Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La filosofia di Martin Heidegger

La filosofia di Martin Heidegger

di Manuela Ritte - 08/07/2010




All'inizio di Essere e tempo Martin Heidegger riporta le seguenti parole di Platone: "Sembra che voi siate già da molto tempo familiari con ciò che intendete dire, quando usate l'espressione "essente". Noi una volta pensavamo di intenderlo, ma ora ci è rimasto solo imbarazzo."

[1] Heidegger ripropone la questione del senso e della verità dell'essere, che egli vede chiaramente caduta in oblio. Oblio dell'essere (Seinsvergessenheit) significa per Heidegger la dimenticanza del proprio essere in contrasto col nulla e la mancanza dello stupore che questo incontro dovrebbe suscitare: "Solo l'uomo fra tutti gli essenti può conoscere, chiamato dalla voce dell'essere, la meraviglia delle meraviglie: che qualcosa è."[2] E non gli mancano le espressioni per descrivere questo stato: Heidegger parla di Abfall (deiezione), Verfall (rovina) e Zerfall (decadimento).  Però normalmente, come dice in Essere e tempo, opera capitale uscita per la prima volta nel 1927, la questione non viene solo dichiarata come superflua, ma la sua mancanza viene anche argomentata: si dice che l'essere non è solo il concetto più generale ma anche che è assolutamente vuoto e che questa parola indefinibile non avrebbe neanche bisogno di una definizione. Ognuno la usa in qualsiasi momento e ha già dentro di sé l'intendimento di che cosa sta significando. Per questo motivo secondo Heidegger, sarebbe diventato una cosa ovvia, sonnenklar (chiaro come il sole), quello svelato che ancora ai tempi antichi era in grado di suscitare grande sconcerto e incapacitazione.

In Introduzione alla metafisica, che contiene testi dei corsi universitari tenuti a Friburgo nell'estate del 1935, Heidegger chiede se "l'essere non è che l'ultima traccia di una realtà che dilegua e nei cui confronti il solo atteggiamento da prendere è ormai di lasciarla dileguare del tutto nell'indifferenza? Oppure l'essere è la cosa più degna di discussione? Con il porci in tal modo la domanda noi compiamo il passo decisivo che da un fatto indifferente e dalla pretesa vacuità di significato della parola "essere" ci conduce all'avvenimento più degno di essere discusso, ossia al fatto che l'essere si schiude necessariamente nel nostro comprendere."[3] Heidegger si pone la questione in un tempo in cui il nulla ha aggredito la possibilità stessa di porre un fondamento e questo pare senza soluzione. Il Cristianesimo che ancora nel secolo scorso aveva dato un senso al crudo essere non è più in grado di colmare la voragine. Le religioni in senso tradizionale sono impotenti di fronte alla nuova inquietante apparizione. Da un lato la religione come ambito nel quale cercare risposte è stata rimpiazzata, resa superflua dal credo scientifico-materialista che si basa sul presupposto che "il pensiero sta al cervello come la bile al fegato", certamente non in grado di affrontare il problema del senso, di fondare valori. Dall'altro lato è stato l'Esistenzialismo che con sentenze come "L'esistenza precede l'essenza"[4] ci ha fatto vedere l'illusorietà di ogni possibile senso, di un Dio, del sacro: niente può più fungere da fondamento, neanche Dio, perché ogni fondamento, in quanto è, ricade nella questione.  Heidegger si pone allora la questione del senso dell'esistenza; si chiede qual è il vero senso dell'essere a prescindere da tutti i nostri tentativi effimeri di invenzione di senso. Quale è un atteggiamento lecito verso l'esistenza? "Heidegger palesava l'impossibilità di un Dio-fondamento e di una teologia in senso classico. Se Dio c'è ricade nella domanda fondamentale; perciò quale valore, quale sacro, quale teologia dopo la lezione dell'esistenzialismo?" [5]

Heidegger spiega che l'intenzione della domanda fondamentale "Perché c'è in generale l'essente e non piuttosto il Nulla?" [6], con cui fa terminare la celebre prolusione Che cos'è Metafisica? nel 1929 e che sconvolse le menti più sensibili ed intelligenti, è proprio quella di interrogarsi su questa dimenticanza. Il senso di questa che Heidegger chiama Grundfrage è chiarito da altre domande: "Da dove viene il fatto che ovunque l'essente ha la precedenza, rivendicando per sé ogni "è", mentre ciò che non è essente, il Nulla così inteso come l'essere stesso, rimane obliato? Da dove viene il fatto che dell'essere in fin dei conti è nulla, e che il Nulla in fondo non è (west)?"[7]  Heidegger stesso sottolinea il grande divario tra la sua domanda e quella di Leibniz "Perché vi è qualcosa piuttosto che nulla?"[8], anche se sembrano differenziarsi solo di poco. Il pensiero di Leibniz è rappresentativo e si occupa solamente dell'ente, riferito al suo fondamento. Scrive Heidegger: "In che cosa tuttavia consista l'essenza di questo fondamento resta del tutto impregiudicato, e, anzi, presupposto come una "rappresentazione" per se stessa evidente. Il "supremo" principio di ragione sufficiente porta con sé anche per un altro aspetto l'oscurità intorno all'essenza del fondamento e ciò in quanto la sua natura di principio, di principium grande (Leibniz), cioè di principio fondamentale, è pensabile solo nel quadro della determinazione dell'essenza del fondamento"[9]

Il problema per Heidegger non è di trovare l'essente supremo, la causa di tutto, ma di pensare l'essere in contrasto con il nulla. E perciò perfino la domanda fondamentale è stata interrogata da Heidegger sulla sua  ragione.
Egli sottolinea che già nella domanda posa una comprensione, sebbene preconcettuale, di essere. Questo lo porta ad una pre-domanda, ad una domanda prima della domanda fondamentale: "Che ne è dell'essere?"
[10]. Chi si pone la domanda fondamentale le dà già una certa impronta, la sua comprensione d'essere preconcettuale è già determinata. In qualche senso abbiamo già un intendimento riguardo al significato di "essere".
L'oblio dell'essere è una visione cieca dell'essere, radicata nella nostra cultura a partire dal pensiero metafisico, nato secondo Heidegger in seno alla filosofia platonica. Con "metafisica" egli intende quella tradizione di pensiero che pone il problema dell'essere dell'ente, andando metà, oltre, l'ente stesso, in una dimensione trascendente.
Però con il pensiero metafisico ha l'inizio quel processo in cui l'essere stesso non viene più preso in considerazione, non viene più visto come evento straripante sotto la luce del nulla. Per la metafisica, e con metafisica Heidegger intende la filosofia in generale che si trova nello stato di decadenza dovuto all'oblio dell'essere, gli enti non appaiono più sotto la luce della Befremdlichkeit, della stranezza, come delle assurdità per il puro fatto del loro esserci, perché - e qui ci rifacciamo alle parole di Leibniz - "il nulla è più semplice e più facile di qualcosa."
[11] Nessuna ragione, in quanto è, e quindi facendo parte del problema, potrebbe mai spiegare perché si dà qualcosa invece che niente. L'essere è impossibile e questa impossibilità si manifesta attraverso la sensazione della stranezza. "Solo perché il Nulla è svelato nel fondo dell'esserci, la piena stranezza ci può sopraffare."[12]
Nell'opera Nietzsche del 1961 Heidegger sostiene che la metafisica affronta il problema in modo errato, riconducendo l'essere sullo stesso piano dell'ente: "Nondimeno la domanda se, e come , l'uomo si rapporti all'essere dell'ente, non solo all'ente (...) rimane non domandata. Ci si illude che la relazione all'essere si sarebbe già determinata di sufficienza mediante la spiegazione del rapporto dell'uomo con l'ente. Si prendono i due, il rapporto con l'ente e il riferimento all'essere, per lo stesso."
[13]

II

Heidegger lascia l'ambito della metafisica e si colloca invece in quello dell'ontologia, contrassegnando la differenza tra essere ed ente con l'espressione Differenza Ontologica. Questo significa che l'essere non si esaurisce in un ente specifico, né si identifica con la totalità delle cose. 

Quando si dice ‘differenza ontologica' si pensa ad un oggetto e ad un concetto sull'oggetto.
L'ente decade ad oggetto ed essere a concetto sull'oggetto, ‘essere' una proprietà ed ‘ente' un oggetto. Ma "essere" non è un concetto, e neanche "niente" è un concetto perché qualunque parola o concetto ‘c'è invece che niente'. Questa è la vera differenza ontologica.
Non è descrivibile[1] in quanto anche la descrizione stessa è: essere è "a monte" di tutti gli essenti, è il significato ultimo[2], è il singolare, è il di più.

Nel secondo volume dell'opera Nietzsche Heidegger fa una ricostruzione della storia della metafisica, per mostrare precisamente a quale punto della nostra storia un intendimento più originario dell'essere viene distorto. Egli individua l'inizio del pensiero metafisico, "il processo in cui (...) il pensare l'essere è totalmente smentito a favore di una conoscenza rappresentativa dell'essente a partire dall'essente in quanto tale" [3], nel pensiero di Platone. 

È con questo pensiero iniziale "che il mondo deve diventare immagine. (...) In lui si lega lo sforzo filosofico alla giustificazione del cosale "che cos'è", mentre l'essere "stesso" (...) rimane fuori dallo sguardo." [4]

La parola fondamentale della filosofia platonica è "idea". In Platone la verità dell'essere è diventata correttezza dello sguardo rivolto all'idea, che consiste nella corrispondenza tra l'idea e la cosa.
In una conferenza tenuta a Roma nel 1936 Heidegger dice che "quando idea-eidos sono posti in relazione alla vista e al vedere come ciò-che-è-visto, l'essere non è più concepito nel suo stare per sé, ma solo nell'ottica in cui sta di contro, come oggetto, all'uomo. Questa deviazione dall'essenza in sé riposante dell'essere ha però per conseguenza che ora l'idea, la quale dovrebbe mostrare l'ente in quello che è, è essa stessa innalzata e reinterpretata come l'autentico essente. (...) Ma lo stesso ente, ciò che chiamiamo cose, si è ritratto nell'apparire."[5]

Nell'opera Nietzsche Heidegger sottolinea che "l'Essere (idea) diventa la condizione della quale colui che rap-presenta (il soggetto), dispone e deve disporre se devono potergli stare di fronte oggetti". [6]

La comprensione dell'essere è in questo modo possibile solo se gli è attribuita l'idea, quando c'è un adeguamento della cosa al suo enunciato, l'adequatio intellectus rei. L'enunciato si chiama logos. In questo modo il logos è diventato "il tribunale dell'essere. La dottrina del logos, la logica, diventa il fondamento visibile o nascosto della metafisica."[7]

L'attenzione da Platone si sposta poi al pensiero dell'età moderna e di Cartesio, perché qui si delinea un ulteriore radicamento dell'oblio dell'essere. Nell'età moderna l'uomo si è stabilito come soggetto ed è diventato lui stesso la misura per la decisione su che cosa far valere come essente. Per Heidegger però a questo punto è importante non scambiare il soggettivismo con un "un mero soggettivo, egoistico e solipsistico pensare e atteggiamento."[8] Per lui "ogni oggettività è soggettiva [non significa che] l'ente venga ridotto a una mera veduta e una mera opinione di un "io" accidentale qualsiasi."[9] Significa invece che "ciò che viene incontro viene installato e fatto diventare oggetto che sta in se stesso. (...) "L'enticità è soggettività" e "l'enticità è oggettività" dicono lo stesso! : (...) a che tutto ciò che viene incontro e si muove determini la sua enticità in base al rappresentare in quanto rappresentare."

Per Heidegger Cartesio rappresenta l'inizio decisivo per la nuova base della metafisica dell'età moderna. Cartesio si è posto come prima domanda: "Per quale via l'uomo giunge da sé e per sé a una prima verità incrollabile, e qual è questa verità prima? (...) La sua risposta suona: ego cogito, ergo sum. ll suo compito divenne "di fondare il fondamento metafisico per la liberazione dell'uomo nella nuova libertà in quanto autolegislazione sicura di se stessa"

Nella sua analisi, da Cartesio Heidegger passa all'ultimo rappresentante della metafisica, che individua in Nietzsche. I corsi heideggeriani dedicati a Nietzsche tenuti a Friburgo tra il '36 e il '46 riflettono una delle punte più alte della tematizzazione nel nostro secolo del problema del nichilismo. Heidegger guarda a Nietzsche essenzialmente attraverso l'ottica della volontà di potenza. Essa perde in Heidegger ogni rilievo antropologico per delinearsi come il luogo in cui si disegna il compimento della metafisica.
Nell'opera Nietzsche Heidegger introduce il lettore alla filosofia di Nietzsche, che con la sua trasvalutazione dei valori ha fatto vedere l'illusorietà dei valori tradizionali e ha posto come unico valore reale la volontà di potenza. Heidegger però sostiene che anche Nietzsche è rimasto intrappolato in un pensiero oggettivante. Nietzsche è per Heidegger, come sottolinea Müller-Lauter, "il filosofo tramite il quale il reale si è svelato come volontà di potenza; per la tarda fase della modernità ciò significa che il reale si mostra nelle modalità della oggettivazione determinata dalla tecnica."[10] 

Nietzsche per Heidegger non è solo rimasto nelle scia della metafisica, ma ha portato anzi con il suo pensiero dei valori la metafisica al compimento. Heidegger dice a proposito nella Lettera sull'Umanismo: "Si tratta piuttosto di capire che proprio quando si caratterizza qualcosa come "valore", ciò che così è valutato viene ammesso solo come oggetto della stima umana. Ma ciò che qualcosa è nel suo essere non si esaurisce nella sua oggettività e ciò tanto meno se l'oggettualità considerata ha il carattere del valore."[11] 

Con la caratterizzazione di Nietzsche dell'ente come volontà di potenza, l'esistenza viene spogliata di tutto: alla fine rimane la pura volontà che vuole solo se stessa. Però sulla volontà stessa Nietzsche non osa farsi un'ulteriore domanda. Convinto di occuparsi dell'essere, rimane sul piano dell'ente e della positività dell'essere. Il compimento della metafisica attraverso Nietzsche si identifica, in ultima analisi, con una visione del mondo. Heidegger dice in La storia dell'Essere: "La visione del mondo è la malaessenza della metafisica, è la metafisica nella sua solidificazione senza fondamenta e senza meditazione. Pensa in "idee" e "valori" e con "finalità". Tutto questo però solo come mezzo al servizio delle macchinazioni, la cui essenza non potrà mai afferrare. Col compimento della metafisica ha inizio il dominio della sua malaessenza. (...) Il compimento della metafisica è la fine della filo-sofia."[12]

Manuela Ritte


Note:

[1] M. Heidegger, Essere e tempo, Utet, Torino 1953.
[2] Che cos'è Metafisica?, Pironti, Napoli, 1982, p.49
[3]Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano 1968, p. 96.
[4] J.-P. Sartre, L'essere e il nulla, il Saggiatore, Milano 1964.
[5] F. Bertossa, Smarrimento esistenziale nei giovani: morire di vuoto, guarire col Vuoto, in A. S. I. A. , Antiche e moderne vie all'Illuminazione, 1999, n. 11, p. 2.
[6]Che cos'è metafisica?
[7] ivi
[8] G. W. Leibniz, Princìpi della natura e della grazia fondati sulla ragione, Utet, Torino 1967, p. 278.
[9] Dell'essenza del fondamento, Bocca, Milano 1952.
[10] Introduzione alla metafisica
[11] G. W. Leibniz, op. cit.,  p . 278.
[12]Che cos'è metafisica, p. 44.
[13]Nietzsche, vol. 2, Adelphi, Milano 1994, p. 205.

[1] La Differenza Ontologica non è descrivibile in quanto afferrabile, ma parlarne senza afferrarla è la differenza ontologica in atto.
[2] senza dimenticare che anche il significato è.
[3] Che cos'è metafisica?, p. 18.
[4] R. Marten, Heidegger lesen, Fink, München 1991, p. 119.
[5] M. Heidegger, L'Europa e la filosofia, Marsilio, Venezia 1999, p. 31.
[6] M. Heidegger, Nietzsche, p. 230.
[7] M. Heidegger, L'Europa e la filosofia, p. 31.
[8] Nietzsche, p. 778.
[9] Ibid.
[10] W. Müller-Lauter, Volontà di potenza e nichilismo, Nietzsche e Heidegger, Parnaso, Trieste 1998, p. 153.
[11] M. Heidegger, Lettera sull'Umanismo, Adelphi, Milano 1995, p. 82.
[12] M. Heidegger, Die Geschichte des Seyns