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Russia al collasso entro il 2015?

di lastampa.it - 13/11/2005

Fonte: lastampa.it

 

SOS PER LA FEDERAZIONE IL FUTURO È A RISCHIO
Rapporto della Cia: minata da malattie, droga e alcol


E se dopo essere sopravvissuta al comunismo la Russia si dissolvesse, precipitando da un giorno all'altro in un'epoca paragonabile a quella dei torbidi, nel 1605, quando l'esercito polacco entrò a Mosca e gettò il Paese in lunghi anni di caos e anarchia? Non è molto diverso lo scenario prefigurato da un recente rapporto della Cia e confortato dagli ultimi dati sui «Paesi a rischio» del Fund For Peace e dalla Fondazione Carnegie di Mosca. «Fino al 2015 sarà molto difficile per la Russia tenere insieme le ambizioni di leadership globale con risorse drasticamente ridotte - si legge nel rapporto americano - Il risultato più probabile è che il Paese si troverà internamente indebolito e presente sulla scena mondiale solo grazie al seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite».
Mettendo a confronto dodici diversi indicatori di natura economica, sociale, politica e militare, l'organizzazione indipendente Fund For Peace - in collaborazione con «Foreign Policy» - è giunta a conclusioni analoghe: la Russia occupa il secondo posto nella classifica dei Paesi a rischio di collasso. Si è tenuto conto del diverso sviluppo delle singole regioni, della delegittimazione delle autorità - dovuta soprattutto alla corruzione, di cui la Russia secondo Transparency International sarebbe gravemente ammalata - delle spinte demografiche e del numero di violazioni dei diritti umani. Nel 2015 i russi passeranno da 146 a 130 milioni, ma a differenza del resto dell'Occidente - dove il calo demografico è accompagnato da un benessere più diffuso - «la popolazione russa sarà sempre più indebolita dall'alcolismo, dall'uso delle droghe, dall'aumento di malattie cardiache e di infezioni virali». «A queste condizioni - scrivono gli analisti della Cia - non può esserci una crescita economica sana, né rinascita dell'industria o della ricerca».

Qualche dubbio su questi dati è stato sollevato dal presidente dell'Istituto russo di Strategia nazionale, Stanislav Belkovski: «Non si basano su criteri effettivi, ma sulla percezione di instabilità presente nell'opinione pubblica. Sono ricerche che vanno bene per i media, non per capire le cose come stanno». Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, però, il Cremlino non fa alcuna opposizione alle funeree profezie americane: «Non sono un sostenitore dell'idea comunista - ha detto qualche tempo fa il potente sindaco di Mosca, Jury Luzhkov, uomo di fiducia di Putin, in un discorso pubblico - ma se si legge "Lo sviluppo del capitalismo in Russia" di Lenin, viene da pensare alla Russia attuale. Se non ne traiamo le giuste conclusioni, allora il Paese potrebbe vedere a rischio la sua stessa integrità statale». A differenza degli americani, secondo i quali la Russia, per evitare la dissoluzione dovrebbe ridurre la sua tradizionale tendenza al centralismo, l'amministrazione presidenziale di Mosca è convinta dell'esatto contrario. «Le minacce non vengono dalle armi nucleari - ha detto ieri Vladimir Putin davanti ai maggiori rappresentanti delle forze armate - ma dai conflitti locali sostenuti dal terrorismo internazionale». La colpa del collasso, secondo il Cremlino, è da imputare a «chi vuole portarsi via la parte migliore della Russia».

Le condizioni di sottosviluppo in cui versa la maggior parte della popolazione - quelle che la Cia definisce le piaghe dell'eredità comunista - non sono considerate di nessun ostacolo, mentre le spinte secessioniste del Nord Caucaso continuano a occupare il primo posto nella classifica delle preoccupazioni presidenziali.
«Per impedire qualsiasi azione separatista - osserva Rotislav Turovski del Centro di Tecnica politica di Mosca - il Cremlino ha rafforzato la verticale del potere, sottraendo autonomia alle regioni e creando sette distretti sotto il suo diretto controllo». Ma in realtà la distanza con le repubbliche islamiche aumenta di giorno in giorno «e la soluzione verticistica proposta dal presidente non ha portato nessun risultato positivo». I timori legati a una dissoluzione del Paese più grande del mondo non ossessionano soltanto gli studiosi di geopolitica, ma hanno cominciato a interessare anche la società civile. Se un vecchio comunista come Egor Ligaciov - già membro del Politburo all'epoca dell'Urss - ha dichiarato al quotidiano economico Kommersant che «Il collasso è vicino, il paese è allo sbando, l'economia vera in Russia non esiste più», lo scrittore Vasilj Aksenov dice che «La Russia è imprevedibile, può succedere tutto e il contrario di tutto, dunque non è affatto detto che gli americani abbiano ragione».