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La Cina "riforma" i gulag

di Enrico Piovesana - 03/03/2007

Proposta una riforma della "rieducazione attraverso il lavoro" dei dissidenti
All'Assemblea Nazionale del Popolo, che si apre lunedì a Pechino, verrà presentato un disegno di legge per riformare l’istituto del laojiao, ovvero la condanna senza processo a diversi anni di lavori forzati (fino a quattro) per i cittadini considerati elementi “controrivoluzionari” o “antisociali”. Il parlamento cinese intende garantire il diritto di ricorrere alla condanna, ridurre la durata della pena a un massimo di un anno e mezzo e rendere i campi di lavoro meno simili a prigioni e più a scuole: verranno rimosse sbarre e fili spinati e cambierà la denominazione, da “centri di rieducazione” a “centri di correzione”. Non si tratta quindi di abolizione del laojiao, come enfaticamente riportato da molti giornali, ma è comunque un primo importante passo.
 
Arresto di una dissidenteCondanna senza processo. Il laojiao, introdotto nel 1957, non va confuso con il laodong: i lavori forzati inflitti ai criminali dopo un processo penale. La “rieducazione attraverso il lavoro” – questo significia laojiao – è una sanzione amministrativa che viene imposta dalle autorità senza passare per i tribunali, senza possibilità di difesa o ricorso in appello: questo ne fa un istituto ancor più contrario al rispetto dei diritti civili, poiché ogni restrizione della libertà personale dovrebbe essere ordinata solo da un’autorità giudiziaria in seguito a regolare processo. Con il laojiao invece si viene prelevati in casa dalla polizia senza alcun preavviso e portati in un campo di lavoro senza la minima possibilità di replica. Possibilità che ora potrebbe invece essere introdotta.
 
Lavoro nei campiLavoro duro e non solo. Tra gli almeno 300 mila cinesi che lavorano nei circa 300 campi di laojiao si trovano piccoli criminali comuni (ladri, truffatori, prostitute, drogati, immigrati illegali) ma soprattutto dissidenti politici di ogni genere e grado, dagli attivisti democratici ai seguaci del Falun Gong, dai difensori dei diritti umani ai firmatari di petizioni. Lavorando nei campi, nelle miniere o in fabbriche di mattoni, sotto la costante sorveglianza della polizia, queste persone dovrebbero “rieducarsi”, ovvero pentirsi dei loro comportamenti, diventando cittadini rispettosi della legge e del partito, dediti alla costruzione del socialismo. Per chi non si ricrede o, peggio ancora, protesta o non rispetta le regole di disciplina vigenti nel campo, scattano il prolungamento della pena e le punizioni corporali: isolamento, pestaggi collettivi, tortura con scosse elettriche. Il prolungamento non sarà più possibile, ma le punizioni sì.