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Per che cosa si combatte oggi in Siria? Contenere l’Iran

di Alberto Negri - 02/06/2017

Per che cosa si combatte oggi in Siria? Contenere l’Iran

Fonte: ilsole24ore

Chi combatte e per che cosa si combatte oggi in Siria? Tre giorni fa è morta in una sparatoria intorno a Raqqa, Ayse Deniz Karacagil, la militante filo-curda raccontata da Zerocalcare in “Kobane Calling”, libro che ha reso celebre con le sue strisce la resistenza di curdi all'Isis nella città ai confini tra Siria e Turchia. La ragazza turca, nota come “Cappuccio Rosso” (Kirmizi Fularli), aveva abbracciato la causa dei curdo-siriani e la guerra al Califfato dopo essere stata condannata a un secolo di galera per le dimostrazioni di Gezi Park del 2013.

Per difendere Kobane dalla stretta mortale di uno Stato Islamico che allora, nel 2014-15, sembrava uno spettro imbattibile, i curdi siriani avevano dovuto imbracciare i fucili. Uomini e donne che la Turchia di Erdogan oggi ancora bombarda additandoli come “terroristi”.

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Ma adesso i ruoli si sono invertiti, gli assediati sono i jihadisti dell'Isis mentre il Pentagono rifornisce di armi i suoi alleati sul campo, i curdo-siriani, un cartello militare arabo-curdo formato da Sdf/Ypg(Syrian Democratic Forces/Unità di Protezione Popolare).

Dopo Obama lo ha capito anche Trump e il presidente degli Stati Uniti ha ignorato le indispettite rimostranze di Erdogan durante la sua visita alla Casa Bianca per il sostegno americano ai curdi.

In sintesi i curdi siriani sono amici degli Usa ma nemici della Turchia, Paese membro della Nato da 70 anni. Ankara teme che una loro affermazione diventi un magnete per l'irredentismo anche dei “suoi” curdi. Siamo di fronte a una vicenda paradossale nei rapporti tra Usa e Turchia perché l'ex segretario di Stato Hillary Clinton aveva avallato l'appoggio di Erdogan all'opposizione siriana aprendo anche “l'autostrada del Jihad” per far affluire in Siria combattenti islamici dal tutto il mondo musulmano. Non solo, i turchi hanno prima rischiato lo scontro con la Russia, intervenuta a fianco di Assad nel settembre 2015, poi hanno dovuto mettersi d'accordo con Mosca e con Teheran partecipando ai negoziati di Astana.

Le contraddizioni americane e le ambizioni sfrenate di Erdogan, sempre più autocrate dopo il fallito golpe del luglio 2016, hanno sprofondato la Turchia in una deriva mediorientale dove per uscirne deve affidarsi alla Russia e all'Iran.
Dietro la storia dei curdi siriani, che comunque infonde anche un certo ottimismo a favore delle correnti laiche e secolariste della regione, c'è anche dell'altro.

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Gli Stati Uniti con la Gran Bretagna e la Giordania stanno progettando di tagliare il corridoio della “Mezzaluna sciita”. La guerra al Califfato non è più l'obiettivo principale: Trump durante il suo viaggio in Medio Oriente non ha avuto il coraggio di dirlo ma lo hanno affermato chiaramente gli alleati israeliani e sauditi: il target è l'Iran. Questo obiettivo è condiviso anche dal Pentagono che con il sostegno degli alleati vuole regolare i conti con la repubblica islamica contenendo la sua sfera di influenza mediorientale. Lo scopo è interrompere i rifornimenti iraniani che passando da Iran, Iraq e Siria sostengono sia Damasco che gli Hezbollah libanesi che tengono sotto tiro con i missili Israele, come ha già dimostrato la guerra dell'estate 2006.

Affiora con chiarezza in questa fase di “liquidazione” del Califfato il vero obiettivo della guerra in Siria, un conflitto per procura contro l'Iran da parte di un fronte sunnita che voleva prendersi la rivincita sulla caduta di Saddam Hussein nel 2003, altra disastrosa iniziativa americana che ha condotto alla disgregazione degli stati della regione.

La Mezzaluna sciita per difendere il corridoio siriano sta già reagendo con lo schieramento non solo delle truppe di Assad ma anche dei Pasdaran iraniani al comando del generale Haji Qassim Soleimani e delle milizie sciite irachene.

Questo spiega perché ormai da due mesi Mosul è virtualmente caduta ma non lo è ancora di fatto, perché da Raqqa la maggior parte dei comandi jihadisti se ne sono già andati con il grosso delle milizie: la fine delle roccaforti dell'Isis prelude ad altre mosse finalizzate alla guerra tra la “mezzaluna sciita”, gli americani, il fronte sunnita e Israele.

E non è un caso che la Russia abbia esploso una manciata di missili contro l'Isis: è un avvertimento che Mosca non intende lasciare isolato l'Iran e il fronte sciita che gli garantisce comunque la sicurezza delle basi sul Mediterraneo. La Siria è una sorta di Jugoslavia araba ma dove, forse, non finirà come nella ex Jugoslavia di Milosevic.