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Che vuol dire neo-contadino?

di Sergio Cabras - 17/07/2017

Che vuol dire neo-contadino?

Fonte: Sergio Cabras

UN ESTRATTO DA "L'ALTERNATIVA NEO-CONTADINA" disponibile in rete

L'obiettivo prioritario del neo-contadino, in termini di alternativa neo-contadina (che è ciò che qui ci interessa), non è necessariamente quello di creare una impresa agricola che sia ritenuta professionalmente (cioè in termini quantitativi di produzione e di reddito) degna di questo nome: non gli interessa che qualcuno gli dia o meno la "patente" di contadino "vero". Il punto centrale è quello di aprire uno spazio, prima tra le "maglie" della rete del Sistema, come piccole nicchie economiche, e poi come reti solidali di collaborazione tra singole unità, per forme di sussistenza slegate, indipendenti strutturalmente (ancorché in misura parziale, ma gradualmente crescente) dai meccanismi che alimentano il Sistema. Secondo i casi può anche darsi che per alcuni ciò sia possibile solo in un quadro in cui, dal punto di vista della componente monetaria, la maggior parte del reddito provenga da fonti (purché ecosostenibili ed eticamente accettabili) non agricole. Ma si tratterà pur sempre di un'economia neo-contadina se questo apporto finanziario (parziale seppure maggioritario) è sufficiente grazie ad una forma complessiva di sussistenza che è possibile perché basata su un'altra importante componente data dall'autoproduzione agricola unita ad uno stile di vita che permette di contenere sensibilmente l'apporto di denaro necessario.
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Nell'alternativa neo-contadina la parola "neo" è altrettanto importante di "contadina". Tra le altre cose questo significa che non si tratta di un ritorno al passato. Che sarebbe comunque una cosa impossibile.
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 Il neo-contadino, in primo luogo, è figlio di un tempo in cui si può
scegliere di essere contadino. In cui, anzi, lo si può solo
scegliere, anche se si è nati in una famiglia di origini contadine o
(più ampiamente) di agricoltori. In quanto la dimensione non
genericamente rurale o agricola, ma contadina, in sé stessa, in
Occidente è sottoposta a molteplici tipi di pressioni che la
marginalizzano come qualcosa per cui non c'è più posto e tendono 
a condurla all'estinzione. Il che fa sì che possa essere vissuta solo
reinventandola. In questo senso stili neo-contadini di vita oggi
possono darsi in una varietà di forme. Ma si tratta sempre di fare
delle scelte di fondo, sul piano materiale e su quello immateriale.


Il neo-contadino, a differenza del contadino di una volta, è figlio di
un tempo in cui si può rivendicare il diritto a “Lavorare
meno, lavorare tutti!”
(sebbene, paradossalmente e senza valide ragioni, questo suoni
proprio oggi, quando ce ne sarebbe più bisogno, come uno slogan
dimenticato). Ciò implica che, a differenza del contadino di una
volta, che aveva vissuto da povero per generazioni e vedeva come 
un traguardo l’ottenimento di almeno un pezzettino dell’opulenza che
aveva sempre visto nei ricchi – o, più spesso, della sua parvenza,
di una sua imitazione - il neo-contadino muove dalla consapevolezza
che ormai abbiamo il problema opposto. Cerca perciò l’equilibrio,
la semplificazione, l’essenziale, il sostenibile, ciò che è a
misura d’uomo,
e la saggezza per distinguere l’utile e necessario dal superfluo e
nocivo. In un’ottica ampia, ecosistemica. Questo se lo può
permettere esattamente in quanto figlio di un tempo che gli ha dato
ciò che mancava al contadino del passato: un minimo di relativa
agiatezza, di istruzione (anche scientifica) e la possibilità di
scegliere – sebbene in cambio gli abbia tolto pure molto di ciò
che il contadino aveva.

Neanche si tratta di illudersi di poter tornare ad una mentalità mitica,
magica, pre-scientifica, patriarcale, figlia dell’ignoranza, della
superstizione e di regole rigide, tradizioni immutabili e poteri
indiscutibili, dimenticarsi che c'è stato l'Illuminismo, le
democrazie moderne, i diritti civili. Non si tratta di imporre nulla
a nessuno.

Significa piuttosto non far propria una fede acritica nella Modernità e nel
Progresso, non esser ciechi a quegli elementi di saggezza che pure
erano presenti nelle religioni e visioni del mondo, negli stili di
vita, nelle usanze e nei valori delle culture tradizionali e
premoderne.

Si tratta di riacquistare in prima persona la propria autentica libertà sottraendola a quella che diventa la credenza superstiziosa ne "la Storia" quando questa viene vista come una corrente unidirezionale a cui non potremmo che adeguarci. 
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Vuol dire non aspettare più che una rivoluzione o anche solo una maturazione dell’opinione pubblica, grazie al presunto effetto maièutico dell’informazione, siano riuscite a cambiare il mondo, ma cominciare a far nascere un altro modo di vivere dandogli forma oggi nel nostro vivere in un altro modo.
Sappiamo in primo luogo che non possiamo costruire una soluzione lavorando ad alimentare il problema. Non ci riprenderemo la nostra libertà né la nostra responsabilità se non distaccandoci radicalmente dai meccanismi e dalle strutture di cui vediamo il potere distruttivo. Se cerchiamo un modo di vita radicalmente eco/socio-sostenibile, riproducibile ed adottabile da un numero di persone virtualmente infinito (e non accessibile solo a pochi privilegiati) la dimensione rurale e contadina è la base migliore per renderci autonomi dal Sistema del capitalismo consumista, l’essenza degli attuali problemi del mondo. Questo è il terreno fondamentale che ci permette di costruire un tipo di esistenza alternativo su tutti i livelli sui quali prende forma la nostra vita, quindi sul piano economico, relazionale, sociale, culturale….

In una vita neo-contadina, nel senso che sto cercando di descrivere, non c’è bisogno necessariamente di essere agricoltori a tempo pieno: basta anche un bell'orto, alcuni alberi da frutta, poche galline, un certo livello di autoproduzione di beni di base che ci consenta di non dipendere completamente da uno stipendio o comunque dal sistema economico capitalista-consumista; basta che il rapporto fisico/lavorativo con la Natura abbia un ruolo anche parziale, purché economicamente significativo, nella nostra esistenza. E che viviamo questo rapporto con una consapevolezza ecosistemica. 
In realtà possono essere più “neo-contadini” l'impiegato part-time, il musicista, l'insegnante o l’infermiera che a casa coltivano l’orto, la propria frutta, allevano due arnie di api, ma hanno una coscienza civile ed ecologica che informa la pratica della loro vita (specialmente quanto al livello dei consumi) e progressivamente si rendono indipendenti dal Sistema, rispetto all’imprenditore agricolo che conduce la sua stalla modello dove le mucche non si muovono dai box e vengono nutrite solo a mangimi o che coltiva grandi estensioni a monocoltura in un’ottica di produzione industriale con largo uso di prodotti chimici ed enormi mezzi meccanici. E magari compra tutto ciò che mangia al supermercato.
Quest'ultimo, pur essendo il protagonista delle attuali politiche agricole dei governi ed anche se guarda ai piccoli autoproduttori come a degli hobbysti dilettanti, non è un contadino perché non ha un rapporto contadino né con la terra, né con il cibo, né con il suo lavoro. E non lo vuole essere.

Il neo-contadino, pur non volendosi negare programmaticamente alcune delle conquiste tecnologiche che oggi possono renderci la vita più facile di quanto non fosse quella dei contadini di una volta, si ispira a questi e nutre verso di loro un profondissimo rispetto, come lo nutre per i miliardi di persone che tuttora vivono secondo un modello analogo in altre zone del mondo. Prende come riferimento la sostenibilità del loro stile di vita, data dalla scala ridotta delle loro attività, la tenacia e la cura che ripongono nel proprio lavoro e la loro integrazione pratica e culturale all’interno dell’ambiente naturale e dei suoi equilibri. 
Si trattava e si tratta certamente di una condizione di vita che ha i suoi limiti e i suoi forti disagi, dalla quale infatti non a caso moltissimi son stati costretti a fuggire. Ma sarebbe troppo parziale non vedere che tali disagi erano e sono causati anche - ancor più e prima che dall’ignoranza e dal ritardo tecnologico - dallo sfruttamento, dalla gerarchia dell’ordinamento sociale, dal latifondo, dalle condizioni politiche e alla fine dall’oblio in cui lo Stato moderno ha lasciato le campagne scegliendo di favorire l’urbanizzazione, come è avvenuto da noi e come avviene oggi in altre zone del mondo, spesso anche attraverso politiche che si presentano travestite da programmi di cooperazione internazionale e di modernizzazione produttiva. 
I contadini di una volta potevano non essere lì per propria scelta, ma questo non toglie che la funzione che svolgevano nel pianeta fosse perfettamente in armonia con esso. Bisogna partire da un piano oggettivo/materiale e da un punto di vista ecosistemico nel valutare gli stili di vita e da lì costruire anche la condizione soggettiva.
Oggi abbiamo i mezzi per permetterci l’uno e l’altro aspetto in modo sano e sostenibile e la via per farlo è tornare a vivere in un modo e in un contesto ambientale che riparta almeno idealmente da quel modello funzionale.