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Guerra in Siria: svolta obbligata nella politica Usa

di Salvo Ardizzone - 22/07/2017

Guerra in Siria: svolta obbligata nella politica Usa

Fonte: Il Faro sul Mondo

Trump ha sospeso gli aiuti ai “ribelli” impegnati nella guerra in Siria, l’ordine ha interrotto i programmi di equipaggiamento e addestramento di takfiri e terroristi vari che la Cia ha attivato in questi anni; a renderlo noto è stato il Washington Post.

Secondo quanto riportato la decisione è stata presa un mese fa, nel corso di una riunione tenuta da Trump con il direttore della Cia Pompeo ed il consigliere per la Sicurezza nazionale McMaster, per offrire qualcosa di concreto a Putin in occasione dell’incontro avvenuto il 7 luglio a margine del G20 di Amburgo.

La decisione di dare una svolta alla politica Usa nella guerra in Siria, dettata anche e soprattutto dagli sviluppi sul campo che vedono l’Asse della Resistenza vittorioso, ha comportato l’annuncio del cessate il fuoco nella Siria sud occidentale, dove sono già arrivati centinaia di soldati russi come osservatori e garanti della tregua. La mossa Usa mira ad aprire un canale di trattativa con Mosca in un conflitto che Washington vede ormai perso.

Per questa ragione, le forze americane si starebbero preparando ad abbandonare le zone di confine fra Siria ed Iraq nell’area del valico di Al Tanf, divenute strategicamente irrilevanti dopo l’avanzata delle truppe di Damasco e dei suoi alleati che si sono ricongiunte con le Hashd al-Shaabi, ormai attestate su vasti spezzoni del confine siro-iracheno. Il permanere dei militari Usa in quelle posizioni, oltre ad essere divenuto inutile, è di giorno in giorno più pericoloso.

Le truppe statunitensi presenti nella zona di Al Tanf e nei dintorni sono in corso di trasferimento ad Hasakah, nel Kurdistan siriano, rafforzando così la già notevole presenza Usa in quell’area. Una mossa che ribadisce il mutamento della strategia di Washington nella guerra in Siria per come sin qui condotta; gli Usa puntano ora tutte le carte su un massiccio supporto ai curdi delle Sdf/Pyd, visti come pedine essenziali per esercitare un’influenza nella regione, accordandosi con la Russia per mantenersi ad est dell’Eufrate. Un accordo, tuttavia, a quanto pare stretto fra Washington e Mosca che non coinvolgerebbe direttamente i curdi, lasciati fuori dalla trattativa.

Secondo il Washington Post, Trump avrebbe mostrato una totale accondiscendenza alle posizioni russe, facendo intendere che ciò potrebbe derivare dalle attuali indagini sui rapporti fra l’entourage del Presidente ed il Cremlino; insomma, secondo la velata ricostruzione del giornale, Trump avrebbe ceduto perché Mosca sarebbe depositaria di verità assai scomode per il “Tycoon” ed i suoi affari.

Del resto, a prescindere dalle vicende del neo Presidente, già dal 2015, dall’intervento russo nella guerra in Siria, la stessa Amministrazione Obama aveva evitato di compiere il massimo sforzo in aiuto di takfiri e “ribelli”, mossa che avrebbe inevitabilmente comportato un’escalation incontrollabile. Ad affermarlo è Ilan Goldenberg, già direttore del programma sulla Sicurezza in Medio Oriente nella passata Amministrazione, che dichiara pure che l’attuale scelta di Trump è un errore, perché equivale ad ammettere la vittoria di Al-Assad e di chi lo sostiene.

Il fatto è che la svolta nella guerra in Siria è già avvenuta e l’Asse della Resistenza sta procedendo a eliminare tutti i residui focolai. A parte l’avanzata nel deserto della Badya, ad Homs orientale e verso Deir Ezzor e a sud-est di Aleppo, venerdì è iniziata una massiccia operazione congiunta fra Hezbollah ed Esercito siriano per bonificare la zona di Arsal, l’ultima area tenuta dai terroristi a ridosso del confine libanese.

L’offensiva, largamente preannunciata fra i civili per minimizzarne le vittime, ha per obiettivo i circa 3mila tagliagole, appartenenti essenzialmente al Daesh e al-Nusra, che si trovano in quella zona montuosa. La loro neutralizzazione costituisce l’ultimo atto per la messa in sicurezza di tutta l’area.

Gli attuali sviluppi della guerra in Siria, tuttavia, con gli Usa che tendono ad arroccarsi nei territori controllati dai curdi nel nord est del Paese, puntando su di essi per mantenere il controllo dell’area dietro la ridicola scusa della guerra all’Isis ormai in agonia, è tuttavia fatta apposta per danneggiare quanto resta dei già pessimi rapporti fra Washington ed Ankara.

Già venti di guerra stanno soffiando ad Afrin, il cantone curdo più occidentale, a sud del confine turco, ed è impensabile che Erdogan accetti la creazione di una stabile entità curda ai propri confini. Insomma, costretti a dare una svolta alla propria politica nella guerra in Siria, gli Usa stanno attuando una strategia che sta gettando la Turchia in braccio a Mosca, e rende quest’ultima sempre più centrale nella regione.

Sia come sia, Washington sa ormai d’aver perso la partita e mira solo a mantenere gli strumenti (i curdi) per continuare a destabilizzare l’area, ma gli sviluppi sul campo, piaccia o no, stanno puntando alla completa vittoria dell’Asse della Resistenza.