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Italia. Ragioni dell’in/dipendenza (notizie gennaio/febbraio)

di redazione - 13/03/2007

 

 

a)  Agenzie di rating USA, Fondo Monetario Internazionale ed Unione Europea ancora una volta all’unisono: passabile la Finanziaria che tanti dolori ha riservato e riserverà alla popolazione di questo paese (14, 22 e 30 gennaio, 14 e 16 febbraio), ma non è ancora abbastanza. Bisogna continuare con le riforme, pensioni e liberalizzazioni innanzitutto (16, 20, 27 gennaio, 15, 22, 26, 27 e 28 febbraio). Romano Prodi, ancora una volta, conferma che i diktat dei “mercati finanziari” dominati dalla finanza statunitense sono prioritari (14 febbraio). Ma qual è insomma la funzione di questa Unione Europea? Che sia la responsabile principale dello smantellamento dello Stato sociale lo dice indirettamente persino Berlusconi (27 gennaio). Ma anche in un’ottica di sviluppo capitalistico le politiche di Bruxelles e Francoforte si rivelano profondamente perniciose (14 febbraio). I capitalisti di casa nostra lo sanno bene, e si regolano di conseguenza (13 gennaio). Intanto il cancelliere tedesco Merkel, attuale presidente di turno dell’Unione Europea, conferma che obiettivo principale dell’UE a medio termine sul versante economico è la formazione di un “mercato unico transatlantico” con gli Stati Uniti (8 gennaio). Qualcuno ha dubbi su chi sarà il partner dominante?

 

b)  Basi statunitensi in Italia. Il comitato “No Dal Molin” contro la costruzione di una nuova base USA a Vicenza ha il merito di sollevare la questione della sovranità nazionale, tanto da contribuire a spingere un Cossiga ad invocare un governo forte (25 febbraio). Con 113 basi USA / NATO disseminate sul territorio (28 febbraio), l’Italia è sempre più una piattaforma logistica fondamentale per i progetti di guerra dell’imperialismo statunitense. Al 1, 16, 17, 20 e 23 gennaio, 17 e 22 febbraio una scarrellata sulla funzione ed i progetti di ristrutturazione che coinvolgono alcune di queste basi. Sulla cornice giuridica ed i costi, significative le considerazioni al 18 febbraio. Ma gli oneri coloniali per spese militari a beneficio di Washington non si limitano qui. Abbiamo le spese per il mantenimento delle “missioni” militari all’estero (vedi Afghanistan: 26 gennaio, 1 febbraio); nonché spese attinenti alla dotazione di armi ed apparecchiature funzionali al dispositivo e alle strategie militari di Washington. Vedasi l´accordo per l’acquisto di 133 caccia bombardieri d’attacco “Joint Strike Fighter”, prodotti dalla ditta statunitense Lockheed (7 febbraio). Costo previsto: almeno 11 miliardi di dollari. Ma Bruxelles, che non si fa certo pregare per lanciare strali contro pensioni e spesa pubblica con il pretesto del debito pubblico, non ha niente da dire contro questi indecenti sprechi per i conti pubblici effettuati da un governo “di sinistra” che, mentre alza la spesa militare a livelli nemmeno raggiunti da Berlusconi (25 febbraio), non si vergogna di affondare le mani nelle tasche dei cittadini? Perché l’Italia deve farsi strumento di morte agli ordini di Washington? Non bastano gli strazi subiti dai militari italiani morti a causa dell’uranio impoverito buttato in paesi come il Kosovo (5 febbraio)?

 

c)  Le banche d’affari USA ancora una volta in primo piano. Sempre protagonista la “Super lobby” Goldman Sachs (5 gennaio) dei Prodi, Draghi, Monti, Tononi e Costamagna (finanziatore della campagna elettorale di Prodi). Significativo un esposto dell’associazione dei consumatori sulla truffa allo Stato congegnata dalla banca d’affari USA con i titoli di debito pubblico italiano. L’esposto dedica anche alcune righe al ruolo delle agenzie di rating USA e alle privatizzazioni e speculazioni sulla lira ordite dalla finanza estera (10 gennaio). Intanto, gli oligarchi di casa nostra, per non perdere influenza in Italia, consolidano i loro rapporti con la finanza statunitense, a volte riciclandosi di fatto come manager di fiducia (26 gennaio). E le banche d’affari USA mostrano interesse per le infrastrutture (14 gennaio). Se dovessero andare in porto i propositi del centrosinistra di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici locali, in ottemperanza agli ordini dei “mercati finanziari”, non ci sarà da stupirsi se ci ritroveremo a pagare le bollette (anche) alla finanza estera.

 

Tra le altre notizie, estremamente significative:

 

Interni (3 gennaio, 4 febbraio)

Stragi (11 gennaio)

Sicurezza (9 febbraio)

Politica estera (10 e 14 febbraio)

Energia (28 febbraio)

 

 

  • Basi USA. 1 gennaio. Aviano, atomiche illegali. Un gruppo di pacifisti di Pordenone ha presentato al tribunale della città friulana lo scorso 22 dicembre una denuncia nei confronti del governo degli Stati Uniti. L’atto di citazione chiede al giudice di dichiarare che la presenza delle armi nucleari nella base di Aviano è illecita e dannosa, e conseguentemente ordinare agli USA di rimuovere tutte le bombe nucleari dalla base. Il documento, elaborato da uno staff di avvocati appartenenti alla Ialana (Associazione Internazionale Giuristi Contro le Armi Nucleari, www.ialana.net) si richiama al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), sottoscritto e ratificato dall’Italia. Il TNP infatti sancisce l’obbligo per il nostro paese di non ospitare ordigni nucleari mentre alle potenze atomiche (come Stati Uniti) di non dispiegare tali armamenti al di fuori del proprio territorio nazionale. La prima udienza è stata fissata, su richiesta dei promotori, il prossimo 7 luglio, alla vigilia del decennale di un’importante sentenza della Corte Internazionale di Giustizia secondo la quale l’uso (o anche la semplice minaccia dell’uso) di armi nucleari è in contrasto con il diritto internazionale, e che ribadiva che gli Stati hanno l’obbligo giuridico di condurre negoziati in buona fede che conducano al completo smantellamento di tutte le armi nucleari. Una sentenza rimasta lettera morta.

  • Basi USA. 1 gennaio. Intanto, al fine di risolvere «lo stridente contrasto tra dettato statutario e questione nucleare in Friuli Venezia Giulia», la Tavola regionale della Pace ha invitato Riccardo Illy a rinunciare, quale presidente della Regione, alla carica di Comandante onorario del 31.mo stormo USAF di Aviano (Pordenone). Nel corso di un incontro avvenuto ieri tra i rappresentanti della Tavola della pace ed i capigruppo di Intesa democratica in Regione, è stato sottolineato che il nuovo Statuto approvato dal Consiglio regionale «persegue una politica di pace», mentre per quanto riguarda il territorio regionale, «in palese violazione del Trattato di non-proliferazione nucleare», non è mai stata smentita «la presenza di 50 bombe nella base USAF di Aviano».

 

  • Caso Calipari. 1 gennaio. «Non ho prove documentali», dice, «ma sufficienti elementi politici per accusare l’ex ambasciatore USA in Iraq, John Negroponte, di aver pianificato l’incidente in cui è stato ucciso Calipari (alto responsabile del Sismi, servizio segreto italiano in Iraq, ndr) e ferita Giuliana Sgrena (giornalista de il Manifesto sequestrata e poi liberata dai suoi rapitori in Iraq)». Il senatore Gigi Malabarba (PRC), che vuole «indagini anche sui mandanti» ha sostenuto lo scorso 23 dicembre che non si tratta di «dietrologia, ma riprova della volontà americana di imporre anche con la forza ai propri alleati la linea della fermezza per la liberazione degli ostaggi. Come con i voli segreti della CIA». L’incriminazione da parte dei pm che indagano sull’omicidio Calipari di Mario Lozano, mitragliere statunitense, per l’omicidio Nicola Calipari, è «un atto di dignità della magistratura italiana».

 

  • Caso Calipari. 1 gennaio. A distanza si replica con irritazione. «Il caso è chiuso», dicono al Pentagono e al Dipartimento di Stato. L’ultima parola l’ha detta il rapporto della commissione Vanjel, benché «non sottoscritto dalle autorità italiane», ha sostenuto il portavoce del Dipartimento di Stato, costretto a dedicare a Calipari buona parte del suo briefing quotidiano con la stampa. Ma la sostanza è quella: «La materia, per quanto tragica, è chiusa». E si scatena il Pentagono: «Nell’ambiente militare», raccontano le agenzie di stampa, «c’è evidente irritazione di fronte alla notizia che un soldato americano è sotto inchiesta per omicidio, in un paese alleato, per un’operazione avvenuta in zona di guerra».

 

  • Interni. 3 gennaio. Medaglia al merito dell’FBI a De Gennaro. La massima onorificenza il capo della Polizia Gianni De Gennaro l’ha ricevuta l’8 dicembre scorso, nel quartier generale dell’FBI a Washington. L’ambito  riconoscimento viene conferito per la prima volta nella storia dell’FBI ad un non statunitense. Il direttore dell’FBI, Robert Muller, ha spiegato che De Gennaro è stato insignito del riconoscimento per avere creato tra la polizia italiana e l’FBI un rapporto di collaborazione «diventato il modello da imitare» nelle relazioni tra l’FBI e le forze dell’ordine del resto del mondo. Alla cerimonia hanno partecipato il giudice della Corte Costituzionale, Antonino Scalia, l’ex direttore dell’FBI Louis Freeh (con il quale aveva collaborato nelle indagini su Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno), l’assistente del Presidente Bush per la «lotta al terrorismo», Frances Fragos-Townsend, e numerose altre personalità del mondo della magistratura. Successivamente, come ha rivelato Il Velino lo scorso 12 dicembre, il ministro dell’Interno Giuliano Amato ha condotto un profondo turn over in molte questure e uffici centrali del Viminale che hanno favorito proprio alcuni fedelissimi di De Gennaro.

 

  • Banche. 4 gennaio. Emilio Botin, leader del Banco Santander Central Hispano (Bsch), secondo il giornalista italiano Giancarlo Galli legato alla “massoneria cattolica” dell’Opus dei, non intende abbandonare l’Italia. Messo da parte nel caso della fusione con Banca Intesa del San Paolo Imi (di cui il banchiere spagnolo vantava una cospicua partecipazione), dice Biagio Marzo de l’Opinione, Botin intende giocare un ruolo nella definizione degli equilibri di potere in Generali se non addirittura fondersi con l’olandese Abn Amro. Il Santander è una delle maggiori banche del continente. Così come per altri istituti bancari attivi in operazioni di fusione transfrontaliere (pensiamo all’italo-tedesca Unicredit-Hypovereinsbank o alla stessa Abn Amro), i maggiori investitori della banca spagnola sono statunitensi: Ec Nominees, Chase Nominees e State Street Bank, che assommano il 20% del Santander.

 

  • Banche. 5 gennaio. La banca d’affari USA Goldman Sachs cresce di influenza politica e potere economico. Anche in Italia. Come rivela un articolo di Enrico Pedemonte e Paolo Pontoniere pubblicato sul settimanale L’Espresso (“Super Lobby Goldman Sachs”), la potente banca d’affari consegue profitti record (in particolare grazie alla compravendita speculativa di banche ed imprese) e vede sempre più propri uomini posizionarsi in posti chiave dell’economia e della politica. Esemplificativo il caso di Henry Paulson, nel maggio scorso nominato da Bush ministro del Tesoro. «Molti si erano stupiti della sua scelta. Perché mai Paulson aveva deciso di lasciare la guida di un istituto così prestigioso per dedicarsi al dissestato bilancio dello Stato americano, per di più nella fase finale di una presidenza azzoppata?», è la domanda retorica dei giornalisti che sottolineano il «potere tentacolare dell’azienda». Infatti, «gli uomini che raggiungono le posizioni di vertice della banca d’affari restano in carica generalmente una decina d’anni, nel corso dei quali accumulano un capitale ragguardevole che consente loro di ricominciare una carriera spesso assai meno remunerata, magari presso qualche istituzione pubblica, creando uno straordinario network di ‘ex uomini Goldman’ nei posti chiave dell’economia e della politica». Da Paulson a Paul Thain (capo della New York Stock Exchange, quindi il numero uno di Wall Street»); da John Thornton («punto di riferimento essenziale per gli uomini d’affari USA che investono in Cina») a Joshua Bolten (attuale capo di gabinetto della Casa Bianca); da Robert Zoellick (vicesegretario di Stato) a William Dudley (capo della Federal Reserve Bank of New York); da Jon Corzine (ex senatore democratico e attuale governatore del New Jersey, «dove ha assunto tre uomini Goldman come principali collaboratori») a Philip Murphy («responsabile della raccolta fondi per il Comitato Nazionale del partito democratico, un ruolo chiave in vista delle presidenziali del 2008»), a John Whitehead («vicesegretario di Stato con Ronald Reagan, poi cooptato nel board (consiglio, ndr) della Federal Reserve Bank of New York e infine, dopo l’11 settembre 2001, nominato presidente della Lower Manhattan Development Corporation che ha l’incarico di ricostruire il distretto finanziario»): ecco un elenco di ex presidenti e alti dirigenti di Goldman Sachs ben piazzati in ambienti politici e finanziari statunitensi.

 

  • Banche. 5 gennaio. «Scorrendo i nomi dei vertici Goldman si scopre che oltre a svolgere la loro principale attività all’interno della banca d’affari, ciascuno di questi dirigenti è presente nei consigli di amministrazione di alcune multinazionali, di qualche università prestigiosa e di parecchie organizzazioni di beneficienza. A ben guardare la Goldman usa in modo eccellente, per costruire il suo successo e i suoi sterminati profitti, la stessa strategia da decenni utilizzata dalle migliori università americane: creare una straordinaria élite intellettuale e diffonderla per il mondo, ai vertici delle istituzioni economiche e politiche, ampliando e sostenendo una rete di legami sempre più fitta. Gli uomini Goldman non costituiscono solo una rete di potere, ma si garantiscono reciprocamente una rete informativa che consente alla banca di affari di sapere meglio e prima degli altri come evolvono i mercati. Dice John Cochrane, professore di finanza alla School of Business dell’università di Chicago: “Gli investimenti a rischio della Goldman hanno il sostegno di una fortissima base informativa”». Dichiarazioni che, allargando il raggio d’osservazione oltre la Goldman, evidenziano gli stretti legami intercorrenti tra sfera politica ed economica e, a ben vedere, come sia consustanziale al mondo degli affari la fattispecie dell’insider trading, per reconditi motivi di tanto in tanto sollevata dalla magistratura. Locuzione composta da “insider”, “chi sta dentro”, e dal gerundio di “to trade”, “commerciare”, “operare”, essa consiste nell’uso a fini di speculazione su titoli (azioni, obbligazioni, derivati) di una determinata società di notizie ed informazioni riservate e “privilegiate” rispetto ad altri investitori (non di pubblico dominio), conosciute in ragione della partecipazione al capitale di una società, dell’esercizio di una funzione anche pubblica o di un’attività professionale.

 

  • Banche. 5 gennaio. Una parte dell’articolo de L’Espresso su Goldman Sachs si sofferma sui suoi tentacoli italiani. Nomi non di poco conto. «Dai suoi ranghi sono passati, oltre all’attuale governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, anche Massimo Tononi, oggi sottosegretario all’Economia, e Mario Monti, ex commissario europeo alla concorrenza, rettore della Bocconi e ora consulente internazionale della banca d’affari USA. Anche il presidente del Consiglio Romano Prodi è stato più volte consulente della Goldman. Così come Claudio Costamagna, di cui si è recentemente parlato per la vicenda che ha portato al duro scontro tra palazzo Chigi e il vertice di Telecom Italia: della Goldman è stato direttore europeo del settore bancario fino al maggio 2006». I due giornalisti, sottolineata la crescita del drappello italiano nella banca USA, rilevano un fatto non irrilevante per la comprensione dell’influenza di tali istituti finanziari: «gli analisti mettono in relazione l’aumento del numero di italiani con il crescente interesse col quale la Goldman guarda all’emissione del nostro debito, che con 200 miliardi di euro rappresenta un quarto del totale europeo».

  • Banche. 5 gennaio. La Banca d’Italia come la Federal Reserve USA? Sarebbe il progetto del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Su Panorama Renzo Rosati, nell’evidenziare in posti chiave di Via Nazionale una serie di nomine di personaggi legati all’ex vicepresidente per l’Europa di Goldman Sachs, sostiene che per la proprietà della Banca d’Italia «Draghi vorrebbe adottare il modello Fed, che è una sorta di gigantesca public company con la proprietà frantumata tra banche e istituzioni americane e mondiali».

  • Fisco. 7 gennaio. Il Lussemburgo continua ad essere oggetto d’assalto per banche e grandi imprese. Per ottenere consistenti vantaggi fiscali e redigere i bilanci con criteri più di manica larga rispetto a quelli prescritti in Italia. Lo rileva Vittorio Malagutti su L’Espresso. 15 sono le filiali delle banche italiane nel Principato (una presenza seconda soltanto a quella dei gruppi creditizi tedeschi, 45). Alle banche si aggiungono le finanziarie controllate da grandi gruppi come Fiat, Benetton, Pirelli, Fininvest, e personaggi come Del Vecchio, Ligresti, la dinastia italo-argentina dei Rocca «e molti altri ancora. Queste società vengono utilizzate, tra l’altro, per emettere bond da collocare sui mercati internazionali. Funzionò così anche per la Cirio di Sergio Cragnotti». Ed intanto, in Italia, i giornali controllati anche dai succitati oligarchi lanciano strali contro l’evasione fiscale...

 

  • Politica economica. 8 gennaio. NATO economica? No grazie. Il filosofo Gianni Vattimo su La Stampa critica fortemente l’obiettivo espresso dalla cancelliere tedesca Angela Merkel, presidente di turno dell’Unione Europea, di porre tra gli obiettivi del prossimo semestre europeo il compimento di ulteriori passi avanti verso la formazione di un unico mercato transatlantico, «tale da costituire un parallelo della NATO sul piano degli scambi e in genere del coordinamento delle politiche economiche, monetarie e commerciali (che a nostro avviso già oggi c’è, almeno in parte, ndr)». Vattimo rileva che la NATO non avrebbe più ragione di essere la difesa del “Nord-Atlantico” dopo la caduta dell’Unione Sovietica, e che una tale idea di NATO economica ovviamente metterebbe in soffitta l’obiettivo –per noi comunque pericoloso– di un’Europa unita contraltare degli USA. «La NATO dell’economia non rischierebbe di essere, proprio come la NATO militare, un modo per scaricare sulle spalle degli alleati problemi (come le guerre mediorientali, ma ora anche la debolezza del dollaro) che l’amministrazione americana ha creato e non sa più come gestire?», si domanda retoricamente Vattimo.

 

  • Banche. 10 gennaio. La Goldman Sachs truffa lo Stato ma continua a godere di inusitati privilegi nell’emissione di titoli di debito pubblico italiano. Lo scrive Andrea Cinquegrani sul mensile La Voce della Campania citando un esposto alla procura di Milano dell’associazione dei consumatori Adusbef, che chiama pesantemente in causa la Goldman Sachs. «Approfittando delle differenti legislazioni fiscali in vigore nei paesi europei, Goldman Sachs International ha attuato una ingegnosa truffa ai danni dello Stato italiano per la somma di 202 milioni di euro. Mediante un ingegnoso ma fraudolento sistema, Goldman Sachs poco prima del distacco delle cedole, effettuava il trasferimento in altri Paesi -prevalentemente in Inghilterra- delle azioni di società italiane quotate in borsa, detenute anche da investitori istituzionali (fondi pensione e altro) in modo da creare le premesse per eludere la doppia imposizione fiscale. In questo modo partiva la richiesta di rimborso, ma subito dopo i titoli tornavano in Italia». Un’operazione che i promotori hanno significativamente denominata “Easy Credit”, scoperta dalla stessa Agenzia delle Entrate, «insospettita da un’autentica valanga di domande di rimborso, oltre 40mila, proveniente solo da Goldman Sachs, ha così segnalato all’autorità giudiziaria un marchingegno truffaldino, che sarebbe stato messo in atto anche da altri soggetti stranieri residenti in Francia, ma operanti in Italia». Nelle battute finali dell’esposto-denuncia, l’Adusbef rileva come «nonostante tali pesanti accuse di frode ai danni dello Stato, Goldman Sachs continua a godere in Italia di inusitati privilegi, e invece di essere sospesa dall’Albo delle banche di riferimento del ministero dell’Economia in via cautelare, è stata scelta come banca capofila lo scorso settembre in occasione del bond lanciato dal Governo italiano per 3 miliardi di dollari e con scadenza 20 settembre 2016. Come mai il Tesoro continua ad avvalersi di Goldman Sachs in qualità di lead manager, assieme a Citigroup e JP Morgan anche nel caso dell’ultima emissione, la più fresca operazione del ministero dell’Economia avvenuta il 24 ottobre 2006? Come mai si privilegia Goldman Sachs invece delle banche italiane ed europee? Come mai il ministro Padoa Schioppa, così rigoroso nella gestione dei conti dello Stato, ha rinnovato il mandato alla Goldman Sachs, che vede il professor Mario Monti come alto dirigente per l’Europa, invece di depennarla per giusta causa dall’elenco delle banche di riferimento?».

 

  • Banche. 10 gennaio. Un esponente di spicco della Goldman Sachs è stato proprio il Governatore della banca d’Italia Mario Draghi, negli anni Novanta Direttore generale del Tesoro. «Per dieci anni, dal 1991 al 2001, ricopre la strategica carica di direttore generale del Tesoro. Con la ciliegina sulla torta della presidenza del Comitato per le Privatizzazioni, che secondo non pochi analisti hanno portato alla svendita pilotata di parecchi gioielli statali o parastatali (IRI, Telecom, ENEL, ENI, Credito Italiano, Buitoni, Invernizzi, Locatelli e via di questo passo)», ricorda Cinquegrani. Ciò capitava in particolare agli inizi degli anni Novanta, anni contraddistinti, come ha ricordato un’analisi di Adusbef, dalla «crisi della prima repubblica, lo scoppio di Tangentopoli, l’attacco alla lira da parte di George Soros che portò alla svalutazione del 30%, poi la manovra da 100mila miliardi del governo Amato, il celebre incontro a bordo del Britannia della regina Elisabetta» con esponenti di banche d’affari anglosassoni. Presente anche Draghi, «il quale, contemporaneamente, dà il via al valzer delle vendite, o “svendite”, di Stato. Con l’ok degli USA, che, tramite l’ambasciatore in Italia Reginald Bartholomew (in seguito diventerà presidente di Merrill Linch Italia, altra star del firmamento finanziario internazionale), danno la loro benedizione: “Continueremo a sottolineare ai nostri interlocutori italiani la necessità di essere trasparenti nelle privatizzazioni, di proseguire in modo spedito e di rimuovere qualsiasi barriera per gli investimenti esteri”», rimembra quegli anni Cinquegrani.

 

  • Banche. 10 gennaio. L’esposto della Adusbef dedica pure alcune righe alle agenzie di rating USA. «Le società di rating, poiché sono pagate dai committenti e non dagli investitori, sono in sé portatrici di un conflitto, che ha mostrato tutta la sua entità negli scandali finanziari mondiali, da Enron e Worldcom alla Parmalat». Standard & Poors, Fitch e Moody’s vedono tra l’altro sedere nel proprio consiglio di amministrazione esponenti di multinazionali statunitensi ed in particolare di banche d’affari come Citigroup, J. P. Morgan Chase, eccetera, su cui in teoria dovrebbero “vigilare”. A tal proposito ci sono analisti che esprimono preoccupazioni sull’entità dei contratti derivati stipulati da tali banche, ad esempio quelli Over The Counter (che non appaiono nei bilanci degli istituti sottoscrittori): «Viste le cifre da capogiro un elemento da sottolineare è quello della ormai eccessiva interdipendenza, in termini di profitti, tra banche d’affari e mondo degli Hedge Funds, un evidente ed eclatante conflitto d’interessi: le banche d’affari vendono Hedge Fund, li gestiscono, concedono prestiti per investirvi e operano in Hedge attraverso i loro trading desk. Sono ormai una sorta di investitori geneticamente modificati: le banche investono con se stesse».

 

  • Giustizia. 10 gennaio. Mastella mette la giustizia in mano agli inglesi. Come rivela il quotidiano economico Italia Oggi, il ministro della giustizia italiano affida alla British Telecom i servizi di trasmissioni dati, accesso a Internet, per collegare tra loro le sedi giudiziarie, scalzando Telecom. E non solo. Ha anche intenzione di rafforzare il rapporto con British Telecom affidandogli il servizio di sicurezza. Il contratto sarà firmato tra fine gennaio ed inizio febbraio, non appena il ministero della giustizia avrà predisposto il piano dei fabbisogni.

 

  • Stragi. 11 gennaio. Ustica, nessun colpevole. La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato ieri inammissibile il ricorso della Procura generale del tribunale di Roma contro l’assoluzione dei generali dell’Aeronautica Lamberto Bertolucci e Franco Ferri per il disastro. I togati hanno pertanto deciso che nessun risarcimento sarà concesso ai familiari delle vittime. Ancora una volta, per una delle più gravi tragedie che abbia colpito l’Italia –l’abbattimento, in tempo di pace, di un aereo civile sul cielo di Ustica– non solo non si trovano colpevoli e fiancheggiatori, ma si offendono di fatto le vittime ed i loro familiari. Il 27 giugno 1980 un DC9 dell’Itavia proveniente da Bologna e diretto a Palermo precipitava in mare causando la morte di 81 persone, fra equipaggio e passeggeri. Aldo Davanzali, il presidente dell’Itavia, fu tra i primi a fare l’ipotesi di un atto di guerra come causa dell’esplosione del DC9. Risultato: incriminazione e chiusura coatta della compagnia, accusata dal governo di avere aerei inefficienti, malmessi, proprio come quel velivolo che si diceva caduto per “cedimento strutturale”. L’incidente sembrava ormai chiuso, se non fosse stato che una serie di circostanze, e soprattutto la tenacia dei familiari delle vittime e di alcuni giornalisti, riuscì a impedire che prevalesse la ragion di Stato e ad imporre nuove indagini.

 

  • Stragi. 11 gennaio. Tra i giornalisti che si batterono per scoprire la verità va menzionato Andrea Purgatori (Corriere della Sera), sceneggiatore del film di Marco Risi “Il muro di gomma”, appunto sulla strage di Ustica. Pretestuose le perizie dell’Aeronautica militare, secondo cui il DC-9 dell’Itavia è esploso in volo per una bomba nella toilette anteriore dell’aereo: «vorrei sapere quale bomba collocata all’interno della toilette di un aereo, è capace di far esplodere l’aereo e, nello stesso tempo, di lasciare assolutamente intatto il lavandino e il water della toilette», ha affermato il giornalista. Nelle indagini del giudice istruttore Rosario Priore salta fuori che in quella notte, prima durante e dopo la notte, c’erano caccia miliari italiani e non identificati. «L’ha certificato la NATO ai magistrati», sottolinea Purgatori. Le 5.660 pagine di requisitoria di Priore parlano di un’operazione militare condotta da paesi alleati –statunitensi, francesi, italiani, e libici– presumibilmente per intercettare un aereo di linea sul quale si supponeva viaggiasse Gheddafi, allora principale nemico degli USA, e che porta le impronte digitali di una copertura scattata un secondo dopo la strage. Nei tracciati radar si vede addirittura un elicottero decollato dal mare –presumibilmente da una portaerei– e arrivato nella zona dell’incidente prima che arrivassero i soccorsi ufficiali. Una battaglia nel quale il DC9, seguendo correttamente la propria rotta, si è trovato nel punto sbagliato nel momento sbagliato. Un missile lo fece fuori. Il generale Demetrio Cogliandro, ex capo del controspionaggio del Sismi, asserisce che ad abbattere l’aereo civile italiano in volo sul Tirreno tra Bologna e Palermo fu un missile lanciato nel corso di un duello aereo tra caccia americani e libici e che fu Francesco Cossiga, all’epoca presidente del Consiglio, a prendere la decisione di trasformare la verità sulla strage in segreto inossidabile. Gli organi militari preposti al controllo delle rotte aeree e alla sicurezza dei cieli italiani, i radaristi delle varie stazioni radio, gli ufficiali dell’aeronautica responsabili di queste stazioni, i generali ed i capi di Stato maggiore responsabili dei loro sottoposti, non hanno visto e saputo niente. La presidentessa dell’Associazione dei famigliari delle vittime Daria Bonfietti, che nella tragedia ha perso il fratello, commenta la sentenza affermando che «non mi aspettavo nulla, e così è stato», ma ribadisce che «Ustica è un grande problema di dignità nazionale con il quale dobbiamo continuare a fare i conti».

  • Ambiente. 12 gennaio. Compagnia petrolifera texana si avvia a trivellare in Sicilia, col benestare della Regione, nella splendida Val di Noto, patrimonio dell’umanità facente parte dell’Unesco. I lavori interesseranno le province di Catania, Ragusa, Siracusa ed Enna, dove da circa tre anni si è costituito un comitato di protesta per impedire l’inizio degli scavi. In questi giorni la protesta si è fatta ancora più accesa, perché la compagnia petrolifera texana Panther Oil, titolare dei lavori, ha finalmente ottenuto il tanto sospirato parere di “compatibilità ambientale”, dal competente assessorato siciliano. Le ragioni che avrebbero spinto i politici siciliani a dare il via libera agli scavi, restano ancora misteriose. Sull’argomento, infatti, si cela il più assoluto riserbo e silenzio da parte dei funzionari e dei responsabili degli atti della vicenda. Un’ipotesi viene fornita dal comitato antitrivellazioni, secondo il quale la Regione, in caso di rifiuto, avrebbe potuto subire le pesanti richieste di risarcimento danni della società titolare degli scavi. La libertà di effettuare scavi per ricerche petrolifere, infatti, viene disciplinata da direttive comunitarie e direttive regionali. Un’ulteriore ipotesi a favore degli scavi petroliferi potrebbero essere gli introiti del tributo sul consumo di carburanti raffinati in Sicilia e del tributo ambientale sulle produzioni di energie non rinnovabili, che porterebbero nelle case regionali circa 300 milioni di euro l’anno. I fautori del NO alle trivellazioni petrolifere in Sicilia, minacciano, intanto, azioni legali contro la Regione, se non si revocheranno le ultime decisioni prese.

 

  • Industria. 13 gennaio. Luca di Montezemolo e Diego Della Valle imprenditori nel trasporto passeggeri sull’Alta Velocità ferroviaria. Il presidente della Fiat e l’inventore delle Tod’s sono insieme nella Ntv, Nuovo Trasporto Viaggiatori, con l’imprenditore napoletano Giovanni Punzo e Giuseppe Sciarrone, che ricorda di essere stato il primo “liberalizzatore” nel comparto ferroviario italiano con Rail Traction Company, nata nel 2000 per sviluppare il traffico merci sul Brennero e che, con il motto «qualità sulle rotaie», oggi conta 12 coppie di treni al giorno tra l’Italia e la Germania. Gli imprenditori contano di avviare l’attività nel 2010. L’operazione imprenditoriale intende trarre vantaggio dalla liberalizzazione del sistema ferroviario avviata nel 2000-2001, su spinta dell’Europa, dall’allora ministro dei Trasporti, Pierluigi Bersani, e sfruttare a fondo il sistema dell’Alta Velocità ferroviaria italiana che sta prendendo corpo. L’offerta è tutta da studiare ma sarà senza dubbio differenziata: già si pensa a treni per gli uomini d’affari ma anche per gli studenti che intendono prepararsi nelle migliori Università lontano da casa. Anche Carlo Toto, l’imprenditore abruzzese proprietario di Air One, che per acquisire Alitalia gode dell’appoggio di Banca Intesa, vede partire i treni della sua Rail One. Inizialmente chiamata Train One, la compagnia ferroviaria ha avuto la concessione dal ministero l’8 luglio 2005 ma solo ora si è resa operativa. Con l’inizio del 2007 comincia l’attività di trasporto merci, mentre per i passeggeri ci sarà da aspettare il 2009 quando dovrebbe essere operativa l’Alta Velocità Milano-Napoli sulla quale Toto ha già messo gli occhi.

 

  • Industria. 13 gennaio. Unione Europea, Alta velocità, riciclaggio delle oligarchie industriali nostrane in “capitalismo delle bollette” (in questo caso dei biglietti ferroviari), ruolo liberalizzatore fondamentale del centrosinistra: sono tutti aspetti che si tengono insieme, come si evince dalla succitata notizia. Rimanendo in ambito ferroviario, l’intenzione è di privatizzare linee ad Alta velocità come quella Milano - Roma - Napoli, ovviamente lasciando allo Stato le tratte che non danno profitti nonché la manutenzione della rete.

 

  • Sanità. 14 gennaio. Spiacevoli sorprese per malati ed assistiti con la Finanziaria 2007 che ha introdotto un «costo ricetta» supplementare di 10 euro, da cui saranno almeno esenti gli ultrasessantacinquenni, i giovani sotto i 14 anni, gli esenti per reddito o invalidità. Un’ulteriore misura neoliberista del governo “di sinistra”: l’ennesima tosatura di cittadini/pazienti ribadisce il principo che la la sanità e l’assistenza sarà programmata da una parte per gli indigenti e dall’altra per coloro che potranno/dovranno pagarsela. Ledendo così il diritto all’universalità e alla solidarietà dell’assistenza. C’è chi paventa la fuga verso il privato, anche in nero e a basso costo, che, con prezzi vicini a quelli stabiliti dal Servizio sanitario nazionale, potrebbe prendere il posto delle prestazioni pubbliche, nonché il ricorso alle assicurazioni private.

 

  • Fisco. 16 gennaio. Le tasse locali mettono ko le buste paga. Il giudizio del sindacato dei metalmeccanici CGIL, la FIOM, che ha calcolato l’effetto degli aumenti della tassazione locale sulle buste paga dei lavoratori, è lapidario: buona parte dei ceti medio-bassi vedrà addirittura un salario di gennaio inferiore a quello di dicembre 2006. Il segretario nazionale della FIOM, Giorgio Cremaschi, denuncia l’effetto deleterio che le addizionali Irpef comunali e regionali avranno sui salari. Secondo tali calcoli, la finanziaria penalizza in particolare i lavoratori single, anche quelli a più basso reddito, ovvero sui 15mila euro lordi all’anno (poco meno di mille euro netti al mese): se infatti hanno ricevuto 111 euro grazie alle nuove aliquote Irpef, devono sborsare 45 euro per l’aumento dei contributi Inps (deciso sempre in finanziaria) e 120 per il combinato aumento dell’Irpef comunale e regionale (considerando un incremento dello 0,8%, come è avvenuto in Lazio ed Emilia Romagna), così da perdere, rispetto alla retribuzione annuale del 2006, ben 54 euro. Se dunque per questa categoria il salasso avviene già a partire dai redditi bassi (e via via diviene consistente quanto più si sale di scaglioni), nemmeno le famiglie se la passano bene. Il governo aveva promesso che avrebbero goduto dei benefici della finanziaria fino allo scaglione dei 40mila euro di reddito annuo. I riscontri di Cremaschi dicono però che già tra gli scaglioni di reddito tra 35mila e 40mila si riscontrano bilanci negativi, osservando che «l’aggravio dell’Irpef locale, sommato all’aumento dei contributi Inps, rischia di ridurre il salario netto di tutti i lavoratori e le lavoratrici single e di quelli con figli a carico con reddito superiore a 35 mila euro. E non stiamo considerando i ticket, gli aumenti catastali, le tasse sui trasporti, tutti in aumento, che secondo l’Adusbef costeranno dai 280 ai 400 euro in più a famiglia». «Facendo una media non precisa, si vede che già sopra i 25mila euro lordi il lavoro dipendente va in perdita, e non sopra i 40mila come affermava il governo», conclude il segretario FIOM. Intanto Cofferati, contestato dal segretario CGIL Epifani sull’aumento delle tasse locali, ha ribattuto affermando che «i sindacati, dopo il giudizio positivo ed enfatico sulla finanziaria, adesso sono in difficoltà e si aggrappano alle addizionali comunali».

 

  • Politica economica. 16 gennaio. L’Italia deve andare avanti sulla strada per la realizzazione della riforma previdenziale. Lo ha detto il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia, parlando a Lubiana in occasione della celebrazione per l’ingresso della Slovenia nell’euro. «Abbiamo discusso con le autorità italiane sia della correzione del deficit eccessivo sia della situazione delle finanze pubbliche nel medio e nel lungo periodo e per la verità una delle principali sfide del governo nelle prossime settimane, mesi, è come affrontare la riforma del sistema previdenziale», ha detto Almunia ad una conferenza stampa. «C’è un impegno a negoziare la riforma del sistema previdenziale con le parti sociali. Sono sicuro che il governo italiano rispetterà questo impegno. Prodi e Padoa-Schioppa sanno perfettamente che possono contare su tutto il nostro sostegno per questo proposito che è necessario ma è difficile, e nel caso di Italia e Slovenia e di altri paesi dell’area euro è necessario proseguire», ha aggiunto Almunia, tracciando quasi un parallelo tra adozione dell’euro e penalizzazioni sociali. A chi gli chiedeva di commentare le sollecitazioni del commissario UE sulle pensioni, Prodi ha risposto: «Lo sappiamo benissimo».

 

  • Pensioni. 16 gennaio. Il programma con cui l’Unione ha vinto le elezioni lo scorso aprile prevede il superamento del cosiddetto scalone previdenziale in base al quale dal primo gennaio 2008 si potrà andare in pensione con 35 anni di contributi solo a 60 anni e non più a 57. La sinistra radicale della coalizione è favorevole all’eliminazione dello scalone, ma contraria ad un aumento dell’età pensionabile. Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa ha firmato con i sindacati un protocollo che prevede che entro marzo si concluda la discussione sulla riforma previdenziale. Il protocollo, che è stato anche presentato a ottobre ad Almunia, parte dall’idea che sulla previdenza occorrono ulteriori tagli.

 

  • Basi USA. 16 gennaio 2006. Sì del governo alla costruzione di una nuova base militare USA a Vicenza. Lo ha detto il presidente del Consiglio Romano Prodi nel corso di una conferenza stampa a Bucarest dove si trova in visita di Stato. «Sto per comunicare all’ambasciatore USA che il governo italiano non si oppone alla decisione del precedente governo e del Comune di Vicenza presa con voto del consiglio comunale a che venga allargata la base militare dell’aeroporto di Vicenza», ha detto Prodi. «Il mio governo si era impegnato a seguire il parere della comunità locale e non abbiamo ragioni di opporci, dato che il problema non è di natura politica, ma territoriale. Avevamo offerto altre proposte che ci sembravano più equilibrate al governo USA  ma non è stato possibile accettarle», ha aggiunto il presidente del Consiglio. Sulla possibilità di un incontro con il presidente USA, George W. Bush, Prodi ha risposto: «Ho già visto Bush in un colloquio diretto. Non vedo un problema perché ci si incontri ancora, sarà fatto al momento opportuno». Poco prima l’annuncio di Prodi, il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi era tornato aspramente a criticare il governo perché non stava rispettando gli impegni internazionali assunti quando lui era il capo dell’esecutivo, accusando il centrosinistra di «inaffidabilità» nei confronti degli USA.

  • Basi USA. 17 gennaio. «Oggi le relazioni fra Italia e USA, costruttive da oltre 60 anni, registrano un passo avanti», ha commentato ieri le dichiarazioni di Prodi in una nota l’ambasciatore USA in Italia, Ronald Spogli. Il Dipartimento di Stato USA si associa asserendo che l’ampliamento della base di Vicenza conferma che le relazioni tra i 2 paesi «sono molto forti». Il portavoce Tom Casey ha detto oggi che la decisione di Prodi «è una notizia benvenuta per il Dipartimento. Apprezziamo molto questa decisione presa dall’Italia perché rende più facile per gli Stati Uniti essere in grado di fornire il loro sostegno alle operazioni della NATO».

 

  • Liberalizzazioni. 18 gennaio. Bersani penalizza i benzinai per favorire la grande distribuzione. Le associazioni dei benzinai minacciano la serrata. Le tre sigle di categoria -Faib/Aisa, Fegica, Figisc- hanno proclamato 48 ore di sciopero. Al centro della protesta l’intenzione di diminuire il numero totale dei distributori aumentando però il numero delle pompe gestite dalla grande distribuzione. «Continuare ad annunciare la  liberalizzazione dei carburanti quando lo stesso Ministro  Bersani l’ha fortemente voluta e già introdotta alla fine degli  anni ’90, può significare solo una cosa: il Governo è a caccia di un pretesto e di riguadagnare una boccata d’ossigeno di  consenso nei confronti di una opinione pubblica ingannata». Così si legge in un comunicato congiunto dei succitati gestori delle stazioni di rifornimento, Faib/Aisa, Fegica e Figisc,  secondo i quali «il vero e inconfessabile obiettivo perseguito dal Governo è quello di introdurre una  legislazione di vantaggio per un operatore che di generico e  ipotetico non ha nulla (...) Un  soggetto specifico, potente e  persuasivo, che, se solo volesse, potrebbe concorrere come qualunque altro operatore del settore», ovvero la grande distribuzione. «Il settore è già stato liberalizzato, ci sono regole uguali per tutti che vanno rispettate e non è giusto creare le  condizioni per favorire un solo attore, con l’esplicito intendimento di eliminare i gestori», aggiunge Luca Squeri della Figisc-Confommercio. Per l’Antitrust, la vendita della benzina nei supermercati (con ristrutturazione della rete distributiva, eliminando svariati punti vendita ed aumentando i self-service), la liberalizzazione degli orari di apertura e l’aumento della pubblicità sarebbero i tre punti chiave per favorire “maggiore concorrenza” e quindi prezzi inferiori per i consumatori. L’Autorità per la concorrenza punta inoltre il dito contro le Regioni, che avrebbero ampia discrezionalità in materia, ma l’hanno interpretata in senso restrittivo. La pianificazione regionale dell’offerta non avrebbe infatti spianato a sufficienza la strada alla grande distribuzione. I distributori di benzina in Italia erano 39 mila nel 1980. Oggi sono scesi a 25 mila.

 

  • Liberalizzazioni. 18 gennaio. Liberalizzazione = prezzi bassi? Moreno Parin, presidente della Figisc-Confcommercio del Veneto, ha molti dubbi. «Una diminuzione del 10% del greggio non significa una pari riduzione del prezzo alla pompa, ma vale solamente per una piccola componente del prezzo dei carburanti: raffinazione, stoccaggio, trasporto, distribuzione, vendita, IVA e soprattutto accise (tasse) sono componenti del prezzo slegati dal costo del greggio (...) Le dinamiche dei prezzi dei prodotto finiti non seguono pari pari il costo del greggio», ha rilevato Parin in un comunicato. Il presidente della Figisc denuncia inoltre condizionamenti e soggezioni che i gestori subiscono dalle compagnie petrolifere, estrinsecatisi in accordi a loro esclusivo favore, come le clausole che prevedono l’obbligo di acquisto in esclusiva. «Invito Bersani a fare la vera liberalizzazione: quella dal monopolio delle compagnie petrolifere, cominciando con quelle controllate dallo Stato», afferma Parin, secondo cui eliminando i distributori si rischia di arrivare a situazioni come in Francia, dove gli automobilisti devono compiere 40 chilometri per trovare una pompa di benzina.

 

  • Basi USA. 18 Gennaio. Con un disegno di legge presentato in Senato Francesco Cossiga propone di autorizzare il governo a dichiarare decaduto o denunziare l’accordo bilaterale italo-americano del 20 ottobre 1954 che riguarda le basi USA in Italia. Questo accordo, come lo stesso trattato istitutivo della NATO, fu stipulato con la clausola di diritto pubblico internazionale generale, detta «rebus sic stantibus», e cioè, spiega Cossiga, «valido e in vigore finché permangono le condizioni di fatto e l’attualità dei fini per cui fu stipulato. Sulla base di questo accordo l’Italia concesse molte basi militari agli Stati Uniti d’America». Secondo quanto riporta Il Gazzettino, poiché è «venuta a cessare per il nostro Paese la situazione di pericolo e l’esigenza di una difesa combinata, costituite dalla minaccia politico-militare dell’URSS e degli altri Paesi del Patto di Varsavia, nonché dal movimento comunista internazionale, detto accordo può considerarsi decaduto o denunziabile». L’uscita di Cossiga non va comunque interpretata come una clamorosa svolta politica per l’indipendenza dell’Italia: «Il presentatore non condivide questa tesi, ma presenta questo disegno di legge come terreno di confronto e di chiarimento della linea politica di questo governo e della sua maggioranza».

 

  • Basi USA. 18 Gennaio. Quanto costano le basi italiane alla collettività? L’ultimo rapporto ufficiale del Dipartimento della Difesa degli USA, 2004 Statistical Compendium on Allied Contributions to the Common Defense, lo ha reso noto. Alla pagina “B-10” c’è la scheda che  riguarda l’Italia: vi si legge che il contributo annuale alla “difesa comune” versato dall’Italia agli USA per le “spese di stazionamento” delle forze armate statunitensi è pari a 366 milioni di dollari. Tre milioni, spiega il documento ufficiale, sono versati in contanti, mentre gli altri 363 milioni arrivano da una serie di facilitazioni che l’Italia concede all’alleato: si tratta (pagina II-5) di «affitti gratuiti, riduzioni fiscali varie e costi dei servizi ridotti». Insomma, è come se il padrone di casa, oltre a dare alloggio all’inquilino, gli girasse anche dei soldi. Nel caso delle basi USA, il 41% dei costi totali di stazionamento sono a carico del governo italiano: il dato è riportato alla pagina B-10. Alla tabella di pagina E-4 sono invece messi a confronto gli alleati: più dell’Italia pagano solo Giappone e Germania, mentre persino la fidata Gran Bretagna è dopo di noi, si è limitata –nel 2004– a contribuire con 238 milioni di dollari. Una sorpresa la si ha mettendo a confronto i dati del 1999 e del 2004: si scopre che il Governo Berlusconi ha incrementato i pagamenti agli USA, passando dal 37% al 41% dei costi totali sostenuti dalle forze armate ospiti. Ma non basta. In base agli accordi bilaterali firmati da Italia e USA nel 1995, se una base USA chiude, il nostro governo deve indennizzare gli alleati per le «migliorie» apportate al territorio. Gli USA, per esempio, hanno deciso di lasciare la base per sommergibili nucleari di La Maddalena, in Sardegna: una commissione mista dovrà stabilire quanto valgono le «migliorie» e Roma provvederà a pagare. Con un ulteriore vincolo: se l’Italia intende usare in qualche modo il sito entro i primi tre anni dalla partenza degli statunitensi, Washington riceverà un ulteriore rimborso.

 

  • Ferrovie. 19 gennaio. Liberalizzazione del trasporto ferroviario internazionale dal 2010. I 27 paesi dell’Unione Europea varano un primo regolamento sulle tratte internazionali. Preoccupazione su sicurezza e lavoro, dato che non si prevede alcuna salvaguardia sulla clausola sociale e potrebbe portare a problemi di interoperabilità e sicurezza. Tale primo avvio del trasporto passeggeri intraeuropeo segue l’apertura del trasporto stradale, aereo, marino, fluviale e ferroviario per le merci (dal primo gennaio di quest’anno).

 

  • Basi USA. 20 gennaio. Italia, «l’unico paese in cui la lealtà atlantica era stata sostituita dalla fedeltà atlantica». Su l’Unità Gian Giacomo Migone, pur auspicando un rapporto con gli Stati Uniti improntato all’amicizia ed alleanza, non può fare a meno di rilevare un’oggettiva sudditanza che risale al secondo dopoguerra e che travalica persino i dettami della NATO, «secondo cui ogni paese membro, nella sua sovranità, può impedire o sottrarsi ad una decisione che ritiene incompatibili con i suoi interessi nazionali». Migone non può fare a meno di evidenziare «la sovrabbondanza di basi e conseguenti servitù militari, secondo statuti in parte tuttora segreti; analoghi accordi tra servizi segreti (…) un senso di scandalo quasi generalizzato per comportamenti come quello di Bettino Craxi, nella cosiddetta crisi di Sigonella (…)». Per lo storico, la “guerra fredda” non accenna a finire di produrre effetti, tanto che «revisione dello statuto delle basi sul territorio italiano (del resto prevista dal programma dell’Unione), l’estradizione degli imputati americani nel caso Abu Omar, la libera e responsabile valutazione se restare, e a quali condizioni, in Afghanistan, oltre che atti doverosi, diventano irti di difficoltà (…)».

 

  • Politica economica. 20 gennaio. La Commissione Europea promuove la Finanziaria del governo Prodi ma pretende che si metta nuovamente mano alle pensioni. Nel giudizio sul programma di stabilità (il documento con gli obiettivi economici di medio periodo) la Commissione Europea chiede anche la piena attuazione della manovra e sottolinea l’esistenza di alcuni rischi. Dal 2005 l’Italia è oggetto di procedura per deficit eccessivo, e l’anno scorso si è impegnata a rientrare sotto il 3% nel rapporto deficit/PIL entro il 2007. A tale proposito, la Commissione nota che per quest’anno la correzione è «essenzialmente basata sulle entrate», con l’incremento di tasse e contributi sociali. La Commissione afferma che la stabilità dei conti è “minacciata” dagli sfondamenti di spesa in campo sanitario, e che per il periodo successivo al 2007 non ci sono dettagli sulle misure necessarie per ottenere altre correzioni del deficit. Riguardo le pensioni, la Commissione auspica una riduzione degli assegni attraverso la correzione dei “coefficienti” che legano importi con le “aspettative di vita”.

 

  • Fisco. 22 gennaio. Rincari in vista per oltre 2 milioni di case. Tante sono le abitazioni appartenenti alle categorie catastali ultrapopolare e rurale che saranno promosse ai gruppi superiori. È l’effetto dell’inasprimento fiscale sulla casa avviato dal centrodestra con la Finanziaria del 2005 e rafforzato dal Governo Prodi anche attraverso il passaggio del Catasto ai Comuni (fissato al primo novembre). Gli effetti dovrebbero già evidenziarsi a fine anno o al massimo nei primi mesi del 2008. L’effetto del passaggio ad un livello superiore comporterà l’incremento della rendita catastale. E il conseguente aumento dell’Ici e dell’Irpef. Con un incremento complessivo del prelievo fiscale quantificabile in 200 mln di euro all’anno. Il Sole24 Ore stima che il passaggio di categoria farà entrare nelle casse comunali circa 179 mln di Ici e 26 di Irpef. Ciò giustificherà per lo Stato ulteriori tagli ai trasferimenti agli Enti territoriali, da anni una delle misure ‘classiche’ per rispettare i restrittivi criteri del Patto di stabilità europeo.

 

  • Politica economica. 23 gennaio. La Commissione Europea ha deciso di deferire alla Corte di Giustizia Italia, Belgio, Spagna, Olanda e Portogallo per le disposizioni delle loro normative nazionali in base alle quali alcuni pagamenti di dividendi destinati a società estere (dividendi in uscita) possono essere tassati piu’ pesantemente di quelli destinati a società nazionali (dividendi interni). Secondo la Commissione tali norme sono contrarie al trattato in quanto restringono sia la libera circolazione dei capitali che la libertà di stabilimento. La “libertà” di cui parla la Commissione è ovviamente quelle delle multinazionali, per Bruxelles evidentemente “libere” di esportare i profitti ottenuti in Stati esteri senza penalizzazione alcuna. Rivelando un (apparente) paradosso. Senza entrare nel merito delle misure denunciate da Bruxelles e dei numeri in gioco, la libera esportazione dei profitti e il loro mancato reinvestimento nel paese di stabilimento comporterebbe una diminuzione del PIL. La riduzione delle entrate fiscali che gli Stati subirebbero se Bruxelles vincesse la causa produrrebbe un aumento del deficit annuale di bilancio. Quindi andrebbe a diminuire quel rapporto deficit annuale / PIL del patto di stabilità monitorato dalla Commissione Europea, che ovviamente non mancherà di farlo notare ai paesi che sforeranno la soglia del 3% invitando in particolare a più benvoluti tagli alla spesa pubblica.

 

  • Politica estera. 23 gennaio. Andando oltre le scaramucce della “sinistra radicale”, la Finanziaria 2007 ha già stanziato un miliardo di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 per le missioni all’estero. Lo riporta il sito Affari italiani. «È autorizzata, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la spesa di euro 1 miliardo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace. A tal fine è istituito un apposito fondo», si legge nel comma 1240 della Finanziaria. Le missioni in questione sono elencate dalla legge 247 e la legge 270 del 2006: si tratta di Libano, Afghanistan, Golfo arabico, Kosovo, Albania, Bosnia, Hebron, Rafah, Congo, Sudan, Cipro. Tali leggi, con cui si autorizzano le relative spese per le singole missioni, scadono però il 31 dicembre 2006. Da qui il comma 1241 della Finanziaria, che ha prorogato il termine per le autorizzazioni di spesa per la continuazione delle missioni internazionali al 31 gennaio 2007. Ecco dunque la necessità del decreto legge di cui si discute in questi giorni. Andando nel dettaglio delle missioni, le leggi 247 e 270 destinavano nel secondo semestre 2006 all’Afghanistan 135,5 milioni di euro e al Golfo arabico 25,5 milioni di euro; al Libano fu autorizzata la spesa di 186,8 milioni di euro in quattro mesi più 30milioni per interventi di cooperazione.

 

  • Basi USA. 23 gennaio. Non solo Vicenza. Come rileva Manlio Dinucci su il Manifesto di oggi, proprio mentre il governo Prodi annunciava il nullaosta alla costruzione della base USA di Vicenza, arrivava in Italia il Bataan expeditionary strike group, un gruppo navale di spedizione d’attacco composto da sette navi da guerra, la cui capacità offensiva è maggiore di quella della squadra di combattimento di stanza a Vicenza. Un possente gruppo navale da attacco che opererà nel Mediterraneo non nel quadro della NATO ma «quale forza da sbarco della Sesta flotta sotto il Comando europeo degli Stati Uniti»: dipenderà quindi dal quartier generale delle forze navali USA in Europa, situato a Napoli. Il gruppo navale da attacco opererà nel Golfo dove l’Iran «sta tentando di diventare una potenza nucleare» e «continua a fornire appoggio ai ribelli che combattono in Iraq». Non è neppure escluso che il gruppo navale sia inviato nel Corno d’Africa. L’Italia verrà quindi sempre più usata quale trampolino della «proiezione di potenza» statunitense verso sud e verso est. Non è dato sapere chi nel governo e in parlamento era informato dell’arrivo in Italia di una forza navale di tali dimensioni e chi ha dato il nullaosta. E nemmeno quali esercitazioni condurrà con le forze armate italiane e quali porti visiterà.

 

  • Infrastrutture. 24 gennaio. Le banche d’affari USA interessate alle infrastrutture italiane. Nel nuovo fondo per le infrastrutture italiane varato ieri figura tra i soci, oltre a Fondazioni bancarie e la Cassa Depositi e Prestiti, la Lehman Brothers. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, un’altra banca d’affari USA, la Citigroup, si occuperà di reperire risorse presso investitori privati. Inoltre, uno dei “registi” del fondo stesso è il sottosegretario all’Economia Massimo Tononi, ex della banca d’affari USA Goldman Sachs. La maggior parte degli investimenti sarà rivolta alle cosiddette “grandi opere” (sicuramente quelle autostradali; ci sarà anche la TAV?) ed alle reti. «Investiremo solo in società già esistenti e nelle privatizzazioni», ha affermato l’amministratore delegato di F2i Vito Gamberale. Tutti da vedere i benefici per la collettività. Leggendo le dichiarazioni di Gamberale, secondo cui la logica di medio-lungo periodo degli investimenti non consentirà ai sottoscrittori di titoli di debito del fondo di trarre profitti sopra le medie di mercato, ci si chiede cosa spinga le banche d’affari USA a sostenere il Fondo. Certo è che, tenuto conto che buona parte del debito pubblico itali