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Sull’immigrazione, i populisti italiani sono il futuro. La Merkel è il passato

di Niall Ferguson - 20/06/2018

Sull’immigrazione, i populisti italiani sono il futuro. La Merkel è il passato

Fonte: Paolo Becchi

Centodieci anni fa l’autore britannico Israel Zangwill completò l’opera teatrale The Melting Pot. Messa in scena per la prima volta a Washington nell’ottobre del 1908 — dove fu applaudita con entusiasmo dal presidente Theodore Roosevelt — essa celebra gli Stati Uniti come un gigantesco crogiolo che fonde insieme “celti e latini, slavi e teutoni, greci e siriani — neri e gialli — ebrei e gentili” a formare un singolo popolo.

“Sì”, dichiara l’eroe dell’opera teatrale (come il padre di Zangwill, un immigrato ebreo proveniente dalla Russia), “Est e Ovest, e Nord e Sud, la palma e il pino, il polo e l’equatore, la mezzaluna e la croce… Qui si uniranno tutti per costruire la Repubblica dell’Uomo e il Regno di Dio”.

È piuttosto difficile immaginare un’opera teatrale simile scritta sull’Unione europea all’inizio del XXI secolo. O meglio si potrebbe facilmente immaginarne una molto diversa. In essa, l’afflusso di migranti provenienti da tutto il mondo avrebbe esattamente l’effetto opposto a quello immaginato da Zangwill. Lungi dal portare alla fusione, la crisi migratoria europea sta portando alla fissione. L’opere teatrale potrebbe essere chiamata The Meltdown Pot.

Credo sempre più che la questione della migrazione sarà vista dai futuri storici come il fatale solvente dell’Unione Europea. Nelle loro considerazioni, la Brexit apparirà semplicemente come un primo sintomo della crisi. La loro tesi sarà che un massiccio Völkerwanderung [migrazione di popoli, NdT] travolgeva il progetto dell’integrazione europea, rivelando la debolezza dell’Unione Europea come istituzione e riportando gli elettori alla politica nazionale per trovare soluzioni.

Iniziamo con l’entità dell’afflusso. Solo nel 2016 circa 2,4 milioni di migranti sono arrivati nei 28 stati membri dell’UE da paesi non-UE, portando il totale della popolazione dell’Unione nata all’estero a 36,9 milioni, oltre il 7% del totale.

Questo potrebbe essere solo l’inizio. Secondo gli economisti Gordon Hanson e Craig McIntosh, “il numero di migranti di prima generazione nati in Africa di età compresa tra 15 e 64 anni al di fuori dell’Africa subsahariana crescerà da 4,6 a 13,4 milioni tra il 2010 e il 2050”. La grande maggioranza di questi si dirigerà sicuramente verso l’Europa.

Il problema è irrisolvibile. La popolazione dell’Europa continentale sta invecchiando e si sta riducendo, ma i mercati del lavoro europei registrano scarsi risultati quando si tratta di integrare migranti non qualificati. Inoltre, gran parte degli immigrati europei sono musulmani. I liberal insistono sul fatto che dovrebbe essere possibile per cristiani e musulmani convivere pacificamente in un’Europa secolare e post-cristiana. In pratica la combinazione di sospetti storicamente radicati e divergenze moderne di mentalità — in particolare sullo status e il ruolo delle donne — sta rendendo difficile l’assimilazione. (Confrontate la situazione dei marocchini in Belgio con quella dei messicani in California se non mi credete).

Infine, c’è un problema pratico. Il confine meridionale dell’Europa è quasi impossibile da difendere contro le flottiglie di migranti, a meno che i leader europei non siano disposti a lasciare annegare molte persone.

Politicamente, il problema della migrazione sembra essere fatale per quella ampia alleanza tra socialdemocratici moderati e conservatori / cristiano democratici moderati su cui si sono basati gli ultimi 70 anni di integrazione europea.

I centristi europei sono profondamente confusi sull’immigrazione. Molti, specialmente quelli di centro sinistra, vogliono avere confini aperti e welfare state. Ma l’evidenza suggerisce che è difficile essere la Danimarca con una società multiculturale. La mancanza di solidarietà sociale rende insostenibili alti livelli di tassazione e redistribuzione.

In Italia vediamo un futuro possibile: populisti di sinistra (il Movimento Cinque Stelle) e i populisti di destra (la Lega) hanno unito le forze per formare un governo. La loro coalizione si concentrerà su due cose: consolidare le vecchie normative di welfare (prevede di annullare una recente riforma delle pensioni) ed escludere i migranti. La scorsa settimana, ricevendo molti applausi popolari, il ministro degli interni, Matteo Salvini, ha respinto una barca che trasportava 629 migranti salvati dal mare al largo della Libia. La Aquarius è ora in rotta verso la Spagna, il cui nuovo governo di minoranza socialista si è offerto di accettare il suo carico umano.

Dove altro possono arrivare al potere i populisti? Essi sono già al governo in qualche modo in sei Stati membri dell’Unione Europea: Austria, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Italia e Polonia. Ma in tutta l’Unione Europea ci sono un totale di 11 partiti populisti con il sostegno popolare del 20% o più, il che implica che il numero dei governi populisti potrebbe pressoché raddoppiare. È solo che pochi paesi possono eguagliare l’Italia per la flessibilità politica. Immaginate, se potete, l’Alternative für Deutschland (AfD) di destra sedersi con la sinistra tedesca (Die Linke) per salsicce e birra a Berlino. Impossibile. Di conseguenza, come i tedeschi hanno scoperto dopo la loro ultima tornata elettorale, non esiste in effetti alcuna alternativa se non quella per la vecchia grande coalizione di centro-destra e centro-sinistra di claudicare in avanti.

Claudicare è la parola. La scorsa settimana la cancelliera, Angela Merkel, si è scontrata con Horst Seehofer, il suo ministro degli Interni, che vuole allontanare dai confini della Germania ogni migrante già registrato in altri stati dell’UE. Secondo il regolamento di Dublino, il paese in cui un immigrato arriva per la prima volta è in teoria responsabile per la sua richiesta d’asilo. Ma in pratica i migranti possono guardarsi in giro per la destinazione più favorevole, grazie al sistema Schengen di viaggi senza frontiere a cui appartiene la Germania.

Agli occhi della Merkel, la Germania non può rinunciare a Schengen senza rischiare il crollo dell’intero sistema di libera circolazione. La sua speranza è che possa mettere insieme una specie di pacchetto paneuropeo sull’immigrazione al vertice UE a Bruxelles alla fine di questo mese. Ma non è ancora chiaro se il suo partner di coalizione, l’Unione Cristiano-Sociale Bavarese (che Seehofer guida), possa accettare questo. La CSU ha elezioni statali in arrivo ad ottobre e teme perdite a favore dell’AfD proprio sulla questione dell’immigrazione. In ogni caso, le possibilità di una coerente strategia migratoria paneuropea sembrano remote. Le frontiere nazionali appaiono come una soluzione più semplice.

Sono stato scettico nei confronti dell’argomentazione secondo cui Brexit riguardasse lasciare una nave che affondava. Ora sto rivalutando la mia opinione. Anche se l’impossibilità di riconciliare i conservatori per il Remain con quelli per la Brexit diventa una minaccia esistenziale per Theresa May, gli eventi in Europa si stanno muovendo in direzioni che fino a pochi anni fa sembravano inconcepibili.

Nel suo prossimo libro sull’immigrazione degli Stati Uniti, il mio brillante amico Reihan Salam — lui stesso figlio di immigrati bengalesi — sostiene una tesi coraggiosa: l’America deve o limitare l’immigrazione o rischiare una guerra civile man mano che l’ineguaglianza crescente e la tensione razziale si combinano.

Spero che Salam abbia ragione quando afferma che il melting pot americano possa in qualche modo essere salvato. Ma non ho una tale speranza per l’Europa. Nessuno che abbia trascorso del tempo in Germania dopo la grande scommessa del 2015–2016 della Merkel può onestamente credere che lì si stia creando un melting pot. Chiunque visiti l’Italia oggi può vedere che le politiche dell’ultimo decennio — austerità più frontiere aperte — hanno prodotto un collasso politico.

La fusione può ancora essere un’opzione per gli Stati Uniti. Per l’Europa, temo, il futuro è quello della fissione — un processo potenzialmente così esplosivo che potrebbe relegare la Brexit alle note a piè di pagina della storia futura.

Articolo di Niall Ferguson, storico e professore all’Università di Stanford (già Harvard), pubblicato su The Sunday Times il 17 giugno 2018. Traduzione di Donato Mancuso