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Breve storia del concetto di esauribilità delle risorse minerarie

di Nicola Dall’Olio - 04/11/2006

 

 

Ci sono ormai concrete evidenze che la domanda crescente di energia e materie prime

dell’economia mondiale stia portando ad un rapido e generalizzato esaurimento dei giacimenti

sfruttabili di idrocarburi e di molte altre risorse minerarie. Di fronte al dibattito sull’argomento, il

concetto di esauribilità deve essere definito con chiarezza. "Esaurimento" è sempre da intendersi in

termini relativi. Esso può essere applicato sia ai giacimenti che alla risorsa mineraria che da questi

viene estratta. Nel caso degli idrocarburi (se utilizzati per soli scopi energetici), l’esaurimento dei

giacimenti si ha quando l’energia impiegata nell’estrazione è pari o superiore a quella ricavabile

dall’idrocarburo estratto. L’esaurimento del giacimento coincide con l’esaurimento delle risorsa, in

quanto quest’ultima, una volta estratta e consumata, non può essere riciclata. Nel caso di risorse

minerarie non utilizzate per scopi energetici, l’esaurimento dei giacimenti va riferito a giacimenti in

cui il minerale o l’elemento di interesse si presenta in concentrazioni e forme chimiche tali da

renderne fattibile e conveniente l’estrazione. Poiché questi minerali, o elementi, una volta estratti e

utilizzati nel processo produttivo possono in teoria essere riciclati e riutilizzati, l’esaurimento dei

giacimenti può non coincidere con l’esaurimento della risorsa. Il riciclo, così come l’estrazione, ha

però un costo energetico che è tanto più grande quanto più la risorsa da riciclare si presenta dispersa

e a bassa concentrazione. Ne discende che l’esauribilità delle risorse minerarie è direttamente

collegata alla disponibilità energetica e, quindi, alla disponibilità/esauribilità dei combustibili

fossili.

In assenza di validi sostituti energetici e di un ripensamento delle forme di consumo, la crescita

dei prezzi e la riduzione degli approvvigionamenti che si profilano all’orizzonte rischiano di

sconvolgere il sistema economico e produttivo e di incrementare la già alta conflittualità planetaria

per l’appropriazione di risorse sempre più scarse. Ci si aspetterebbe quindi che il problema

dell’esaurimento delle risorse minerarie e la necessità di adottare in tempi brevi adeguate

contromisure fossero al primo posto nelle agende politiche e trovassero largo riscontro nei media e

nell’opinione pubblica.

Nella realtà dei fatti questo non accade. Si assiste al contrario a una sorta di rimozione

collettiva di un problema che incombe sulle nostre società come un immane Tsunami.

L’esposizione delle evidenze più stringenti non pare sufficiente a suscitare allarme o a comunicare

l’urgenza di un cambio radicale del sistema di produzione e consumo. Autorevoli commentatori

economici assicurano che non occorre fasciarsi la testa prima di essersela rotta: ci penserà il

mercato e il progresso tecnologico a trovare le alternative al momento opportuno, senza grandi

discontinuità o scossoni. Altri, semplicemente, negano l’evidenza arrivando a sostenere che i

combustibili fossili e, in generale, le risorse minerarie del pianeta sono di fatto inesauribili.

Di fronte a quest’ultima risposta si rimane senza parole e ci si domanda come sia possibile che

a più di tre secoli dalla rivoluzione scientifica si possano ancora fare affermazioni in palese

contraddizione con i più elementari principi della fisica. Le ragioni sono molteplici e complesse e

hanno a che fare con il grado di penetrazione del pensiero scientifico nella società attuale (spesso

molto sopravalutato1) e con l’incomprimibile tendenza umana a rimuovere le cattive notizie e a

confidare più nelle proprie speranze che nei crudi riscontri della realtà.

Una ragione non secondaria di questa refrattarietà a concepire (e quindi affrontare

tempestivamente) il problema dell’esaurimento delle risorse minerarie può essere ricercata nel fatto

che il concetto di "esauribilità" a scala regionale e, infine, planetaria è un’acquisizione molto

recente e, come tale, non ancora recepita a livello di coscienza collettiva. Nella storia del pensiero,

una chiara definizione del concetto e delle sue possibili implicazioni per il sistema economico e

produttivo sembra non emergere prima del XVIII-XIX secolo2. Questa datazione non pare casuale,

ma dipendere piuttosto da una serie di fattori fra loro concatenati che hanno a che fare con la storia

del pensiero, dell’economia e delle istituzioni sociali e politiche.

Presupposto fondamentale per la formulazione del concetto di esauribilità è il superamento

delle cosmologie organicistiche e antropocentriche del Rinascimento e del Medio Evo e l’affermarsi

di una concezione scientifica del mondo naturale in cui i fenomeni e le trasformazioni della materia

sono soggetti a vincoli ineludibili, a limiti fisici e a leggi di conservazione. Fintanto che non si

distingue nettamente tra ambito organico e ambito minerale, si crede ai miracoli e alla

moltiplicazione dei pesci, si catalogano le pietre in base ai loro poteri taumaturgici, al loro nome o

alle loro analogie formali, si interpreta la Terra come un grande organismo pervaso da un unico

fluido vitale, si ritiene, secondo la tradizione alchemica, che da qualsiasi cosa possa essere estratta e

ricavata ogni altra cosa, le risorse, di qualsiasi tipo esse siano, non saranno mai di principio

esauribili.

Noi oggi diamo per scontati separazioni, tassonomie, vincoli che non esistevano affatto prima

della rivoluzione scientifica e senza i quali era impossibile concepire la limitatezza e, quindi il

possibile esaurimento, delle risorse fossili, intese nel senso originario del termine di corpi naturali

collocati sottoterra e contraddistinti dal comune carattere della pietrosità3. Nelle cosmologie di

derivazione neoplatonica e aristotelica che si contendevano la scena del pensiero occidentale tra il

XVI e XVII secolo, la distinzione tra vivente e non vivente non aveva semplicemente alcun senso.

Ancora nella seconda metà del ‘600, era comune tra i filosofi della natura la credenza che le pietre

fossero generate e partecipassero in qualche modo dello spirito vitale che connetteva e accomunava

ogni entità del cosmo. M.J.C. Schweiger, nel De ortu lapidum (1665), afferma che "le pietre, come

le piante, sono generate e l’oro genera l’oro, le gemme le gemme, le pietre le pietre. In virtù del

loro potere seminale ogni specie riproduce se stessa e si mantiene intatta e perfetta. […] Così come

nel salice che pure assomiglia alle altre piante, il principio seminale è diffuso nell’intero corpo

dell’albero tanto che un nuovo salice nasce da un rametto di salice tagliato, allo stesso modo il

principio riproduttivo è presente in tutte le parti della pietra4".

Agli occhi di molti pensatori del tempo le pietre paiono animate da una vis lapidificativa; esse

in analogia con gli esseri viventi crescono e si riproducono nelle viscere della Terra, così come il

feto umano cresce nel ventre della madre. Secondo lo storico della Scienza M.J.S. Rudwick, anche

tra chi si occupava di questioni minerarie persisteva "la credenza, alimentata senza dubbio dalla

crescita visibile di minerali secondari nelle gallerie delle miniere, che i minerali estratti venissero

1 Si veda ROSSI P. (2006).

2 WILLIAMS J. (1789): The Limited Quantity of Coal of Britain; JEVONS W. S. (1865): The Coal Question. Come si può

desumere dai titoli, gli autori si occuparono esclusivamente del problema dell’esaurimento del carbone in Gran

Bretagna, un tema che fu vivacemente dibattuto in epoca Vittoriana. Si veda HARDIN G. (1993) cap. 14; MARTINEZALIER

J (1991) cap. V.

3 E’ questa la prima definizione di Fossile riportata nel De Natura Fossilium (1546) di Georg Bauer, altrimenti

conosciuto come Agricola. Si veda ROSSI P. (1997) e DALL’OLIO N. (2004).

4 Cit. in ROSSI P. (1979), p. 27.

regolarmente rigenerati5". Qualsiasi evidenza di "processi di pietrificazione" poteva essere

interpretata come la prova della capacità di crescere e riprodursi dei minerali. "Tutte le pietre,

sosteneva Cardano, erano in un certo senso vive, benché la vita delle piante e degli animali fosse

più manifesta. Ma le pietre, come dimostravano le stalattiti e i cristalli, condividevano chiaramente

la proprietà della crescita. Allo stesso modo, il decadimento di alcuni minerali suggeriva analogie

con le malattie, la vecchiaia e la morte; e alcune pietre molto dibattute, le aetiti (probabilmente un

nodulo di concrezione), spesso contenevano una pietra più piccola all’interno di una cavità

centrale, un fatto che lasciava pensare di averle colte nell’atto della riproduzione6."

Il superamento di questa concezione organicistica e generativa del mondo minerale, il

riconoscimento di una netta distinzione tra le forme e le proprietà delle cose animate e di quelle

inanimate, la stabile assunzione della cosmologia e delle leggi fisiche espresse dalla Nuova Scienza

rappresentavano gli indispensabili passaggi epistemologici per concepire la finitezza delle risorse

minerarie. Essi tuttavia non erano sufficienti per arrivare ad affermarne l’esauribilità su scala

regionale o sovraregionale. Certo i filoni delle miniere, man mano che il minerale veniva estratto, si

esaurivano. Ma nessuno, all’inizio del XVIII secolo, poteva dire quanto di questo minerale fosse

effettivamente estraibile sul territorio del proprio regno e ancor meno su quello del continente

europeo o, addirittura, del pianeta. Benché si fosse già notato che i minerali utili si reperivano solo

in alcuni luoghi7, per lo stato delle conoscenze di allora essi avrebbero potuto rinvenirsi disseminati

nella crosta terrestre in quantitativi tali da risultare virtualmente inesauribili. Il problema della

esauribilità di una risorsa mineraria poteva porsi solo se si aveva un’idea di quanti fossero questi

luoghi propizi e di quanto minerale vi fosse contenuto. In altre parole solo se si arrivava ad avere

una stima di massima del numero e della potenzialità dei giacimenti sfruttabili entro i confini di un

territorio di vaste proporzioni quale poteva essere quello di uno Stato o di un continente.

Una simile stima richiedeva un enorme accumulo di conoscenze fisiche, geografiche e

geologiche che dovevano essere acquisite e organizzate entro i nuovi quadri concettuali forniti dalla

Scienza. Non solo: occorreva definire metodi standard per il rilevamento e la classificazione dei

riscontri empirici e sviluppare adeguati strumenti teorici e materiali per rappresentare e sintetizzare

le conoscenze raccolte su un’affidabile base cartografica. Ma la questione non è unicamente di

carattere epistemologico e conoscitivo. Imprese come l’Atlante mineralogico di Francia8, portato a

termine nel 1780 da Guettard e Monnet sulla base topografica di Cassini, potevano essere realizzate

solo se vi era a monte un’istituzione centrale in grado di finanziare e di coordinare, da un punto di

vista amministrativo, progetti pluriennali di esplorazione e rilievo che richiedevano il concorso di

più persone con competenze tecniche e scientifiche diversificate. E questo si renderà possibile solo

alla fine del XVIII secolo con l’affermarsi degli Stati Nazionali quali entità politiche ed

economiche.

Gli Stati Nazionali sono infatti i principali promotori di queste imprese conoscitive e gli unici

soggetti che dispongono delle risorse finanziarie ed organizzative per portarle a termine. Nella

seconda metà del ‘700 si moltiplicano le spedizioni geografiche e cartografiche commissionate dai

regnanti allo scopo di migliorare le conoscenze del proprio territorio e, soprattutto, di determinare le

"ricchezze" in esso contenute, in termini di minerali, metalli, foreste, terreni coltivabili. La

conoscenza dettagliata del territorio e delle risorse naturali disponibili viene infatti percepita da

5 RUDWICK M.J.S. (1976); p.24. Traduzione dell’autore.

6 RUDWICK M.J.S. (1976); p. 25. Traduzione dell’autore.

7 L’irregolarità nella distribuzione dei giacimenti era già stata considerata degna di attenzione da Cartesio. In alcuni

paragrafi de I Principii della Filosofia egli provò a spiegarne le cause a partire dal suo modello di formazione della

Terra. Il primo di questi paragrafi porta il significativo titolo Perché i metalli si trovano solo in certi luoghi della Terra

(I Principii della Filosofia, Parte IV, 73).

8 GUETTARD J. (1780): Atlas et description minéralogique de la France. Si veda DALL’OLIO (2004), cap. 6.2

questi regnanti "illuminati" come il primo passo per il miglioramento economico e infrastrutturale

della Nazione e per l’affermazione della propria potenza. Lo stesso Atlante mineralogico di Francia

viene realizzato su ordine di Luigi XVI, interessato a conoscere le risorse minerarie del suo regno.

L’interesse specifico per le risorse minerarie risponde a sua volta a un radicale cambiamento nelle

forme di produzione della ricchezza che interviene con l’avvio della prima rivoluzione industriale,

un altro frutto maturo della nuova Scienza e l’ultimo decisivo fattore necessario per l’emergere del

concetto di esauribilità.

Nelle società pre-industriali la domanda di risorse minerarie è molto ridotta e risulta per di più

limitata dalla bassa disponibilità di energia per l’estrazione e la lavorazione del minerale, attività

che richiedono ingenti quantitativi sia di energia meccanica che di calore. L’unica fonte energetica

disponibile, esogena a quella dell’uomo e degli animali, è rappresentata dalla legna, un bene caro e

sovrasfruttato che nei periodi di maggiore crescita demografica spesso viene a mancare fino al

punto di costringere le fonderie a funzionare solo per brevi periodi dell’anno. Il fattore limitante non

risiede quindi tanto nella disponibilità della risorsa mineraria, quanto nella capacità dell’uomo di

procurarsela.

Con la prima rivoluzione industriale, lo sfruttamento del carbone quale fonte di energia

primaria e l’invenzione della macchina a vapore si pongono però i presupposti perché questo

rapporto venga alla fine a ribaltarsi. Progresso tecnologico e meccanico, crescita di disponibilità

energetica e di capacità estrattiva, incremento della domanda di materie prime e risorse minerarie

innescano un meccanismo di sfruttamento esponenziale a feed-back positivo che tende a spostare

sempre più rapidamente il fattore limitante sul lato della risorsa piuttosto che dell’uomo. Allo stesso

tempo l’interesse a migliorare l’efficienza delle macchine a vapore nel convertire l’energia termica

in energia meccanica produce i nuovi quadri concettuali della termodinamica che evidenziano

l’irreversibilità delle trasformazioni energetiche e dunque l’impossibilità fisica di recuperare e

riciclare l’energia contenuta nel carbone una volta che questo è stato bruciato. Non è quindi casuale

che una delle prime approfondite analisi sull’esauribilità delle risorse minerarie a scala nazionale

(The Coal Question di W.S. Jevons) compaia in Inghilterra in piena rivoluzione industriale,

nell’anno in cui Clausius introduce il concetto di entropia (1865)9, e riguardi espressamente il

carbone, ovvero una risorsa mineraria di principio non riciclabile dal quale dipende lo sfruttamento

di tutte le altre e, più in generale, la dinamica di crescita dell’industrializzazione.

L’esauribilità del carbone e di altre materie prime, quali il guano e l’olio di balena, venne molto

dibattuta nella seconda metà del XIX secolo10. Ma il concetto di esauribilità passò rapidamente in

secondo piano fino ad essere pressoché dimenticato a causa della espansione degli areali di

approvvigionamento e dei continui progressi tecnologici che consentivano di migliorare le

prospezioni geologiche, di incrementare la profondità e l’efficienza di estrazione e di sfruttare

risorse sostitutive, come il petrolio nel caso del carbone e dell’olio di balena.

In apparenza smentite sul piano empirico, le previsioni di esaurimento delle risorse vennero

così soppiantate da un mito psicologicamente ben più appagante che veniva alimentato dal

procedere della stessa rivoluzione scientifica ed industriale: il mito del progresso. Con il tempo

questo mito ha pervaso l’immaginario collettivo fino a produrre teorie economiche che, in palese

contraddizione con i principi della termodinamica, sono arrivate a negare il problema

dell’esaurimento delle risorse postulando la completa sostituibilità del capitale naturale con il

capitale tecnologico e finanziario e la conseguente indipendenza del sistema economico

dall’ambiente fisico11. Queste teorie anti-scientifiche che stanno alla base dell’attuale struttura

9 PRIGOGINE I., STENGERS I. (1999), p. 124.

10 Si veda MARTINEZ-ALIER J (1991), cap. V.

11 DALY H. (1996); BARDI U. (2006).

economica e produttiva fanno il paio con le teorie rinascimentali della generazione dei metalli nelle

viscere della Terra, con la differenza che queste ultime furono formulate prima della rivoluzione

scientifica e in sostanziale accordo con le conoscenze e le cosmologie del tempo.

Le teorie inconsistenti hanno vita breve, prima o poi si scontrano con la realtà e rivelano tutte le

loro contraddizioni. Se da queste teorie dipende però un intero sistema economico produttivo lo

scontro può avere conseguenze pratiche alquanto spiacevoli. Ignorare a lungo l’esauribilità e

continuare a credere in un’infinita disponibilità delle risorse minerarie può infatti costare molto caro

alle moderne società del benessere. La storia economica dell’isola di Nauru può essere al riguardo

istruttiva. Nauru è un’isola indipendente della Micronesia con una superficie di 21 chilometri

quadrati e una popolazione di circa 12.000 abitanti. All’inizio del XX secolo un geologo australiano

scoperse che l’isola era un unico grande giacimento di fosfati derivanti da depositi di guano. Pochi

decenni dopo venne avviata l’attività estrattiva su scala industriale. Nel secondo dopo guerra, grazie

all’esportazione dei fosfati, Nauru divenne rapidamente uno dei paesi con il più alto reddito pro

capite al mondo. Quasi tutta la ricchezza veniva bruciata per importare e rinnovare continuamente

beni di lusso e di consumo in misura sproporzionata rispetto alle reali necessità e possibilità d’uso.

Nessuna forma di riciclo e di riparazione veniva presa in considerazione. Le automobili e gli

elettrodomestici guasti, o semplicemente fuori moda, venivano abbandonati nell’interno dell’isola

per essere sostituiti con gli ultimi modelli usciti sul mercato. Ubriacati da un consumismo sfrenato,

gli abitanti di Nauru non si preoccupavano più di tanto di ridurre la propria dipendenza dalle

importazioni e di crearsi fonti alternative di reddito.

Solo quando le prospettive di esaurimento dei giacimenti di fosfati si sono fatte evidenti, il

governo ha provato a diversificare le sue entrate cercando di fare rendere i proventi delle

esportazioni attraverso investimenti immobiliari e finanziari. Questi investimenti non si sono

rivelati oculati o, per lo meno, sufficientemente redditizi per compensare la riduzione di entrate

conseguente al progressivo e inesorabile calo delle estrazioni. Nel giro di pochi anni le miniere si

sono esaurite, il debito estero è andato alle stelle e la popolazione di Nauru è passata rapidamente

dalla prosperità all’indigenza. Attualmente il governo fatica sempre di più a pagare il proprio

personale dipendente, l’aeroporto anni prima trafficato cade a pezzi, le attrezzature un tempo

all’avanguardia dell’ospedale non funzionano, i pochi veicoli che ancora circolano si riducono di

numero ad ogni guasto per la cronica mancanza di pezzi di ricambio. Si sta provando a lanciare

l’isola dal punto di vista turistico, ma mancano le risorse per fare funzionare l’agenzia governativa e

soprattutto per risanare l’interno devastato dalle cave e dalle discariche. Perfino la situazione

alimentare rischia di diventare critica12.

La storia di Nauru dovrebbe servire da ammonimento. L’attuale stima a scala globale delle

risorse petrolifere e di altre risorse minerarie fondamentali, come ad esempio gli stessi fosfati, fa

pensare che l’isola Terra sia vicino alla condizione in cui si trovava Nauru quando si è iniziato a

realizzare che i giacimenti non sarebbero durati all’infinito. Disponiamo ancora di ingenti risorse

finanziarie, energetiche e materiali per provare a cambiare il nostro sistema di produzione e

consumo, per diversificare gli investimenti, per liberarci dalla dipendenza dei combustibili fossili,

per ridurre la dispersione in forme non sfruttabili di risorse minerarie sempre più scarse, per

superare, in altri termini, la logica, alla lunga diseconomica e controproducente, dello spreco e della

crescita continua dei consumi. Non possiamo indugiare oltre, aspettare che i segnali di scarsità

diventino ancor più evidenti di quelli attuali perché potrebbe essere troppo tardi per cambiare. E non

12 La storia dell’isola di Nauru si basa su un documentario trasmesso dal canale satellitare franco-tedesco ARTE-TV nel

settembre 2006 e su informazioni reperibili alla voce Nauru su wikipedia.org

possiamo nemmeno permetterci il lusso di sbagliare nelle nostre scelte di cambiamento, perché non

esistono altre isole da cui importare le risorse che potrebbero venirci a mancare.

Nella storia umana successiva alla rivoluzione agricola, alcune comunità isolate hanno dato

prova di sapere perpetuarsi nei secoli in un contesto ambientale di risorse di base limitate ed

esauribili autoregolandosi con norme ed istituti sociali che riducevano gli sprechi, massimizzavano

il riciclo e contenevano i prelievi entro le quote rinnovabili. Ne sono un esempio numerose oasi del

deserto sahariano13 o i sistemi di masi delle alte valli alpine. Si tratta però di piccole comunità,

fortemente coese da un punto di vista sociale e altrettanto omogenee sotto quello culturale, che

potevano avere un riscontro diretto e ravvicinato degli effetti dei loro comportamenti collettivi sulla

disponibilità e la qualità delle risorse. Resta da vedere se simili forme di autoregolamentazione

sociale siano davvero replicabili alla scala ben più vasta e articolata della Terra e dell’umanità.

Bibliografia

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