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LA POSTA DEI LETTORI

di - 15/02/2005

Matematica e linguaggio
La matematica è un linguaggio?
Se lo è, che tipo di comunicazione esprime?
Come nasce e si sviluppa il linguaggio matematico? La matematica è compatibile col“parlar comune”? Oppure lo integra?. Perché per molte persone anche di buona cultura rappresenta un serio pro blema? Da dove nasce e come si sviluppa l’horror mathematicus, che nei casi estremi assurge a vera e propria nevrosi?. Queste domande sono un ricordo del 1939, quando ottenni l’iscrizione al liceo scientifico CAVOUR , a Roma, dove ci eravamo trasferiti dopo la morte precoce di mio padre. Le supplenze di matematica e fisica venivano assegnate da un Preside eccezionale a studenti degli ultimi anni della sovrastante Facoltà d’Ingegneria. (Spero ancora di riuscire a rintracciarne i nomi) Alcuni di loro erano assistenti di laboratorio a via Panisperna. Le lezioni di quei supplenti erano inusuali: di circa 6-10 anni maggiori di noi ci intrattenevano, prima e durante le lezioni vere e proprie, con conversazioni introduttive o risposte a quesiti che eravamo liberi di esporre. Non introducevano mai un nuovo argomento senza aver prima esaurito questa fase. Successivamente, ci invitavano alla lavagna e, alla fine, eravamo incoraggiati ad esporre quanto appreso.In una lezione del prof., invece, sentimmo di un “certo” scienziato italiano che aveva disertato per le lusinghe di un ebreo americano(!) che sosteneva una teoria “decadente ed eretica”. Quella fu una delle rare volte in cui non ottenemmo risposte e notammo l’imbarazzo dei nostri insegnanti-amici quando riferimmo quelle frasi. Solo dopo il congedo, a Milano, presso l’ IAI, in un ciclo di conferenze con esperti europei e americani sulla organizzazione del lavoro nell’industria, collegai la conversazione informale di un docente del MIT, con i cenni raccolti al liceo (ho rimpianto per tutta la vita quegli studi interrotti e ripresi molti anni dopo, a causa della mia precoce mobilitazione e degli anni di guerra). Alle domande poste all’inizio penso si possa rispondere: 1)Dal punto di vista della specificità, cioè nella comunita’ degli iniziati, certo le Matematiche sono un linguaggio specifico. Ma oltre ciò, con modalità ed applicabilità diverse, esprimono la universale comunicabilità e affinità metodologica di tutte le scienze sperimentali. Appunto per questo non dovrebbero mai essere insegnate senza il rapporto con eventi del mondo fisico, illustrati e discussi, solo dopo i primi ordini di studi, quando le tecniche calcolatorie (Aritmetica) siano state apprese, includendovi l’uso dei supporti computerizzati..Per questo stesso motivo, gli ingegneri, se disposti ad insegnare non solo per difficoltà professionali, sarebbero ottimi docenti di Matematica. Hanno anche il vantaggio di saper esemplificare e disegnare alla lavagna: proprio quella lavagna che Galileo definì “la misura degli ingegni”, da cui probabilmente deriva il termine ingegneria. 2)Dal punto di vista comune, anche nella vita quotidiana, le matematiche sono un linguaggio, quanto meno integrativo: fare acquisti, prendere un treno, versare o prelevare in banca, ecc. ecc.implicano una matematica colloquiale comune sempre più estesa e comprensibile. 3) Come e quando nasce in ciascuno di noi il germe della Matematica? Certamente è frutto della ragione, intesa come elaborazione cosciente in età adeguata alla PERSONA (quindi in età non cronologicamente uguali: il primo compito del Docente è perciò l’ impostazione sapiente di una soglia generalizzata di affinità gnoseologiche personali, tra gli Alunni che gli sono affidati.) Come vedremo(1), è compito arduo ma indispensabile, meritorio non preselettivo, che può essere pra- ticato solo se l’amministrazione scolastica cura con intelligenza e competenza la libertà didattica e la creatività dei Docenti, non la sola ripetitività dei programmi, fornendo i supporti scientifici necessari: specialisti consulenti, sussidi didattici e tecnologie ausiliarie. Tuttavia, ciò non sarebbe sufficiente se non esistesse una poderosa spinta, una curiosità emotiva innata, una irrequietezza percettiva bramosa di vedere, toccare, assaggiare, ecc. E’ la spinta vitale. Non va frustrata. L’ordine in classe si mantiene per altre vie, fondate sul colloquio cordiale. Gli istinti del neonato sono filogenici: quelli della specie fin dalle origini, che l’infante percorre e ricapitola e che la società in cui nasce ha il dovere primario di razionalizzare. 4)La fase valutativa ontogenica nasce forse come processo comparativo delle forme differenziate, dalla senzazione di vuoto o pieno, pochi o molti o nessun “bene-cibo” gratificante ( stizza e pianto del neonato, ovvero gorgoglìo gioioso e gesti di compiacenza). In questo senso è inizio spontaneo di percezione della presenza o assenza altrui, oltre sé: (contemplazione delle dita e suc- cione, tentativi di afferrare nasi e orecchie altrui, oggetti ecc.).“ Prima di permetterci di rendere infelice il neonato (in fase orale), dobbiamo…..assicurarci se l’appetito del bimbo è stato soddisfatto” Questa osservazione di Susan Isaacs è giusta, ma fa rabbrividire, pensando al terzo mondo. 5) I primi sei anni del bambino, la gestione del suo sviluppo da parte di genitori e insegnanti, possono condizionarne il destino da adulto (Susan Isaacs: “Dalla nascita ai sei anni: affetti, gelosie, timidezza, paure, capricci, emozioni, fantasie, e cura-allevamento del bambino” Ed. Univ. Firenze).Lo spontaneismo ontogenico dei primi mesi o anni (variabile in funzione dei carat teri ereditari ma anche del modello economico-culturale d’allevamento del neonato) può svilupparsi quindi su modelli inferiti dal tipo d’ambiente che lo accoglie (se e come lo accoglie). In ogni caso, comunque, il linguaggio colloquiale comune e il linguaggio matematico elementare nascono dalla fonte primaria di ogni conquista-disfatta; gioia-dolore; fiducia-opposizione; ecc., cioè dallo stato di necessità psico-fisica individuale, nonchè dalla libertà o costrizione culturale dell’ambiente in cui l’individuo percorre le sue fasi di sviluppo. Ogni nascituro avrà diritto di scelta, ma NESSUNO ha il diritto di imporre ipoteche al suo futuro. Educare (da ex-duco “traggo fuori”) significa sviluppare, non reprimere. 5) Nessuna cultura epocale e storica particolare ha il diritto di considerarsi “inventore”delle Mate- matiche (credo che si debba usare il plurale, in ogni caso) Le culture dell’Eufrate e dell’ Indo, dello Egitto e della Grecia, di Roma, dei Maya, del Perù, ecc. calcolarono “suo modo”, tutte con efficacia, secondo NECESSITA’. Ciascuna elaborò qualcosa, ciascuna ha operato in varia misura pur con simbologie, numerazione e sussidi diversi (abaco, pallottoliere, quipo, sabbiere e bastoncino) ecc, ecc. La necessità di scorte, dell’accumulo e della ripartizione dei beni comuni, ed altro, furono e saranno “necessità di calcolo” in ogni tempo, luogo e civiltà. Ma l’aspetto calcolatorio è solo aritmetica. Oggi macchine sofisticate lo risolvono per noi. Possiamo essere sostituiti nel calcolo (ed effettivamente spesso è già così), non siamo ancora, e probabilmente non lo saremo in futuro, sostituibili nella costruzione logica dei processi e dei progetti e programmi (e quindi nelle finalità), per cui calcoliamo, dopo aver RAGIONATO. Le macchine ci sostituiscono aritmeticamente, NON matematicamente. Un esempio nelle vicende attuali: per quanto riguarda le istruzioni per le azioni programmate, ossia gli algoritmi e più ancora l’autocorrezione di errori di esecuzione degli stessi ( software engineering ) mediante la retroazione (Feedback) siamo addirittura alle loro applicazioni spaziali e ahinoi belliche. Ma siamo sempre e comunque sul piano calcolatorio esecutivo. Le Matematiche non sono soltanto aritmetica, né gli elaboratori progetteranno senza l’uomo. Questa diversità-complementarietà tra Aritmetica, Matematica, Geometria, non chiarita.è, a mio parere, insieme con la fondamentale ignoranza in campo scientifico di troppi variegati tipi di “artisti”, la fonte di molti equivoci e diffidenze, nel mondo della mezza-cultura, non umanistica e tantomeno scientifica, cui cine e tv dedicano tanti ridicoli films spazzatura, visti purtroppo dai bambini parcheggiati. Ma finchè padri e madri (e qualche “docente”) rimarranno passivi e con essi anche la Scuola, seguiteranno a passare inosservati anche veri atti di superstizione moderna, come la soppressione di Istituti di ricerca avanzata (L’Istituto di Cibernetica dell’Università di Milano) o lo scandalo di certe polemiche ideologico-sostitutive dedite al discredito della AI (Intelligenza Artificiale). Bisogna però riconoscere che il termine fu lanciato negli USA, con quella vena di humor dissacrante anglosassone che non ama la seriosità cattedratica ottocentesca, in certi Atenei, e certi settori oltranzisti per interessi retrivi, tutt’ora vigente in Europa. In effetti la AI originariamente si riferiva al training robotico che permetteva l’autogestione di operazioni del robot. (Le “tartarughe” del MIT, autoalimentantesi, ed altro, comprese nel c.d. “test di Turing”.) Comunque, sappiamo bene da chi e come questi fenomeni d’intolleranza ignorante sono pilotati in Italia. Ma due fattori epocali di progresso irreversibile debbono incoraggiarci: Il riscatto e la partecipazione sempre più attiva e consistente dell’altra metà dei cervelli umani: quelli delle donne, che segneranno il secolo se non il millennio appena iniziato. l’incremento della tecnologia di pace figlia delle Scienze (in attesa che il sogno Einsteniano si realizzi nel campo unificato DELLA Scienza) che dovrà indicarci come convivere e con quali strumenti e metodi persistere nell’ ormai angusto pianeta che ci ospita, per il momento… L’horror mathematicus. Non è fenomeno solo italico, una volta tanto: in Francia e negli USA, meno in Inghilterra e in Germania, e scarsamente nelle Nazioni dell’Est europeo e nell’Asia, appare un po’ ovunque, con differenti rapporti relativi al livello di scolarizzazione e di cultura scientifica dei vari Paesi. Ma da noi assume caratteri sconcertanti: è quasi un distintivo di CULTURA SUBLIME, il dichiararsi ignoranti nelle matematiche! Non possiamo nemmeno affermare che il fenomeno sia antico: semmai dobbiamo considerare che si associa paradossalmente allo sviluppo delle tecnologie, beni e strumenti a partire dal primo industrialismo dell’inizio dell secolo XIX. Consideriamo lo stato civile e sociale delle masse di lavoratori all’inizio della applicazione delle scienze al lavoro produttivo. Anche nelle Nazioni allora più avanzate (Francia, Inghilterra, Germania e gli stessi USA) il loro asservi mento non solo lavorativo, ma anche ideologico (malgrado il razionalismo francese, che illuminò le classi dominanti, quasi sempre “pro domo sua”, le masse erano preda di superstizioni di ogni genere). Non mancarono certamente i benefattori e gli illuminati a favore dei derelitti, ma era beneficenza, ossia l’orrido concetto: “ti regalo un po’ del mio superfluo, ma tu mi devi gratitudine e lavoro”( Il rivoltante concetto medievale della carità, che vige ancora). Ma c’è anche un aspetto patetico e comico: la mezza “cultura” che identifica il termine con le cosiddette “opere d’arte” ma non va oltre, non vede che nella pittura, scultura, poesia, architettura, musica, ecc.vere, c’è una componente fondamentale di sensibilità-razionalità, comune a tutte le opere dell’ingegno. Un certo atteggiamento di sufficienza-invidia nei riguardi delle matematiche non è universale, né storico. Da questo punto di vista, come già detto, è un fenomeno sociologico di massa, istintuale, dovuto al panico provocato negli strati più disagiati economicamente e culturalmente, dalle innovavazioni :“diavolerie” moderne. Il modernismo della tecnologia non poteva più essere racchiuso nelle dotte dispute di salotto: toccava direttamente anche la sfera del lavoro quotidiano come mezzo di sfruttamento ulteriore dei lavoratori. Ma ben presto ci si rese conto che nel mondo operaio sorgevano anche capacità differenziate e diverse, ma non meno necessarie. I più svegli tra essi, che pur non “capivano il latino”, imparavano rapidamente a governare una macchina, assisterla e magari, in breve tempo, a ripararla o migliorarla. Inoltre, nelle antiche industrie tessili , alimentari ecc. dove la presenza delle donne era da sempre notevole, i nuovi strumenti ne incrementavano la presenza e la permanenza in comunità non più solo familiari. Il problema diventava quindi addirittura scandaloso per quei tempi di sottomissione femminile, e il modernismo quindi un fatto eversivo. Puntualmente, arrivarono battaglie politico-religiose e la preghiera contro il modernismo. Ma non è tutto: anche la piccola “classe media” emergente, che pur traeva qualche notevole beneficio dalla crescita degli impieghi, sentiva che andava nascendo una “cultura nova”, non più solo speculativamente pensata, ma fatta di azione, ricerche, costruzione, innovazione. La mutazio- ne culturale era esplosiva: il discorso “colto” diventava una ridda di formule, calcoli astrusi, vocaboli sconosciuti, ecc. I ruoli sociali di tutti i tipi, venivano sconvolti o ridimensionati. Ho collocato l’inizio di tutto questo ai primi lustri del secolo XIX. Ebbene, il matematico Pierre Boutroux, nel suo lucido trattato “Le Matematiche”, del 1927, ritenne ancora necessario scrivere una lunga prefazione al suo trattato (tradotto e uscito in Italia nel 1929) per polemizzare contro “la gente (che) non si limita ad ignorare le matematiche; essa le giudica, e se, in generale ha per quelle un certo rispetto ed anche una certa ammirazione, non sente alcuna benevolenza verso di loro.Quan- do un uomo di spirito dichiara, secondo l’espressione consacrata: “non ho il bernoccolo delle matematiche”, si può esser sicuri che nel suo dire e nel suo sorriso non c’è alcun accento di rammarico, ma anzi, un intimo compiacimento”.Quasi ottanta anni fa Boutroux aveva già illustrato le uscite di certi nostri personaggi di successo televisivo, salottiero e culturale (ahinoi!). In questo senso Michele Emmer con i suoi Convegni annuali a Venezia (la città dei merletti marmorei, insieme con Firenze), sul tema Matematica e Cultura sta conducendo una crociata garbata, illuminata ed efficiente. Spero proprio, e con me molti altri interessati al tema, che prima o poi vi includa anche una voce dedicata a: La Matematica ed il suo insegnamento. (Preciso che non insegno Matematica e non mi propongo come relatore.!!) A chiusura, una acuta osservazione di Tobìas Dantzing ( in “Linguaggio e Scienza”): “E’notevole che le scoperte matematiche che sono più accessibili alle masse, siano anche quelle che hanno esercitato maggior influenza nella evoluzione della Matematica “pura”.
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(1) Nota: La Scuola italiana, specie nei suoi primi livelli di età e scolarità, proprio quelli in cui si dovrebbero impiegare i maggiori investimenti economici e le migliori esperienze didattiche, mostra uno scarso interesse di conoscenza e controllo. La delega quasi totale, di fatto rilasciata ai Docenti, è certamente anche un atto di valutazione positiva e di fiducia e, occorre dire, molto spesso merita- to, ma anche un comodo sistema per disinteressarsi di investimenti necessari alla modernizzazione dei sussidi didattici e metodologici, indispensabili per le problematiche crescenti che questo li- vello scolastico deve affrontare, per i problemi posti da tre fattori epocali: l’integrazione europea, l’immigrazione fuori controllo, il costo sulle reali possibilità di integrazione e sostegno economi- co del Paese. Ovviamente sono problemi politici, forse a volte di parte, e non possono trovare luogo in questo scritto.Vediamo invece quali strumenti e metodologie sperimentate potrebbero costituire un reale miglioramento del rapporto scolaro-docente. A: Le diversità psico-sociali: l’ostacolo principale è ovviamente nel costume delle culture d’origine, più che nelle culture stesse. Identificare cultura e costume è un errore: quello che predomina nei piccoli alunni, all’inizio della loro scolarità, non è la cultura della Società da cui provengono, ma proprio il costume-comportamento del loro gruppo, familiare o no, in cui hanno trascorso i primi tre o più anni di vita.La conoscenza previa di questo fattore è il primo sussidio didattico che occorre fornire al docente di classe, nido, o gruppo. I colloqui docente-madre, ecc. sono al più com- plementari, essendo inevitabilmente rari e frettolosi, almeno attualmente, centrati sul: come va mio figlio?. Cosa dovrebbe rispondere il docente?! B: Le diversità psico-motorie-caratteriali: la conoscenza di questi fattori è specialistica, riguarda la psicologia clinica ed è il secondo sussidio didattico, che deve essere fornito e che permette al docente di conoscere previamente all’impatto con la classe, gruppo, ecc., quali strategie differen- ziate (nei tempi e/o nei modi) potrà impiegare per stabilire una soglia di comprensibilità didattica nel suo impegno.Un metodo simile utilizzai in Costarica, El Salvador e Guatemala, per l’addestra mento dei lavoratori nelle industrie nascenti di quei Paesi. Proprietari intelligenti accolsero la mia proposta di avviare le cucine e gli asili per i piccoli delle operaie, durante il training, prima della messa in fase produttiva a regime. Le pochissime volte che trovai opposizioni, declinai l’incarico. C: Libertà di giuoco: fino ai sei anni è un diritto irrinunciabile del bambino ed insieme il metodo didattico naturale e più efficace. Nella maggior parte delle scuole materne non si usa più il termine classe, perché a quell’età occorre soprattutto vigilare affettuosamente sull’auto-apprendimento gioioso, munendosi di doti particolarmente agguerrite di comprensione e pazienza. Nel livello elementare, la differenziazione annuale potrebbe anche sussistere, dal punto di vista formale, se fosse almeno attenuata dalle attività comuni di giuoco-apprendimento (tutto da fondare e finanziare). Ho sostenuto durante decenni di lavoro, e lo penso ancora, che questo livello di docenza è il più fisicamente e moralmente impegnativo e faticoso. Accanto al giuoco spontaneo, occorre creare, utilizzare, inventare e gestire giuochi d’apprendimento.In questo campo, abbiamo artisti eccellenti: disegnatori, cartellonisti, animatori, ecc. in grande, troppa parte impegnata nei giuochi per adulti, pubblicità invasiva e spesso assolutamente ridicola o peggio. Non è la loro incapacità, ma la po- chezza dei commissionari e dei soggetti che rende squallidi certi intermezzi o stacchetti rumorosi, inattesi, fracassoni, ripetitivi, che interrompono arrogantemente programmi a volte eccellenti. Se l’amministrazione scolastica investisse in opere divertenti, culturalmente irreprensibili, con apparati gestibili interattivamente nelle aule, questo sarebbe il terzo, efficace sussidio. CONCLUSIONE: Interessare gli alunni di qualsiasi età alle Matematiche non è difficile, se il lavoro preparatorio ha munito il docente dei sussidi necessari. Se l’insegnamento di queste materie è condotto con una certa varietà e senza schematismi ripetitivi, citando eventi, oggetti e procedimenti cui le matematiche sono saldamente connesse (per i più piccini nella stessa vita familiare), per i più grandi nella vita quotidiana ( una gara di calcio è una sequenza di geo metria dinamica, un genitore artigiano FA molta matematica giornaliera, comprensibilissima), sarànno sconfitti i veri nemici della cultura scientifica: l’estraneità dalla vita reale, il rigorismo mnemonico (lasciandolo agli elaboratori, ormai presenti ovunque), l’ermetismo snobistico di certe docenze, le pose arroganti di certi tecnici ed esperti, le superstizioni ancora vigenti, anzi in aumento.
Gustavo santoro Gus.santoro@tiscali.it