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Coomaraswamy e le malattie dell'Occidente (a partire dall'arte)

di Annalisa Terranova - 16/07/2017

Coomaraswamy e le malattie dell'Occidente (a partire dall'arte)

Fonte: Lettera 43

Annanda Coomaraswamy è considerato un illustre orientalista e un interessante storico dell’arte. In realtà era molto di più: i suoi scritti lo rendono a pieno titolo rappresentante di quella philosophia perennis che rimanda a un nucleo sapienziale antico e immutabile, capace di irradiarsi in diverse civiltà e in definitiva di determinare un ponte indistruttibile tra Oriente e Occidente.

CONOSCENZA APPROSSIMATIVA. Era dunque un erudito (conosceva almeno 10 lingue, tra le quali il greco, il sanscrito e il latino), ma anche un saggio, un custode di verità. Coomaraswamy si preoccupò della crisi del mondo moderno e del modo in cui quest’ultimo potesse recuperare una vita spirituale. Tutta la sua opera in ultima analisi corrisponde alla domanda che Coomaraswamy poneva nei suoi saggi su Sapienza orientale e cultura occidentale: «Per quale via questo animale raziocinante e mortale, questo intelletto estroverso potrà venire risvegliato perché si ricordi di se stesso e passi dalla sua sentimentalità e dalla sua fiducia assoluta nella conoscenza approssimativa a una vita regolata dallo spirito?».

DISINTEGRAZIONE DELLA CULTURA. Era amico dell’esoterista René Guénon, da lui definito «il principale esponente di una sapienza tradizionale che nella sua essenza è tanto orientale quanto occidentale» e del quale condivideva la preoccupazione per la «disintegrazione totale della cultura» e l’idea che fosse necessaria una rigenerazione dell’Occidente.

Coomaraswamy si dedicò all’indagine della “letteratura divina” al fine di dimostrare che le narrazioni mitico-religiose hanno tutte lo stesso significato profondo

Ciò non fa tuttavia di questo studioso un semplice conservatore: Coomaraswamy si dedicò all’indagine della “letteratura divina” al fine di dimostrare che le narrazioni mitico-religiose hanno tutte lo stesso significato profondo, che si tratti delle Upanishad o delle Lettere di San Paolo, dei mistici medievali o dei filosofi neoplatonici. È quanto emerge anche dall’ultima raccolta di saggi, La tenebra divina, appena pubblicata da Adelphi e che va a completare altri due libri (sempre di Adelphi) su temi analoghi: Il grande brivido e La danza di Shiva.

SAN TOMMASO D'ACQUINO COME IL RIGVEDA. Quest’ultimo libro di Coomaraswamy, ha annotato Giuseppe Montesano recensendo La tenebra divina su la Repubblica, è una “scoperta”: «Scopriamo che il cattolico San Tommaso d’Aquino diceva su Dio le stesse cose dette tremila anni prima dal Rigveda, e che esiste da sempre una sorta di società semisegreta i cui adepti studiano religioni diverse che però considerano discendenti da una religione eterna».

DIO SI DISVELA IN UNA TENEBRA INCONOSCIBILE. Accattivante il titolo, che riprende una ben nota tradizione mistica secondo cui Dio si disvela in una “tenebra” inconoscibile razionalmente. Fu il neoplatonico Dionigi l’Areopagita (V secolo) a spiegare che Dio è al di là dell'essere e del conoscere, assolutamente altro, ineffabile. È principio sovraessenziale che risiede nelle tenebre, la tenebra divina che è «luce inaccessibile».

Nelle tante pagine dedicate ai vari significati dell’arte, Coomaraswamy sottolineò più volte l’incapacità dei moderni di comprendere l’essenza dell’opera artistica

Figlio di un giurista di origine indiana e di un’inglese, Coomaraswamy nacque a Colombo (Ceylon, l’attuale Sri Lanka) il 22 agosto 1877. Si dedicò allo studio dell’arte indiana e nel 1911 divenne direttore della sezione artistica degli United Provinces Exhibits ad Allahabad. Durante la Prima guerra mondiale fu chiamato al Museum of Fine Arts di Boston, dove rimase fino all’ultimo occupandosi della sezione di arte islamica e mediorientale.

LA "FORMA" DELL'OPERA SIGNIFICA UN'IDEA. Morì nel settembre del 1947 mentre si apprestava a ritornare in India. Nelle tante pagine dedicate ai vari significati dell’arte, Coomaraswamy sottolineò più volte l’incapacità dei moderni di comprendere l’essenza dell’opera artistica, che non deve ispirarsi alla natura apparente né all’io interiore dell’artista, ma deve avere una “forma” che non significa la figura tangibile, ma l’idea.

La separazione di epoca moderna tra lavoro manuale salariato e attività dell’artista ha alienato l’arte stessa dall’attività comune del produrre cose utili

Il “capolavoro” si ottiene quando si verifica l’effettiva unità di forma e materia. Inoltre la separazione di epoca moderna tra lavoro manuale salariato e attività dell’artista ha alienato l’arte stessa «dall’attività comune del produrre cose utili, in senso sia materiale sia spirituale».

UNA QUARANTINA DI LIBRI E CENTINAIA DI SAGGI. La sua vastissima produzione comprende una quarantina di libri e centinaia di saggi pubblicati su riviste americane, indiane ed europee. Tra i principali argomenti dei suoi studi l’arte indiana e l’interpretazione dei testi vedici e buddisti. Frutto di questo lavoro l’opera Induismo e buddismo, pubblicata nel 1943 e considerata il suo testamento spirituale.

«SIAMO NOI UOMINI D'OGGI GLI SBANDATI». Il giornalista e critico americano Robert Allerton Parker ha scritto di lui: «Tutta l’intelligenza di Coomaraswamy è stata da lui convogliata nell’unica direzione di dimostrare l’unicità di questa voce che rivela le aspirazioni dell’uomo. Siamo noi gli sbandati, noi uomini d’oggi, con il nostro genio della scomposizione e della scissione. Per Coomaraswamy noi siamo in guerra contro noi stessi e per conseguenza in guerra gli uni contro gli altri. L’occidentale ha perso il suo equilibrio e abbiamo tutte le ragioni di domandarci: riuscirà a ritrovare se stesso?».