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Afghanistan, sacco dei tesori d’arte

di Marco Zatterin - 13/02/2007

 
MOLTI PEZZI RIAPPAIONO NELLE ASTE O SU EBAY, POCHI VENGONO INTERCETTATI E RESTITUITI AL LORO PAESE

Le figurine battriane hanno un aspetto davvero moderno, gli abiti opulenti e scolpiti di fino, la testa piccola, rotonda come il resto del loro grande corpo. Se non risalissero alla notte dei nostri tempi queste incantevoli creature di calcite che stanno nel palmo di una mano potrebbero essere un capriccio di Fernando Botero. Invece, a realizzarle furono ignoti artigiani dell'Asia centrale che le resero di gran moda cinquemila anni fa nella regione che oggi corrisponde al Nord dell'Afghanistan. I musei di Kabul le conservavano con orgoglio. Poi c'è stata la guerra, e il grosso dei tesori è stato distrutto, nascosto, rubato. Con una certa regolarità qualche pezzo appare nelle grandi case d'asta o su Ebay, viene intercettato e restituito alla sua bacheca di origine. Più spesso viene venduto per cifre spropositate. Alcuni collezionisti non faticano a chiudere un occhio e i trafficanti illeciti si arricchiscono. Dannati ladri di statuette.

A oltre cinque anni dalla caduta del regime talebano il traffico abusivo di capolavori archeologici afghani di ogni taglia è fiorente. L'ex direttore del Dipartimento Antichità di Kabul, Zemaryalai Tarzi, stima che all'appello manchino 55 mila oggetti già archiviati come patrimonio nazionale. Il loro commercio segue canali sofisticati e, quel che è peggio, genera profitti che finiscono per finanziarie i signori della guerra e i baroni dell'oppio. Il saccheggio è sistematico, oggi è solo peggiorato. «Succedeva prima, durante e dopo i talebani - avverte Tarzi -. E non è ancora finita». Per questo i goldbusters dell'Icom, il Consiglio Internazionale dei Musei (sede a Parigi, 22.550 membri di 114 Paesi), hanno aperto un fronte afghano e pubblicato, alla stregua di quanto già fatto per tutte le aree più turbolente del pianeta come Iraq, Africa e America Latina, una «lista rossa» dei pezzi in pericolo. Non oggetti rubati, bensì articoli simili a quelli che possono finire sul mercato delle vendite illegali. «E' un catalogo fotografico per controllori - spiega Jennifer Thevenot, americana, esperta di cose asiatiche per l'Icom -. Contiene 18 categorie di capolavori che riteniamo stiano attualmente circolando, pronti ad essere venduti». Si va dai magnifici busti di stucco di Gandhara ai manoscritti islamici del XVII secolo, si passa per monete, sculture buddhiste e scettri in pietra dal valore inestimabile. «E' un lavoro durissimo». giura la Thevenot. Recentemente, su segnalazione dell'Icom, è stato individuato un chiodo di fondazione millenario - una piccola scultura propiziatoria posta nelle fondamenta dei templi - che stava andando all'incanto a Parigi per 250 mila euro. La gendarmeria è intervenuta per bloccare l'operazione. «Siamo finiti in Tribunale; il processo è in corso», sospira la studiosa statunitense. Ogni singolo caso richiede lo studio di documenti e certificati di provenienza, ma il colmo è che se lo Stato di origine non lo richiede il pezzo non può essere requisito. Nel caso dell'Afghanistan l'intreccio s'infittisce con la necessità di verificare il momento dell'uscita dal Paese perché tutti i furti anteriori al 1974, prima cioè che entrasse in vigore la legge per la tutela del patrimonio nazionale, non sono perseguibili.

L'afghano Tarzi ha un'espressione particolarmente sofferta mentre ammette di non sapere che fine abbiano fatto le quattro tonnellate e mezzo di moneta in oro, argento e bronzo che furono trovate a Mir Zakah (circa cento chilometri a Sud di Kabul) e portate all'estero negli Anni Novanta. Non se n'è più trovata traccia.
«Usano le rotte dei trafficanti di droga - rivela Lucas Verhaegen, investigatore della polizia belga -. Sfrecciano nottetempo ai mille metri del Khyber Pass, scendono in Pakistan, poi in Libano dove i tesori vengono imbarcati per Bruxelles o Amsterdam. A quel punto le destinazioni in cui è più probabile trovare acquirenti sono Svizzera e Stati Uniti». E' uno stillicidio che colpisce duro pur non avendo la forza mediatica della distruzione del Buddha di Bamyan perpetrata dai talebani nel 2001. E il commercio online ha complicato la vita dell'Icom. «Chi compra e chi vende tende a rimanere nell’anonimato - aggiunge Jennifer Thevenot -. E' vero che Ebay controlla gli oggetti all'asta, tuttavia non avviene nella totalità dei casi, anche perché spesso è impossibile stabilire l'origine. Le verifiche sono laboriose e richiedono tempo. Bisogna anche districarsi tra i falsi che, siete avvertiti, sono numerosissimi»

. Il commerciante di articoli rubati tende ad amare la vita semplice. Gli inquirenti hanno verificato che adorano affidarsi alla posta ordinaria, «poiché i pacchi leggeri in genere sfuggono ai controlli». Capita così che reliquie millenarie siano rotte prima di essere imballate, per essere riassemblate all'arrivo. La polizia interviene solo quando è insospettita da una serie di confezioni simili. Sennò passa tutto, o quasi. Poi la parola va ai battitori. Virtuali on line, o in doppiopetto sulla Quinta Strada, fa poca differenza quando il danno è fatto.