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Vecchio Piave, addio

di Davide Michielin - 08/06/2017

Vecchio Piave, addio

Fonte: La Stampa

Un paesaggio lunare, abbacinante sotto il sole, come la ghiaia bianca che per chilometri e chilometri ricopre il letto del Piave in secca. Il pietrisco non è la sola traccia di ciò che rimane del quinto fiume d’Italia. Le piccole pozze marroni che si incontrano nei rami incrociati del greto sono tappezzate di alghe marcescenti, mentre stormi di gabbiani banchettano sulle centinaia di pesci morti, alcuni di grande taglia. Una catastrofe ambientale per le zone umide di buona parte del Veneto, poiché le acque del Piave alimentano nel medio corso una cospicua attività ipogea: in questi giorni anche il vicino Sile, il più lungo fiume di risorgiva d’Europa, è in forte sofferenza. L’assenza di acqua, cronicizzatasi nell’ultimo decennio durante l’estate, quest’anno si è verificata per la prima volta anche d’inverno.  

 

 

A metà marzo il Water Scarcity Index, l’indice che valuta la scarsità dell’acqua misurato dall’agenzia ARPA, ha segnato il secondo peggior valore della serie storica del fiume, da quando cioè è iniziato il monitoraggio nel 1990. Una crisi idrica paragonabile solamente alla grande siccità che colpì la Regione nell’estate del 2002. La penuria di precipitazioni invernali ha accentuato la gestione predatoria del Piave, spremuto lungo il suo corso da centinaia di centrali idroelettriche, dal fabbisogno di colture agronomiche molto esigenti dal punto di vista idrico, e infine dall’estrazione di enormi volumi di sabbia e ghiaia che ha finito per provocare il progressivo abbassamento della falda. 

 

 

«Da un giorno all’altro il fiume scompare - racconta Fausto Pozzobon, attivista e presidente del circolo Legambiente «Piavenire» - nel ramo di Cimadolmo sabato c’era acqua, mentre domenica era del tutto asciutto. Una trappola mortale per gli avannotti di trota e i pesci di fondo come scazzoni e cobiti». Il fenomeno è ancora più evidente nella fascia di risorgive dove l’acqua un tempo era presenza costante durante tutto l’anno, anche nei periodi di secca. Superata la stretta di Nervesa, l’acqua sprofonda infatti nelle ghiaie del Piave, e sgorga in questa area sospinta in superficie dagli strati impermeabili di limo, argilla e torba. «Assistiamo allo spostamento progressivo dei fontanili verso valle: la sorgente del torrente Negrisia è arretrata di oltre un chilometro negli ultimi cinque anni, spiega Pozzobon. 

 

 

Un’emergenza idrica che, secondo Giuseppe Romano, presidente del Consorzio di Bonifica Piave, riflette l’insufficienza strutturale delle risorse idriche del bacino. Nel ribadire la priorità all’uso irriguo, Romano enfatizza l’eccezionalità della siccità che ha colpito tutti i fiumi della regione, facendo registrare ovunque diminuzioni significative della portata. «È l’intero corso medio del fiume a essere all’asciutto – sbotta Pozzobon – eppure nei campi di soia e di mais l’acqua non manca mai». Proprio per questo motivo gli ambientalisti auspicano un incontro con la Regione e i gestori del servizio idrico per ragionare sulle misure più idonee per fronteggiare una criticità che si aggrava di anno in anno, ed è ormai estesa dalla sorgente alla foce del fiume. 

 

 

Nel silenzio assordante della politica, si moltiplicano nel frattempo le iniziative delle associazioni che chiedono a gran voce una gestione diversa del fiume, più sostenibile e rispettosa del valore ambientale del Piave. In occasione della giornata mondiale delle zone umide, in programma in febbraio, un centinaio di persone si sono date appuntamento per chiedere la sospensione delle attività di escavazione. Ambientalisti, escursionisti ma anche pescatori hanno marciato nel greto asciutto fino a raggiungere la zona golenale di Candelù dove la pittoresca risorgiva della Fontana Bianca è ridotta a un rivolo. «Il valore ecologico di queste zone e la loro biodiversità sono sempre più minacciate, nonostante l’area sia una Zona a Protezione Speciale», sostiene Gian Pietro Barbieri, segretario e cofondatore del circolo Piavenire.  

 

 

Insieme ad altri volontari, la scorsa estate Barbieri ha compiuto una marcia di oltre 240 chilometri per osservare nel dettaglio lo stato di salute del Piave. Partendo dalla sorgente sulle pendici del Monte Peralba, a ridosso del confine austriaco, gli ambientalisti hanno disceso il corso del fiume fino a raggiungere la fascia delle risorgive. Un check-up completo per toccare con mano le conseguenze di decenni di regimazioni e scavi. «Rimane la bellezza di un fiume fragile ma duro a morire - conclude Barbieri - che ancora trova la forza di resistere nonostante l’azione dell’uomo».