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Se eiaculare su una donna in bus o masturbarsi al parchetto non è reato, Rimini diviene conseguenza

di Mauro Bottarelli - 27/08/2017

Se eiaculare su una donna in bus o masturbarsi al parchetto non è reato, Rimini diviene conseguenza

Fonte: Rischio Calcolato

Penso che, per un uomo, sia uno degli incubi assoluti: dover assistere, impotente, allo stupro della tua donna. Sia essa moglie, fidanzata, sorella o amica. E’ un qualcosa di annichilente, devastante: puoi reggere alle botte, al furto, financo alla tortura. Ma quello è qualcosa che, temo, chi l’ha subito non potrà mai dimenticare. Mai. Non è un caso che un visionario dell’estremo e un terrorista dei generi come Stanley Kubrick inserì questo crimine perverso come architrave dell’intera struttura narrativa di “Arancia meccanica”, lo stupro nella casa di campagna che diviene motivo scatenante della carriera criminale del drugo Alex e, nella seconda parte del film, motivo di redenzione/espiazione forzata, fino al patto col diavolo dello Stato che tutto assolve e tutto nega, se serve.

E c’è qualcosa di strano nell’atrocità compiuta da un branco di bestie a Rimini: c’è un caso clamoroso di vedo non vedo poliziesco-mediatico. Al netto che ogni giornale ha la sua versione riguardo il rapporto tra i due giovani polacchi (sposati, fidanzati, solo amici) e non dovrebbe essere difficile arrivare a una sintesi, essendo i due in grado di parlare e avendolo fatto con inquirenti e psicologi, avrete notato come vi siano alcune certezze e un fantasma che si aggira: erano quattro, pelle olivastra ma non nera, parlavano inglese stentato. Fin qui, la sorta di identikit della coppia. Poi sappiamo altre due cose, per certo: erano ubriachi e drogati. Lo ha confermato, indirettamente, la 26enne polacca, quando ha confermato che “si comportavano come belve impazzite”. Ecco cosa ha rilanciato ieri alle 16.57 l’agenzia ANSA, quando ancora non era stato reso noto il particolare della seconda violenza sessuale del gruppo, quella su un trans peruviano incontrato lungo la tangenziale:

“Gli autori dell’aggressione dello stupro erano, spero di non essere smentito dalle indagini, reduci da una notte di sballo con abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti. Lo ha detto all’ANSA il questore di RIMINI, Maurizio Improta, che oggi, dopo un’estate tra le più sicure degli ultimi anni, si trova di fronte ad un caso viceversa tra i più odiosi per circostanze e vocazione del territorio: stupro di gruppo e rapina in spiaggia”. Ora, per chi non conosce la storia di Maurizio Improta dirà poco ma, al contrario, chi ne ha seguito la carriera, sa che è uno dei poliziotti più bravi ed esperti in assoluto del nostro Paese. In assoluto, ripeto. Perché uscire con una frase del genere, quando di fatto le indagini era in pieno corso e la scientifica era ancora in spiaggia a cercare residui di DNA sul luogo dello stupro?

Io ho un’unica spiegazione e risiede nel fantasma di cui vi parlavo prima, quello che aleggia tra le poche certezze del caso: la nazionalità o etnia delle quattro bestie in azione. Alcuni media parlano apertamente di un gruppo di maghrebini, altri sono più cauti e parlano di “probabili stranieri”, altri come il sito di “Repubblica”, non solo non menzionano il particolare ma hanno visto il caso passare da prima notizia dell’homepage stamattina e settima, ottava a metà pomeriggio di oggi. Domani, forse, sarà sparito. Si ha paura di dire che sono stranieri, forse? Ma, soprattutto, si ha qualche sospetto più specifico, dato da precedenti in zona o dai filmati delle telecamere e non lo si vuole dire?

Solitamente, la polizia usa i media per diffondere particolari “tranquillizzanti” per portare i presunti responsabili ad abbassare la guardia, a tradirsi per eccesso di fiducia: ad esempio, se so al 90% che sono italiani, chiedo alla stampa di spingere la versione degli assalitori stranieri, tanto per vedere se qualche pesce abbocca perché certo di averla fatta franca. Fosse così, però, non avremmo la versione al riguardo così in ordine sparso: per qualcuno sono maghrebini, per altri forse stranieri, per altri ancora apolidi. Ripeto, questa è solo una mia impressione, quindi ontologicamente fallace. Tanto fallace che, magari, mentre state leggendo, verrà annunciato dalla tv l’arresto del branco e potrete anche smettere di dedicarmi il vostro tempo. Parole in libertà. Ma Improta che esce con quella frase, mentre ancora tutto è avvolto nel ricordo devastante e devastato dei due turisti polacchi, mi è sembrato strano. Mi è sembrata una frase “imposta”.

E non perché il questore di Rimini sia uomo che si fa tappare la bocca o preconfezionare le versione, bensì perché un atto così barbarico necessita di decantazione mediatica: pena, la rivolta della gente, già esasperata. Sono giorni caldi, dopo i fatti dello sgombero di piazza Indipendenza. E’ un attimo associare a straniero qualsiasi nefandezza e a far esplodere un cortocircuito: magari sono davvero maghrebini e magari si sa anche dove sono ma un arresto e un annuncio domenicale avrebbero sortito un effetto mediatico ed emotivo nell’opinione pubblica che un fermo di martedì, quando la gran parte della gente è tornata al lavoro e segue meno i media (essendo tornata immersa nei cazzi suoi), eviterebbe. A volte, vi assicuro, capita.

E non è nemmeno questo, alla fine, il problema. Di fatto, l’importante è che vengano presi, processati, condannati al massimo della pena. La famosa “chiave della cella buttata via”. Ed eccoci arrivati al nodo principale della vicenda riminese, con tutto il rispetto per l’orrore che i due giovani polacchi hanno dovuto vivere e sopportare. E’ infatti di pochi giorni fa la vicenda del pedofilo reo-confesso, un pakistano di 21 anni, che ha abusato di un tredicenne disabile nel Reggiano e che è stato liberato dal giudice, scatenando persino le ire dei sindaci del comprensorio che potrebbero vederselo affidare per scontare i domiciliari.

E vogliamo parlare della sentenza della Cassazione di fine giugno, quella che scagionava un cittadino moldavo arrestato in flagranza di reato, mentre si masturbava davanti ai bambini in un parco pubblico? Per i giudici, infatti, “quegli atti di autoerotismo deliberato e stimolato dalle minorenni, li ha sì consapevolmente messi in scena davanti alle stesse che (anzi) ha appositamente cercato, ma merita ugualmente di essere assolto, proprio perché quegli stessi atti li ha consumati al parco. E poi per strada, in macchina e non certo in un luogo (per usare le parole del legislatore) abitualmente frequentato dalle sue vittime”.

Direte voi, è la legge. No, è un’interpretazione malata della stessa. Lo dice il buonsenso e i codici non c’entrano nulla: uno così va messo nelle condizioni di non nuocere. Punto. E vogliamo parlare del Gip di Torino che poco tempo fa ha respinto la richiesta di carcerazione nei confronti di un marocchino che su un autobus si era masturbato, eiaculando poi sui vestiti di una donna? “Nel racconto della donna – si legge nell’ordinanza del giudice – non sono presenti elementi per confermare che lo sfregamento masturbatorio ipotizzato sia stato effettuato in appoggio alla gamba della donna. Appare difficile qualificare il gesto come violenza sessuale e non piuttosto come mero atto osceno”. Lunare, a dir poco. E la cosa ancor più triste è che il giudice in questione era una donna.

E potrei andare avanti, ancora e ancora, delirio dopo delirio giuridico. Un Paese dove accadono cose simili, quale certezza della pena massima può offrire per le bestie di Rimini, ammesso che vengano prese? Quali garanzia di giustizia reale ci sono per i due poveri ragazzi polacchi, i quali – giustamente – oggi ha chiesto di essere rimpatriati il prima possibile? Il problema, per le istituzioni, è che una cosa come quella accaduta a Rimini potrebbe rappresentare davvero la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso, in un contesto di tensione e rabbia sociale che ormai è una pentola a pressione. Per strada, nei bar, al supermarket, senti parlare la gente di quanto avvenuto e la proposta più moderata è la castrazione. Non chimica.

Le ultime notizie, parlano di caccia serrata, della creazione di una task-force con Roma e di identikit già elaborati: siamo di fronte a un altro “Igor il russo”? Perché una task-force con Roma? Cosa c’è sotto? O, anzi, chi c’è dietro? E per dietro non intendo un burattinaio ma dietro le identità delle bestie. Magari qualche insospettabile? Magari qualche “figlio di”? Perché la cronaca, non ultimo il caso Varani, ci ha insegnato che, a volte, quando si cerca il mostro tra i reietti, lo si scopre invece nella cosiddetta “società bene”. Io mi limito a porre le domande che si fa qualsiasi italiano di fronte a un simile orrore. E la risposta è solo una: siamo un Paese portato allo sbando da politica e magistratura, da buonismo e determinismo biologico, da Sessantotto e Basaglia, da culto della vittima e sindrome da onnipotenza dovuta all’intoccabilità e impunibilità di certe caste.

A Rimini hanno agito quattro bestie e poco mi importa se siano maghrebini o svedesi o italiani, il clima da “vietato vietare” ha portato a questo, atti di violenza sempre più efferati e compiuti da persone sempre più giovani, figli legittimi e di primo letto della depravazione istituzionale e sociale, del laissez-faire proto-liberale e del giustificazionismo psichiatrico. La gente, se ancora la classe politica e il CSM non l’hanno capito e non si sono accorti, pronuncia la parola “forca” con sempre maggiore frequenza, facilità e, soprattutto, rabbiosa convinzione. Attenti, se il caso Rimini scappa di mano, potrebbe essere decisamente sgradevole. Poi non ci si lamenti della giustizia fai da te. Lo diceva anche Kubrick, traslando sullo schermo i nostri mostri e incubi.