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Visioni del mondo

di Guido Dalla Casa - 25/05/2017

Visioni del mondo

Fonte: Guido Dalla Casa

Quando si parla di ecologia e protezione della Natura, occuparsi di “visioni del mondo” sembra una cosa più astratta, o meno pratica, rispetto a dare consigli sullo smaltimento dei rifiuti o la salvaguardia delle foreste, ma è soltanto perché parlare di visioni del mondo ha effetti a scadenza molto lunga. Sono però aspetti che toccano più in profondità il comportamento e gli atteggiamenti, rispetto ai consigli pratici immediati di ecologia spicciola.

La visione del mondo più diffusa oggi nella cultura occidentale (e praticamente in quasi tutto il mondo) è quella cartesiana-newtoniana, così battezzata da Fritjof Capra ne “Il punto di svolta”.  Ma riassumiamo qualche fondamento delle conoscenze più propriamente attuali:

– Né la Terra, né il Sole, né niente altro sono “al centro”: gli astri sono tutti ugualmente granelli nel mare dell’Infinito. Non c’è nessun centro di alcun tipo.

– L’umanità è una specie animale comparsa su uno dei tanti pianeti solo tre milioni di anni fa (assumendo come origine convenzionale l’esistenza della nostra cara antenata Lucy), contro i tre o quattro miliardi di anni di esistenza della Vita sulla Terra e i quindici o venti miliardi trascorsi dalla presunta nascita dell’Universo, ammesso che il Tutto non sia qualcosa di pulsante ciclicamente da sempre.

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Ci vuole una bella presunzione a pensare di “migliorare” ciò che ha impiegato quattro miliardi di anni per divenire ciò che è. L’umanità fa parte in tutto per tutto della Natura. I fenomeni vitali sono uguali in tutte le specie.

– La cultura occidentale ha solo due o tremila anni, la civiltà industriale ha duecento anni: si tratta di tempi del tutto insignificanti. Anche l’idea maniacale del progresso ha una vita brevissima, non più di due o tre secoli. La divisione fra preistoria e storia è solo uno schema mentale della nostra cultura, che serve ad alimentare una certa visione del mondo. Non c’è alcun motivo, né alcuna scala di valori privilegiata, per considerare una cultura migliore o peggiore di un’altra. Si noti poi che si usa chiamare “storia” ciò che è accaduto negli ultimi cinquemila anni alla civiltà occidentale e viene liquidata con l’unica etichetta di “preistoria” tutta la Vita della Terra, cioè quattro miliardi di anni e cinquemila culture umane.

– Il funzionamento mentale essenziale, il comportamento, sono in sostanza simili in tutte le specie animali vicine a noi.

– La fisica quantistica ha dimostrato l’impossibilità intrinseca di descrivere fenomeni materiali o energetici senza considerare l’osservazione; ciò significa che, senza la mente, la materia-energia è priva di significato, non è in alcun modo descrivibile, è “priva di realtà”, è solo una specie di onda di probabilità. Della fisica meccanicista di Newton resta solo la funzione pratica, anche se nelle nostre scuole di base non c’è traccia del profondo cambiamento avvenuto.

Una forma di “mente” deve essere ovunque, è insita nell’universale, se vogliamo evitare il paradosso dell’”osservatore” che determina la realtà. La distinzione fra spirito e materia cade completamente. Tornano alla memoria il Grande Spirito e lo spirito dell’albero, della Terra, del fiume, del bisonte. Eppure ancora oggi, per apparire “moderne”, tante persone amano definirsi “cartesiane” o “razionali”, non sapendo di difendere invece il pensiero nato qualche secolo prima. Le idee del filosofo francese sono accettate dalla grande maggioranza delle persone semplicemente perché ciò che respiriamo fin dalla nascita ci appare ovvio, il che significa che non ci appare affatto.

Cartesio ci ha condannato alla verità, ma già quattro secoli orsono Montaigne aveva scritto:

Il concetto di certezza è la più solenne scemenza inventata dall’essere umano.

L’universale appare come spirito o come materia, a seconda di cosa si cerca. Come il fisico trova particelle o onde a seconda di cosa cerca, così le culture materialiste trovano materia, le culture animiste trovano spiriti.
Esiste un approccio di tipo riduzionista, quello seguito dal pensiero corrente, mirante allo studio delle cause elementari prime di un fenomeno, che suppone sempre scomponibile in parti più semplici, e c’è un approccio di tipo olistico, che parte dalle proprietà globali di un sistema, non riducibile all’insieme dei suoi elementi. Il fisico fa riferimento continuo alle particelle elementari, il biologo al DNA, il sociologo all’individuo, sperando di ridurre il complesso al semplice, e così viene fatto per gli ecosistemi.

Ma la recente nozione di complessità è diversa. Il tutto vale di più della somma delle parti, perché ci sono le mutue correlazioni. Non solo, anche il modo di scegliere i componenti (che singolarmente non hanno alcuna realtà autonoma) è arbitrario, perché presuppone una cornice concettuale preconcetta, un pregiudizio. Il riduzionismo nasce dal paradigma dominante dell’Occidente (quello cartesiano-newtoniano), cioè dall’idea che sia possibile scomporre qualsiasi cosa, o evento, in parti separate. È stato quello seguito soprattutto negli ultimi secoli e che ha portato alla visione del mondo e al modo di vivere attuali delle genti di cultura occidentale, o che hanno assorbito i valori di tale cultura.

L’approccio olistico riesce difficile a chi è nato con i fondamenti del primo e sta appena cominciando a manifestarsi oggi in forma individuale o poco più. Il passaggio necessario per attuare e rendere abituale un nuovo modo di pensare è difficilissimo, anche per chi ne fosse convinto intellettualmente. Inoltre, oggi nel nostro mondo c’è un’ossessiva invasione di termini come lotta, battaglia, supremazia, competizione, gara, sfida, vittoria, sconfitta e simili: basta leggere un giornale per rendersi conto di quanti fatti vengano interpretati con questo schema. In una nuova visione, proviamo invece a privilegiare l’aspetto cooperativo e universalizzante nei confronti di quello competitivo e autoassertivo oggi esaltato in modo abnorme dalla cultura occidentale.

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Il mondo non è una cosa da conquistare, ma è l’Organismo di cui facciamo parte. Se poi dobbiamo proprio cercare di “far crescere” qualcosa, vediamo di migliorare le nostre qualità percettive per raggiungere una migliore sintonia con il ritmo vitale del Cosmo. Non è che in un mondo del genere ci sia “niente da fare” o “niente a cui pensare”: si possono ammirare i fiori e gli alberi, guardare la luna e le stelle, osservare il volo degli uccelli e sentirsi in sintonia con essi, e partecipare della simbiosi universale.

Il fatto di non considerarci “esseri speciali” o “in posizione centrale” non deve affatto indurre al pessimismo; anzi, è motivo di lieta serenità. E il Divino? Invece del Dio-Persona distinto dal mondo e giudice delle azioni umane, troviamo il Dio-Natura immanente in tutte le cose, e quindi anche in noi stessi, che ne siamo partecipi. La Divinità osserva sé stessa anche attraverso gli occhi di una marmotta, o di una formica, o l’affascinante e misteriosa sensibilità di un albero.