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Clima ed ecologia, ecco perché il progresso non basterà a salvare il pianeta

di Linda Maggiori - 19/06/2017

Clima ed ecologia, ecco perché il progresso non basterà a salvare il pianeta

Fonte: Il Fatto Quotidiano.

Il clima sta cambiando, la natura si sta ribellando, le disuguaglianze stanno aumentando e non basta fare un G7 a Bologna o un accordo a Parigi per fermare questo disastro ecologico e sociale. La tecnologia non basterà a salvare il pianeta. Occorre abbandonare un modello di sviluppo basato sulla “crescita infinita”, che mira a far crescere il Pil, sottomettendo la natura, abbattendo i costi ambientali e sociali, facendoci consumare il più possibile. Una ruota per criceti, non per esseri umani.

Non bastano più le vuote promesse di un mondo migliore, non basta schierarsi contro il cattivo Trump per dire che i buoni fermeranno il disastro ambientale, con l’aiuto della tecnologia, senza rinunciare (ovviamente) alle comodità conquistate. In una società dove ci sono almeno 122 telefonini e 62 auto ogni 100 abitanti, dove si producono mezza tonnellata di rifiuti annui a testa, dobbiamo comprendere i nostri eccessi: “accompagnare l’eco-efficienza alla sufficienza” (Wolfang Sachs). Per questo, l’11 giugno a Bologna, contemporaneamente al G7, 100 scienziati italiani e 200 realtà della società civile hanno marciato e protestato, presentando un manifesto per una società ecologica con dieci proposte per un’Italia a zero emissioni e zero veleni.

 

In una società del benessere comune occorre ridurre l’orario di lavoro, renderlo etico, a servizio dell’ambiente e della comunità: anche i sindacati devono ripensare ai loro obiettivi. Non possono limitarsi a difendere il posto del lavoro senza capire le ripercussioni ambientali e sanitarie di quel lavoro: devono capire che non c’è lavoro in un pianeta morto. Una riduzione dell’orario di lavoro permetterebbe di “liberare” tempo: per il volontariato, per le relazioni familiari e sociali, per l’auto-produzione. Occorre difendere la fiscalità progressiva, e pensare anche ad altre forme di tassazione (sul tempo e non solo sul reddito: si chiede a tutti qualche ora di lavoro socialmente utile). In questo modo, anche i servizi pubblici e la tutela dell’ambiente, ne gioverebbero.

Occorre infine limitare o proibire le pubblicità che incitano al consumismo di prodotti industriali, inquinanti (auto, giochi, merendine), incentivando i circuiti di economia locale che bypassano la grande distribuzione. Una società del bene comune, dove il servizio civile per i giovani sia obbligatorio (per rinsaldare il legame di comunità) e i servizi di base (in particolare scuola e sanità) siano gratuiti, dignitosi e garantiti a tutti, e che proibisca le iniziative private in questi settori. Una società del benessere comune, dove i trasporti pubblici e la mobilità sostenibile siano capillari, efficienti, e assunti a normalità, mentre il ricorso ai mezzi privati sia un’eccezione da limitare il più possibile.

Il libro ci lancia un invito al cambiamento, alla radicalità, alla coerenza, anche nel nostro quotidiano: “La coerenza personale e di gruppo è un contributo importante al cambiamento, perché sottrae consenso al pensiero dominante, limita i danni sociali e ambientali, indica le strade da battere. Ma per esprimere tutte le sue potenzialità, la coerenza deve farsi politica, in un’ottica di cambiamento di sistema”.