già dal nome che si sono scelto. A Milano, si sfilava contro; a Roma, si sfilava per. A Milano, c'era un nemico esplicito, diretto, da distruggere: il pregiudizio, l'egoismo, il populismo, il razzismo, persino il fascismo. A Roma, c'era in primo luogo un obiettivo positivo: affermare la priorità assoluta della famiglia, e di conseguenza, la sacralità della vita, sempre e comunque. 

Sorge la domanda: dov'era l'Italia migliore: a Milano o a Roma? 

Vediamo. A Milano c'era tutto il mondo politicamente corretto: c'era il sindaco, cera il presidente del senato, c'era il capo del governo, c'erano gli esponenti del partito di governo (peraltro contestatissimi, da sinistra, perché non abbastanza "accoglienti" verso gli stranieri, al grido di: Nessuno è illegale; e c'erano gli artisti, l'attore Moni Ovadia, il cantante Roberto Vecchioni. Poi c'erano i soliti preti di sinistra, senza dubbio incoraggiati dal fatto che il papa Francesco si è erto a supremo difensore dei diritti dei sedicenti profughi, primo dei quali l'accoglienza indiscriminata. C'era la leader storica del Partito Radicale, Emma Bonino, forte dell'eredità morale, si fa per dire, del defunto Marco Pannella; e c'erano, idealmente, se non fisicamente, i vari monsignori Galantino, Paglia, eccetera. Era la loro giornata, era il loro palcoscenico: il palcoscenico permanente dei progressisti. I progressisti vivono sempre come se fossero a teatro: hanno bisogno di un palcoscenico sul quale agitarsi, per far vedere che ci sono, che sono vivi. Ma lo sono davvero? In quei volti decrepiti, in quegli sguardi ottusi, in quelle fronti basse, in quegli slogan triti e ritriti, in quei gesti stanchi, ripetitivi, consumati e usurati dalla retorica, da trenta o quarant'anni di iterazione incessante, c'era tutta l'Italia del '68 studentesco e contestatore. Sono andati al potere, ma contestano ancora, magari per finta: ne hanno bisogno per giustificare la propria esistenza. Guarda caso, erano allineati sulle posizioni di George Soros, del grande capitale finanziario, delle multinazionali: bella compagnia per gli ex compagnucci sessantottini, complimenti. Hanno fatto una brillante evoluzione: nel '68 manifestavano contro l'intervento americano nel Vietnam, ora manifestano per il diritto di due sodomiti di affittare l'utero di una donna povera e portarle via il bambino. Allora odiavano il capitale, ora sono dalla sua stessa parte; logico: hanno costruito su di esso le loro carriere. E non demordono. Vecchi, grinzosi, rattrappiti, non smobilitano, devono far vedere che sono sempre sulla breccia, sempre dalla parte "giusta", sempre battaglieri e indomiti, a lottare per i sacri diritti dell'uomo e del cittadino. La signora Bonino, per dirne una, allora mostrava come si infila una pompa da bicicletta nell'utero di una ragazza, per aiutarla ad abortire - la gloriosa legge 194 del 22 maggio 1978 non era ancora arrivata: quella, incredibile acrobazia verbale, sulla tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza - e adesso tiene in mano anche lei gli striscioni, fianco a fianco con Sala e con tutti gli altri, per far vedere che lei c'è, che è sempre giovane dentro, che ha sempre a cuore il problema della giustizia, dei diritti, insomma per far vedere, come direbbe don Lorenzo Milani (recentemente riabilitato con tutti gli onori da papa Francesco e dai suoi corifei, come lo storico catto-progressista Alberto Melloni), che lei si fa carico, si prende cura: I care, me ne importa. Che brava; che bravi tutti quanti. In fondo, si stanno auto-celebrando: sono scesi in strada per dire: Vedete che avevamo ragione noi? Vedete che la storia ci dà ragione? E non si accorgono di essere, invece, in stridente contraddizione con se stessi: allora erano contro i poteri forti, ora sono dalla stessa parte. Perciò, i casi sono due: o i poteri forti sono diventati "buoni", si sono convertiti sulla via di Damasco e stanno mettendo a disposizione della giustizia e de della libertà i loro immensi patrimoni, oppure sono questi vecchi arnesi del '68, queste cariatidi del passato, queste mummie che fingono d'essere ancor vive, ad avere compiuto in se stesse una vera e propria mutazione genetica. Solo che non lo sanno, o non lo vogliono sapere, o non lo vogliono ammettere: e fanno ciò che fanno, da che mondo è mondo, tutti i patetici, pietosi bugiardi di questa terra: si comportano come se gli altri fossero ciechi e scemi, come se gli altri non vedessero e non capissero, come se gli altri non ricordassero nulla e prendessero per buone le loro chiacchiere, invece dei fatti. In fondo, disprezzano l'intelligenza altrui. Ed è proprio così: è il vecchio, eterno, inveterato vizio dei progressisti: a forza di credersi intelligenti, più intelligenti di tutti, perché stanno dalla parte del progresso, che è, per definizione, intelligente (cosa, questa, tutta da dimostrare), finiscono per sottovalutare rozzamente, grossolanamente, le facoltà raziocinanti altrui. Si comportano come se tutti quanti fossero così scemi da non vedere, né capire, che razza di sciocca e brutta commedia stanno recitando costoro, e con quale desolante mancanza di fantasia. Una idea nel cranio, infatti, non ce l'hanno: hanno solamente slogan e frasi fatte, tiritere preconfezionate, oltretutto infarcite della retorica più bolsa. Contro i muri? Ma per piacere! Chi sarebbe capace di vivere in una casa senza muri, a tremare di caldo e di freddo, esposto all'irruzione del primo intruso o malvivente che ne abbia voglia? Meglio ancora: che razza di casa è, una casa senza muri? Sono pure ignoranti, non conoscono neanche la lingua italiana: forse volevano dire: contro le mura. Le mura di una città, per esempio, come usava nel Medioevo. Ma anche quello sarebbe un discorso sciocco: le mura servono, eccome. Le mura proteggono, le mura sostengono, le mura permettono di definire la propria identità, di costruire uno spazio di autonomia. Le mura trattengono le forze esterne, quando si fanno minacciose: come le dighe, come gli argini, come il perimetro di una centrale idroelettrica. Non è vero che chiunque può entrare: se entrasse un malintenzionato, i primi a soffrire sarebbero i più deboli, i più indifesi. 

Ebbene: è proprio quello che sta accadendo. Dietro le belle parole d'ordine di questi signori del Progresso, c'è la realtà di un pauroso impoverimento degli italiani (e degli europei), una precarizzazione dei lavoratori, una ghettizzazione dei pensionati, una emigrazione forzata dei giovani laureati, uno sbarramento contro la nascita dei bambini, e, una volta nati, contro il loro diritto a essere quel che sono: bambini. No: li si vuol trasformare precocemente in adulti; devono studiare l'inglese e l'informatica già all'asilo, in modo da entrare al più presto possibile nel circuito produttivo. Cioè, in altre parole, devono affrettarsi a diventare carne da macello per i finanzieri come George Soros, che stanno realizzando immense fortune sulla miseria crescente di miliardi di esseri umani.  Che ne sanno, Renzi e Gentiloni, Grasso e Boldrini, Sala e Camusso (ineffabile Camusso!, sempre dalla parte dei più deboli, vero?; tutto sta a vedere chi è davvero il più debole, in questa fase storica: qui c'è un ritardo culturale, da parte della sinistra, di almeno mezzo secolo), che ne sanno, infine, di come si vive in un quartiere degradato, pieno di spacciatori nigeriani e di prostitute congolesi, coi rapinatori albanesi che ti entrano perfino in casa, con gli inquilini dentro, senza paura di nulla, tanto, anche se li arrestano, due giorni dopo un giudice di sinistra li rimanderà liberi? Che ne sanno di come vivono due anziani pensionati i quali, dopo una vita di lavoro, sono costretti a lasciare la loro casa, perché la vita, in quel condominio, è diventata impossibile? E, se pure lo sanno, che volete che gliene importi? Del resto, se qualcuno facesse loro queste domande, essi avrebbero la risposta pronta, secondo la regola che la miglior difesa è l'attacco: Ecco, qui si vuol montare una guerra tra poveri; non bisogna contrapporre il disagio dei nostri poveri con le necessità dei profughi: siamo tutti figli di Dio, non è vero? Lo dice anche il papa! Già: peccato che siamo figli di Dio solo a parole; mentre, nei fatti, loro vivono nelle loro ville in collina, immerse nel verde, con la servitù che sbriga tutte le incombenze e le forze dell'ordine che montano la guardia giorno e notte; mentre i poveri italiani, o i lavoratori e i pensionati impoveriti da questo sistema finanziario mostruoso, lo stesso che sta manovrando le invasioni mascherate da migrazioni, e che si sta servendo di questi africani ed asiatici per realizzare i suoi scopi reconditi (per esempio, far crollare il costo del lavoro, in Italia e in Europa, mediante una spietata concorrenza tra proletari in cerca d'impiego), restano sprofondati nei loro problemi, senza nessuno che si curi di loro, persino con la beffa delle tasse sul misero rimborso che hanno patteggiato, in quanto risparmiatori truffati, dai bancarottieri fraudolenti. E a tutti questi problemi ora si aggiunge anche l'invasione dei falsi profughi, che, all'ombra di un buonismo d'accatto, di una insopportabile retorica pseudo umanitaria, stanno completando, pezzo a pezzo, l'invasione del nostro Paese. 

Ma erano in centomila, dirà qualcuno: vorrà pur dire qualche cosa; in democrazia, bisogna rispettare le opinioni di così tante persone. Tante? L'Italia ha sessanta milioni di abitanti; a Milano, c'erano 100.000 persone. Non si sono visti molti pensionati, molti operai, molte facce di lavoratori; sindacalisti, quelli sì: ma lavoratori, no. I lavoratori la pensano in tutt'altro modo; i lavoratori, in Francia, hanno votato per Le Pen, non certo per Macron. E c'erano le facce degli studenti, dei soliti saputelli figli di papà, quelli che hanno capito tutto e non hanno bisogno d'imparare nulla, tanto meno dagli anziani: brutte copie dei loro babbi e dei loro nonni sessantottini, che già non erano, all'epoca, un bel vedere. Infine, moltissimi immigrati, e chi sa quanti clandestini: così come clandestino era l'uomo del Gambia che, quello sesso giorno, a  Napoli, aggrediva e feriva due giovani per la strada, così, per pura brutalità, o magari perché drogato, o ubriaco, vallo a sapere. Tanto, che importa perché lo ha fatto? Era un negro, era un profugo, era una persona bisognosa di accoglienza: si sarà trovato in uno stato di “disagio ambientale”: via, ragazzate, nulla di grave, e subito un magistrato progressista lo farà rilasciare, magari con tante scuse; in attesa del prossimo reato, forse del prossimo cadavere. Perché senza cadaveri - ma anche coi cadaveri, come quelli dei due anziani coniugi di Mineo, trucidati in casa da un profugo ivoriano, lei anche stuprata e gettata dalla finestra - nessuno si preoccupa.

E a Roma, chi c'era? C'erano migliaia di famiglie, di persone preoccupate per il futuro, di uomini e donne innamorati della vita e coscienti della sua sacralità; c'erano, horribile dictu, dei cattolici che intonavano l'Ave Maria (e non si può dire che la Chiesa, quella ufficiale, li abbia incoraggiati molto: sarebbe più esatto dire che li ha sopportati, considerandoli, in fondo, dei buoni diavolacci, ma terribilmente ingenui e anacronistici, perfino un po' guastafeste); c'erano gli uomini e le donne del Paese reale, non i ragazzi dei centri sociali, quelli che hanno dei figli da mandare a scola, una casa da pagare, un lavoro da conservare; quelli che non considerano l'aborto come una soluzione a una gravidanza indesiderata, né l'eutanasia come la soluzione a una malattia inguaribile. Strano: i preti e i vescovi avrebbero dovuto essere lì, con loro, almeno in senso ideale; invece non c'erano; e molti, moltissimi, erano, almeno idealmente, a Milano, con l'altra manifestazione. Infatti: è più facile parlare del dramma dei migranti che rischiano d'annegare, che si vede, che non del dramma dei nascituri cui viene negato l'accesso alla vita, che non si vede. È più facile versare lacrime sul cadaverino di un bimbo straniero, portato dalle onde sulla spiaggia, che non su sei milioni di futuri bimbi, nostri, eliminati negli ospedali a cura della sanità pubblica e privata, e gettati nei cestini della spazzatura, tutto secondo le regole e tutto a termini di legge: e, cosa più importante, senza che se ne parli mai. Infatti, parlarne equivarrebbe  a ledere un sacro diritto delle donne, faticosamente conquistato a prezzo di cento battaglie, e ormai definitivamente acquisto, non solo a livello giuridico, ma anche a livello intellettuale e morale. 

Ma forse il Paese vero era quello, quello di Roma; quella era l'espressione del comune sentire del popolo italiano. A Milano non c'era il popolo, c'era una folla: sponsorizzata dai mass media, corteggiata, o piuttosto strumentalizzata, dai poteri forti, incensata dagli intellettuali "progressisti" e dagli artisti "impegnati", sobillata dal papa modernista e dai preti di sinistra. Il paese vero, in Italia come ovunque, non è globalista, è sovranista: ha capito quale sia la posta in gioco, e si sta svegliando, si sta mobilitando, lentamente e silenziosamente, senza clamori e senza piazzate, girotondi o piroette, con dignità, con decoro, con senso di responsabilità. Del resto, sono gli altri, quelli di Milano, che dovrebbero farsi qualche domandina, per coerenza e per rispetto verso se stessi: se si ritengono gli eredi del "popolo di Seattle", cioè di un diffuso sentimento di rifiuto e di protesta verso i meccanismi spietati della globalizzazione, come mai, adesso, con il benevolo sostegno dei Soros e dei Rockefeller, stanno dalla parte della globalizzazione? Se erano contro i "ricchi", come mai vanno a comperare un figlio da una madre povera? Come mai agiscono come neppure il peggior Thénardier de Les miserables avrebbe mai osato agire, cioè approfittandosi, con il più cinico disprezzo, di chi, trovandosi nel bisogno, sacrifica perfino la creatura delle sue viscere?