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Israele. Stato confusionale

di Zvi Schuldiner - 03/06/2010




L'attacco israeliano contro la «Freedom flotilla» ha scatenato una grave crisi in Israele e ha gettato un fascio di luce sul brutale assedio della Striscia, che dura dal 2005 (quando al potere non c'era ancora Hamas) e non solo dai massacri di «Piombo fuso» dell'inverno 2008. Il premier Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Ehud Barak (nella foto) sono i responsabili diretti della decisione che ha portato all'attacco alla nave turca Marmara e come tali si sentono sotto assedio. Entrambi. La moderata critica del presidente Obama si è aggiunta alle forti condanne e ammonimenti internazionali a Israele. Non è solo «l'estremismo islamico di Erdogan», il premier turco, a minacciare i rapporti i buoni con la Turchia, è l'Europa, il Canada, l'Irlanda che annunciano serie conseguenze nel caso la nave irlandese attesa a Gaza nelle prossime ore venga attaccata.
Israele è in piena schizofrenia: da un lato è chiaro a tutti che i nostri valorosi soldati sono stati aggrediti da una temibile coalizione di miliziani di Al Qaeda, di terroristi di Hamas, di estremisti turchi truccati da pacifisti; dall'altro la sensazione generale è quella, fin da subito, di un fiasco totale. L'assedio diplomatico di Israele è drammatico e si comincia a sentirne gli effetti anche sul piano economico.

Un sondaggio per conto del giornale di destra Maariv rivela che il 49% della popolazione è favorevole a una commissione speciale d'inchiesta e il 62% crede che si sarebbero dovuti usare altri mezzi per fermare le navi.

Il settimanale Usa The Nation ha riferito che fra i pacifisti imbarcati sulla flottiglia c'era anche Edward Peck. Questo signore non è un americano qualunque, ma un ex-diplomatico di carriera che fu il vice-direttore della Task Force on Terrorism della Casa bianca ai tempi del presidente Reagan! Sua moglie ha ricevuto da Israele un messaggio che garantiva la sua prossima liberazione ma di certo la sua presenza, come quella di molti altri «terroristi» e «estremisti» dello stesso tipo, non farà felici gli agit-prop al servizio della versione ufficiale israeliana. L'ex ministro degli esteri e attuale leader dell'«opposizione», Tsipi Livni del Kadima, già precisa che i soldati nessuno li mette in discussione. Ossia insinua che presto comincerà il dibattito sulla responsabilità politica dell'attacco o «dell'opzione scelta che ha messo a rischio la loro vita».

Anche peggio: voci parlano di un esponente di alto rango che avrebbe criticato l'opzione scelta. Le malelingue dicono che si tratta del vice-premier Moshe Yaalon, l'ex-comandante dell'esercito. Se si tratta di lui, la sua critica sarebbe l'emblema dell'opportunismo di uno che, criticando Barak, aspira a prenderne il posto. Ma il problema per Yaalon non è facile perché criticare Barak significa criticare Netanyahu. E non solo perché mentre Netanyahu, impegnato in visita ufficiale all'estero, non c'era, il suo sostituto ad interim era... lo stesso Yaalon. L'ambasciatore Peck, parlamentari europei, una sopravvissuta ebrea dell'olocausto accompagnavano i «mercenari» - vari passeggeri avevano molto denaro con sé, secondo le versioni israeliane, e questo prova che erano «mercenari» - i miliziani di Al Qaeda, ecc. Che fare oltre a diffondere versioni infantili che nessuno prende sul serio?

All'inizio, pavlovianamente, tutti i «criminali» sono stati trasferiti in una prigione del sud di Israele. Quando alcuni avvocati e gruppi per i diritti umani, martedì, si sono presentati alla Corte suprema esigendo la liberazione di tutti gli arrestati, la procura ha immediatamente reagito sostenendo che questo costituiva una minaccia per la sicurezza dello Stato. Poche ore più tardi, l'enormità della bufera diplomatica ha insufflato una boccata d'aria fresca nei cervelli ottenebrati dei leader israeliani, che hanno cominciato a capire come la cosa più pratica da fare fosse la liberazione di tutti quelli che non risultassero direttamente colpevoli degli «attacchi» ai soldati d'Israele.

Varie centinaia degli arrestati sono stati portati all'aeroporto ma la destra esige che la Corte impedisca la liberazione di quanti sono colpevoli di atti così terribili contro il nostro paese e i suoi valorosi soldati. In parlamento, una patriottica deputata del Likud, Miri Regev, ex-portavoce dell'esercito, ha investito la deputata araba Hanin Zoabi, che era a bordo della Marmara - urlandole: «Vai a Gaza, traditrice!»; nelle strade centinaia di manifestanti di sinistra sostengono la flottiglia e condannano il governo in diverse città del paese e s'imbattono in furibondi patrioti che hanno a loro volta organizzato varie manifestazioni di «appoggio morale ai nostri soldati che hanno rischiato la loro vita in difesa della patria».

E come se non bastasse tutto ciò e l'assedio diplomatico, è evidente che in questo round Hamas porta a casa un punto importante: adesso si comincia a discutere, anche in Israele, la sterile strategia dell'assedio politico imposto alla popolazione palestinese di Gaza. L'assedio è cominciato prima che Hamas prendesse il potere nella striscia nel 2006; è parte integrante dei mezzi usati dal governo israeliano per evitare negoziati di pace seri; rivela che il ritiro unilaterale da Gaza nel 2005 era null'altro che uno stratagemma di Sharon che ormai non funziona più. La «Freedom flotilla» e Israele annunciano al mondo qualcosa che il mondo aveva dimenticato: il milione e mezzo di palestinesi sotto assedio sono le vittime delle incessante occupazione di Gaza - anche dopo il ritiro israeliano - che deve finire.