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C'è un tesoretto segreto per i deputati

di Daniele Martini - 24/07/2009

 


Ci sono mille modi per  sprecare soldi: regalandoli  a destra e a manca con  prodigalità sospetta, buttandoli  dalla finestra per  il solo gusto di vederli volare, non volendoli  risparmiare per principio, comprando  cose inutili, conducendo un tenore di  vita superiore alle proprie risorse... Quando  di mezzo ci sono soldi pubblici il metodo  più semplice è pretenderne tanti sapendo  che sono troppi e poi utilizzarne  pochi con l’intenzione di mettere la differenza  al «pizzo», come dicono a Roma.  Alla Camera dei deputati si sono specializzati  proprio in questo sistema: da  anni battono cassa al Tesoro chiedendo e  prendendo 10 per poi  spendere 7 e mettere 3  da parte. Qualche volta  chiedono 9 e poi si atteggiano  a Quintino Sella  del Terzo millennio; in realtà è come se  continuassero a sprecare 2, perché potrebbero  fin da principio rivendicare il  giusto senza giochetti.  Qualche giorno fa, per esempio, è stata  diffusa la notizia che per tre anni la  Camera non chiederà un incremento della  propria dotazione allo Stato e qualcuno  ha salutato il fatto come un esempio  di rigore, per una volta proveniente dall’alto.  Ma è un abbaglio perché i soldi richiesti  da Montecitorio restano ugualmente  e strutturalmente in eccesso rispetto  alle spese preventivate, che non  sono né poche né oculate, anzi.  Nonostante la crisi, i parlamentari non  hanno perso il vizio di non farsi mancare  nulla. E i cospicui avanzi di cassa portati  a bilancio non sono frutto di parsimonia,  ma di un artificio contabile giocato  sulla differenza tra bilancio di cassa  e di competenza. La riprova è data dal  fatto che le spese vere non diminuiscono, ma crescono anno dopo anno: dell’1,5  per cento nel 2008 e dell’1,3 nel 2009  secondo il bilancio di previsione.  Senza rinunciare a quasi nessuno dei  privilegi che si sono autoconcessi, i deputati  nel corso degli anni hanno messo da  parte un fondo cassa che non è uno scherzo,  un tesoretto di oltre 343 milioni di  euro a fine 2008, così come risulta dal  conto consuntivo approvato due settimane  fa, salito già a 370 milioni a luglio  2009 e quindi pari a più di un terzo dei-  l’intera dotazione annuale di Montecitorio,  che nel 2008 è stata di 978 milioni.  Una dotazione particolarmente ricca  e calcolata in modo assai singolare. Dal  momento che i deputati sono 630, il  doppio dei senatori, e i dipendenti pure  (1.800 circa contro i 990 del Senato  dopo gli ultimi pensionamenti di luglio),  e poiché il Senato ha un bilancio  di circa 500 milioni, alla Camera, sostengono  i deputati, deve essere erogata  una dotazione doppia. Senza considerare,  però, che molte spese fisse risultano  praticamente identiche dall’una  e dall’altra parte.  L’aula in cui si vota, per esempio, è  una in entrambe le camere, così come  il numero delle leggi approvate è ovviamente  lo stesso, e le commissioni  idem, e via di questo passo. Anche per  la Camera dovrebbe valere il principio  elementare delle economie di scala, ma  forse a Montecitorio le leggi dell’economia  valgono a corrente alternata.  Ogni volta che si accingono a redigere  un nuovo bilancio i deputati questori  partono in pratica con un abbuono  ricco e quindi se volessero potrebbero  davvero offrire il buon esempio all’inclita  e al vulgo chiedendo al Tesoro  una dotazione ridotta rispetto alla solita.  Potrebbero fare il bel gesto invitando  il ministro Giulio Tremonti a  utilizzare per qualche buona causa più  urgente la differenza, una volta tanto  ottenendo l’applauso sincero di chi li  ha votati. Potrebbero, magari, indirizzare  quel surplus ai terremotati dell’Abruzzo;  i terremotati, però, non pagano  gli interessi, le banche sì: circa  15,4 milioni di curo nel 2008 su depositi  e conti correnti della Camera.  Ma perché mai a Montecitorio insistono con il trucchetto di succhiare tanto  per spendere meno? Che senso ha?  Quel di più probabilmente è richiesto  per affrontare gli imprevisti, oltre che  per lucrare gli interessi. In primo luogo  le temutissime interruzioni di legislatura.  Quando capitano, e in Italia purtroppo  capitano abbastanza spesso, per le camere  è un trauma, non solo perché è come  se ai peones di Montecitorio e Palazzo  Madama franasse il terreno sotto i piedi,  ma anche da un punto di vista economico.  La fine repentina della legislatura  costa un sacco di soldi, dalle spese  minime, come quelle per l’imballaggio  delle carte dei parlamentari decaduti, al-  l’imbiancatura degli uffici per i nuovi arrivati,  dalle buonuscite per chi deve dire  addio al Palazzo al numero delle pensioni  che ovviamente cresce.  Le pensioni risultano proprio uno dei  capitoli di spesa più cospicui di Montecitorio,  175 milioni circa, anche perché  sono concesse con criteri decisamente più  generosi rispetto a quelli richiesti ai comuni  mortali. Se, per esempio, ai dipendenti  normali servono almeno 36 anni  di contributi, ai deputati ne bastano 5,  un settimo, per un vitalizio baby di tutto  rispetto: 3.300 euro.  E poi fra gli imprevisti ci può stare anche  l’aumento delle indennità. È vero che  deputati e senatori hanno giurato che  non avrebbero votato aumenti fino alla  fine della legislatura, ma di mezzo c’è la  crisi: chi potrebbe giurare che, passata la  tempesta, a Montecitorio e a Palazzo Madama  non tornino subito a far festa con  un ritocchino? Perché nel frattempo nessuno  si impegna sul serio nel disboscamento  della fitta giungla di privilegi parlamentari  grandi e piccoli.  Dal telefono ai viaggi gratis, dai 4 mila  euro al mese per le spese di soggiorno  agli altri 4.190 per la cura dei «rapporti  con il proprio collegio di appartenenza»,  ottenuti a titolo di rimborso, sia che  quelle spese ci siano state o no, a prescindere,  come avrebbe detto Totò, dal momento  che non sono richieste ricevute o  pezze d’appoggio. I quattrini vengono  erogati sulla fiducia, e forse è anche per  questo che chi li prende viene chiamato  onorevole. Qualche giorno fa la deputata  radicale Rita Bernardini ha cercato di  correggere l’andazzo: la sua proposta è  stata approvata da 49 deputati e respinta  da 428. Una maggioranza schiacciante,  per una volta bipartisan.