Trump è finito, ma la rivolta contro le elite continua
di Paolo Borgognone - 05/09/2017
Fonte: eurus
Li chiamano populisti, estremisti, qualunquisti, gentisti. Aggettivi qualificativi di carattere dispregiativo. Chi sono dunque “i deplorevoli” del nostro tempo studiati con uno sguardo più imparziale, ben diverso da quello dei giornalisti dei grandi media ufficiali? Lo chiediamo a Paolo Borgognone autore di un documentatissimo saggio intitolato “Deplorevoli. L’America di Trump e i movimenti sovranisti in Europa” (Zambon Editore). Borgognone ci spiega pregi e difetti, limiti e potenzialità di questi movimenti che hanno sfidato l’establishment globalista, per ora con incerti risultati.
Dopo la punta massima toccata dalla elezione di Trump la marcia dei “deplorevoli”, dei movimenti populisti, si è arrestata?
Occorre distinguere tra soggetti politici di tipo diverso. In Francia abbiamo assistito a una competizione interna tra populisti di destra (Front National, Le Pen) e di sinistra (La France Insoumise, Mélenchon), che forse avrebbe anche potuto essere evitata, con la costruzione di un blocco sovranista, in grado di riassumere nella sua proposta politico-programmatica idee che si situano a destra (nella cultura) e a sinistra (in economia e in politica estera) contemporaneamente. Purtroppo l’idea di poter pensare contemporaneamente cose che stanno a destra e cose che stanno a sinistra equivale a una sorta di bestemmia in chiesa per un cattolico praticante.
Dopo la débâcle della signora Le Pen è venuto il risultato in crescita ma non trionfale dei populisti olandesi…
Sul caso olandese le considerazioni da fare sono diverse: in Olanda infatti il principale partito populista, il PVV, diversamente che in Francia, dove sia Marine Le Pen sia Jean-Luc Mélenchon si sono prodigati in un’apprezzabile, almeno a mio parere, critica del liberalismo, è integralmente subordinato all’ideologia dominante nell’Europa transatlantica e si configura, pertanto, come un partito liberal-populista dai tratti islamofobi, anti-euro, ma atlantista e ultraliberista.
Bisogna anche dire che dopo la sua elezione Trump stesso sembra assistere a una sorta di sconfitta periodica del suo originario mandato presidenziale.
Credo che Trump sia stato, ormai, completamente commissariato, come presidente, da Wall Street e dal Pentagono. I suoi margini di manovra sono ristrettissimi, l’accordo stipulato con la Russia in merito alla questione siriana è stato importante, sebbene rappresenti una sorta di presupposto geopolitico per l’innesco di una nuova guerra nell’area (visto che gli Usa, in seguito a questo accordo, hanno impiantato illegalmente 8 basi militari operative in Siria e che il Paese, com’era prevedibile, è stato spartito su linee etno-confessionali), ma per il resto la politica estera di Trump seguirà le consuete direttrici neocon imposte dallo Stato profondo (Deep State).
Se il programma elettorale di Trump è stato boicottato allora dobbiamo aspettarci un’altra stagione interventista degli USA?
Credo che l’obiettivo bellico di Trump resti l’Iran, anche in virtù della presenza di gruppi estremisti che sembrano avere i loro referenti nella figlia Ivanka e in suo marito. Tuttavia, al netto di queste considerazioni, non dò un giudizio completamente negativo del “Trumpismo”, che è altra cosa da Donald Trump e dal suo entourage come persone fisiche. Il “Trumpismo” è stato, ed è tuttora se si vuole, una sorta di movimento eterogeneo di fasce popolari arrabbiate, penalizzate dalla mondializzazione liberale, che hanno dimostrato di saper voltare le spalle, elettoralmente parlando, all’establishment democratico nel frattempo divenuto liberal-globalista: un establishment di ricchi che ha dimostrato, nel corso dell’ultimo quarantennio circa, un profondo distacco culturale, direi persino antropologico, da quella che era stata la sua base di consenso privilegiata per numerosi anni.
Questo “Trumpismo” non confina però con discutibili movimenti di estrema destra? Mi spiega che cosa è l’Alt-Right e quale legame ha con essa il controverso politico della Louisiana David Duke?
L’Alt-Right è un movimento di “destra alternativa”, come si evince dal nome stesso, al Partito repubblicano. È più isolazionista rispetto al GOP e critica la globalizzazione culturale, e ciò rispecchia il versante meritorio dell’Alt-Right. Per esempio, il leader dell’Alt-Right ha duramente condannato il bombardamento, ordinato da Trump, della base militare siriana nei pressi di Homs il 6 aprile scorso. Tuttavia, si tratta di un movimento etnonazionalista bianco che esprime una Terza posizione, fascistoide, con tutti i limiti che ciò comporta. L’Alt-Right è infatti per il capitalismo in economia, poiché giudica il capitalismo un prodotto della civiltà americana, e lo vuole salvaguardare, seppur declinandolo in un’accezione prettamente nazionalistica.
Quale è l’entità di questa area?
Si tratta di una galassia abbastanza confusa e frammentata al suo interno, oltreché minoritaria, e pertanto penso rimarrà, nel tempo, una sorta di corrente esterna al GOP, poco influente se non per la capacità di mobilitare le telecamere del mainstream in occasione dei suoi “scandalosi” raduni. La figura di David Duke è invece più interessante. Duke resta pur sempre un politico americano, legato alle tradizioni del Paese che lo esprime ma è, a mio parere, soprattutto dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, uno dei pochi politici statunitensi ad aver coniugato il suo pensiero di destra con elementi spiccatamente riconducibili a una Quarta posizione.
In che senso?
Duke è stato a Mosca, ha incontrato numerosi esponenti dell’eurasiatismo e del pensiero popolar-patriottico in Russia, come Aleksandr Dugin, Aleksandr Prokhanov e Albert Makashov, quest’ultimo un ex deputato comunista e un militare di carriera nell’Urss.
Si parla comunque di un esponente del cosiddetto “suprematismo bianco” …
L’attivismo di Duke a difesa dei diritti degli americani di origine europea non mi scandalizza, così come non mi inquieta l’attivismo dei gruppi di sinistra a tutela dei diritti delle minoranze afro-americane. Penso che ogni comunità debba infatti salvaguardare le proprie specificità, anche se continuo a credere che la contraddizione principale risieda tra bianco ricco e bianco povero, tra nero ricco e nero povero e non tra bianchi e neri a prescindere dai differenziali di reddito di ciascuno…
Cosa avvicina e cosa distingue l’Alternative Right americana dall’ eurasiatismo?
Per ora, a differenza dell’Alt-Right l’eurasiatismo può fregiarsi di insigni teorici, passati e presenti (da Lev Gumilëv ad Aleksandr Dugin, passando per Nikolaj Trubeckoj e Nikolaj Ustrjalov, solo per citare alcuni nomi, di ieri e dell’oggi). Credo che l’eurasiatismo rappresenti la Quarta posizione (anti-moderna, tradizionalista, legata alla categoria, eurasiatica appunto, di impero multinazionale, multilinguistico e plurireligioso), mentre l’Alt-Right e i movimenti identitari statunitensi restino contigui alla Terza posizione, vincolata al retaggio etnonazionalista che personalmente respingo in toto. Tuttavia, il passaggio dalla Terza alla Quarta posizione è, in linea politico-culturale, il meno complesso, mentre una transizione dal comunismo alla Quarta posizione è più difficile (anche se, a mio avviso, non impossibile e dunque praticabile) e una transizione dal liberalismo alla Quarta posizione senza passaggi intermedi è francamente impossibile.
In Grecia Alba Dorata che pure viene descritto come nazistoide ha cercato legami stabili con settori politici russi. Con quali prospettive?
Alba Dorata è un partito di estrema destra con forti riferimenti nazionalistici mediati da un retaggio bizantinista che talvolta emerge. Questo retaggio fa sì che Alba Dorata, diversamente da altre forze nazionaliste dei Paesi esteuropei, penso ai baltici o agli ucraini occidentali, sappia guardare con interesse e compartecipazione al mondo russo. Nel momento in cui Alba Dorata riuscirà a far prevalere l’elemento ideologico bizantinista rispetto al nazionalismo nel suo discorso pubblico e nella sua prassi di partito politico organizzato, parlamentare e con un seguito piuttosto consistente, avrà operato quel salto di qualità e, se mi si permette, di immagine, capace di connotare questa formazione come una forza più caratterizzata in senso propriamente tradizionalista, ossia legata alle specificità culturali proprie del Paese che la esprime, la Grecia, piuttosto che come un soggetto politico nazistoide per molti aspetti incapace di interpretare correttamente il tempo storico in cui è chiamato a operare.
Un ritorno alle gloriose origini ellenico-bizantine in luogo della nostalgia di un passato nero del Novecento, se ho inteso bene?
Credo che Alba Dorata dovrebbe privilegiare, nel suo discorso pubblico e nella prassi, l’elemento religioso, spirituale, rispetto all’elemento etnico. In altri termini, fintantoché la destra si ostinerà a presidiare una Terza posizione che ritengo francamente inconciliabile con i presupposti e le necessità storiche del tempo presente, continuerà a caratterizzare se stessa, nelle migliore delle ipotesi, come “mito incapacitante”.
Infine, cosa accade in Francia se un beniamino della Erasmus Generation e dei media mainstream come Macron orecchia i temi nazional-populisti (frontiere chiuse, nazionalizzazione, politica di grandeur in Libia)?
Personalmente non ho alcuna fiducia in Emmanuel Macron, che considero espressione della volontà di dominio dispotico caratteristica dell’élite transnazionali che lo hanno forgiato e sostenuto. Macron è e rimane un liberal-globalista profondamente persuaso dall’idea che mondializzazione capitalistica e progresso coincidano e che lavoro flessibile, precario, interinale e a chiamata sia sinonimo di libertà e progresso democratico. Non mi sorprende che i teenager della Generazione Erasmus, soggetti della produzione sociale di massa del capitalismo americano, considerino Macron il “loro candidato”.
È il re dei bamboccioni … ?
Questa generazione, che riesce a pagarsi il cibo e gli svaghi esclusivamente in virtù delle eredità precapitalistiche dei padri, pensa infatti veramente di poter sopravvivere col lavoro flessibile e precario. E questo è il vero tabù psicologico irremovibile che rende le nuove generazioni di fatto schiave del modo di riproduzione post-postmoderno. Le nuove generazioni sono convinte di avere “il mondo a portata di mano” in quanto autorizzate dalle élite a costituirsi parte integrante del regime dei flussi contemporaneo (flussi di desiderio capitalistico incontrollato) mentre invece sono integralmente dominate nella struttura e nella sovrastruttura.
Poi si sveglieranno!
Probabilmente, quando tra 20-30 anni gli schiavi avranno capito, scontando sulla loro pelle gli effetti sconvolgenti della condizione schiavistica, che non è possibile campare col lavoro flessibile e precario, forse qualcuno insorgerà, ma non come fanno i “giovani d’oggi”, ossia per domandare un surplus di circenses e pertanto per consolidare ulteriormente il sistema che si nutre sull’allargamento, oltre ogni limite, del perimetro della società dello spettacolo, bensì per rivendicare le proprie istanze di affermazione come classe portatrice di istanze tese alla conquista di diritti sociali collettivi.
a cura di Alfonso Piscitelli