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Dario Fo, giullare di tutti

di Antonio Serena - 18/10/2016

Dario Fo, giullare di tutti

Fonte: Libera opinione

 

 

Al  funerale laico di Dario Fo a Milano c’erano  il fondatore di “Potere Operaio”, Oreste Scalzone, e i fans di “Soccorso rosso”, l’organizzazione accusata di essere border line con il Partito armato che i due attori sostennero durante gli anni del terrorismo; poi i sindaci Virginia Raggi e Chiara Appendino del Movimento 5 Stelle, ultimo approdo politico di Fo. Commosso ed ostentando il pugno chiuso, il figlio dell’attore, Jacopo, ha ringraziato i compagni presenti.

IL “CAMERATA PARTIGIANO”

Il funerale si è sciolto tra le note di “Bella ciao”, la canzone dei partigiani comunisti, che gli organizzatori potevano anche risparmiarsi.  Dario Fo, infatti, a 18 anni si arruolò nel “Battaglione Azzurro” di Tradate (contraerea) e poi tra i paracadutisti del battaglione “Mazzarini” della Repubblica Sociale Italiana. Nel 1977 Il Nord, foglio locale di Borgomanero, raccontò quei trascorsi della vita di Fo: l’attore querelò subito il giornaletto, asserendo al processo che l’arruolamento era stato soltanto “un metodo di lotta partigiana”. Le testimonianze, però, lo inchiodarono: la sentenza del tribunale di Varese, datata 7 marzo 1980, stabilì che “è perfettamente legittimo definire Dario Fo repubblichino e rastrellatore di partigiani”. Fo non fece ricorso. Altro che “Bella ciao”! Sarebbe stato più intonato al suo passato dedicargli l’inno che forse cantò da giovane: “A noi la morte non ci fa paura, ci si fidanza e ci si fa l’amor…”

Non è certo delicato rivangare polemiche di fronte alla morte di una persona, ma quello che hanno fatto questi signori – Dario Fo, la moglie France Rame ed il figlio Jacopo – è esattamente il contrario di quello che hanno predicato. Passi per il trasformismo politico, prerogativa nazionale: era un giullare e i giullari fanno i saltimbanchi per chi li paga, ma ci sono altre cose che qualcuno ha messo in soffitta troppo in fretta.  

 

RICORDANDO PRIMAVALLE

Il fatto è che questa famigliola ha ben altro da far dimenticare.  Il 16 aprile 1973 militanti di Potere Operaio incendiarono la casa di Mario Mattei, esponente del Msi, e uccisero i figli Virgilio e Stefano di 22 e 8 anni. Franca Rame e Dario Fo si schierarono in difesa di Achille Lollo, condannato a 18 anni di reclusione per incendio e omicidio colposo per quello che passerà alla storia degli anni di piombo come il rogo di Primavalle. Come scrive oggi Aldo Cazzullo sul Corriere, Fo spalleggiò non "una vittima della repressione", ma "il carnefice dei fratelli Mattei arsi vivi a Primavalle".

Per Achille Lollo, Franca Rame organizzò una raccolta fondi “per farlo sentire meno solo”. “Ho provato dolore e umiliazione – scrisse la moglie di Fo - nel vedere gente che mente, senza rispetto dei propri morti”, affermando che a provocare la morte dei due ragazzini di Primavalle fossero stati i “fascisti”. Accanto a lei c'era sempre il marito drammaturgo e premio Nobel: membri attivi dell’associazione “Soccorso Rosso”, creata per sostenere i compagni accusati di omicidio e altri odiosi reati.

Scriveva a quel tempo la Rame a Lollo: “Caro Achille, ti ho spedito un telegramma non appena saputo del tuo arresto, ma oggi ho saputo che i telegrammi in partenza da Milano hanno anche 15 giorni di ritardo. Arriverà che sarai già uscito. Ieri e oggi i giornali parlano di te dando ottime notizie. Caduta l'imputazione di strage. Bene! Sono contenta… Anche il fatto ridicolo degli esplosivi seguirà l’altro, anche perché di esplosivi non ne avevi. Io non ti conosco, ma come molti sono stata in grande angoscia per te. Ho provato dolore ed umiliazione nel vedere gente che mente, senza rispetto nemmeno dei propri morti. Dolore di saperti protagonista di quel dramma scritto da un pessimo autore. Ti ho inserito nel Soccorso rosso militante. Riceverai denaro dai compagni, e lettere, così ti sentirai meno solo. Comunicami immediatamente la tua scarcerazione, che avverrà prestissimo. Se puoi scrivi. Un fortissimo abbraccio.”

Appresa la suprema verità dai genitori il giovane figlio Jacopo pubblicò un fumetto satirico su Primavalle, dove, come si evince dalla vignetta qui pubblicata, è raffigurato un agente dei servizi segreti che prepara la tanica di benzina, un regista misterioso che telefona ad un commissariato per informarlo su quanto sta accadendo e, per ultimo, un inconfondibile Giorgio Almirante, che telefona per sapere se ci sono “stati i morti” e che gioisce per i morti di Primavalle. Insomma, con la matita di Jacopo Fo, quella che fu una delle più vergognose spedizioni punitive degli anni di piombo, costata la vita a due ragazzini delle borgate romane, è materia di ironia e propaganda politica.

Il suo non fu un incidente solitario: la sua simpatia per i terroristi la espresse in altre occasioni. In un opuscolo uscito nel 1975 il figlio del futuro premio Nobel prendeva le difese del terrorista delle Br Roberto Ognibene, già autore all’epoca degli omicidi di Mazzola e Giralucci e del maresciallo dei Carabinieri Felice Maritano. Jacopo Fo sosteneva che Ognibene fosse una vittima delle “oscure trame” dei servizi segreti italiani.

Né Jacopo Fo né i genitori hanno mai chiesto scusa, nemmeno dopo che è stata acclarata la responsabilità dei compagni comunisti su quei fatti.  Ma le TV di Stato, alla morte del giullare, per incensarne l’opera si è detto che l’attore si è sempre battuto in difesa dei diseredati, per dare voce ai poveri e agli umili. Mentre, si sa, i morti delle baracche di Primavalle erano dei potenti  signori.

 

“MORTE ALL’ IMPERIALISMO, W GLI IMPERIALISTI!”  

Forse grazie ai suoi trascorsi giovanili, Il repubblichino Dario Fo ha sviluppato nella sua vita un forte sentimento antimperialista e antiplutocratico, che si è un po’ assopito dopo la concessione di quel Premio Nobel che l’imperialismo concede ai suoi servi più talentuosi.

E nel dicembre 2007, grazie al riconoscimento ottenuto, il giullare attaccò il Presidente dello Zimbabwe Mugabe, il leader libico Gheddafi e il presidente sudanese Umar al-Bashir, in sintonia perfetta con le aggressioni militari della NATO e degli Stati Uniti d’America, con una lettera aperta sottoscritta, oltre che da lui, dalla moglie Franca Rame e da Günter Grass (altro intellettuale di sinistra in cerca di rifarsi una verginità per cancellare i suoi  trascorsi militari nell’ esercito nazista), con cui si accusavano i leader europei di vigliaccheria per non aver voluto affrontare i problemi del  Sudane  dello Zimbabwe. Ovvero, per non aver ancora sostenuto un qualche “golpe” nei confronti di uomini e paesi  che si opponevano all’imperialismo e al colonialismo nel continente africano.

Non contento, il 24 marzo 2011, Fo, in un’intervista a “L’Unità”, plaudì  al folle intervento in Libia e l’assassinio di Gheddafi. In questi termini strampalati: “Che si fa con la Libia? ‘Discorso terribile, difficile maneggiare senza ferirsi. Ma se non c’era la Francia che partiva in quarta, c’era una strage e staremmo qui a piangere anche sulle nostre responsabilità. Dovevamo accettare il massacro? Magari con la scusa che i luoghi in cui intervenire per difendere la libertà sarebbero troppi e quindi meglio niente? Meglio fermi e sottoterra? Non credo, io sto con l’ONU. Certo, …ora ci vorrebbe un controllo meticoloso delle operazioni, una lucidità che tuttavia la guerra, o il potere, nega sempre. Poi penso a Berlusconi, ai suoi amici. È un collezionista di figli di puttana, appena ne vede uno gli corre incontro e gli bacerebbe anche i piedi, non solo l’anello, è fatto così”. S’è poi visto come è andata e qual è ancor oggi la situazione in Libia dopo il rovesciamento di Gheddafi.

Questa smania di sproloquiare di politica estera - dettata da ignoranza  o servilismo - era ancor viva nel 2014 quando Dario, non  capendo o fingendo di non capire ancora chi ci fosse dietro i rivoluzionari siriani, invitava a rovesciare il governo di Damasco e a sostenere i terroristi dell’Islam (finanziati dagli stessi signori che gli procurarono il premio Nobel) firmando in compagnia di Francesco Guccini e alcuni prelati, un appello all’ Occidente lanciato dall’associazione Articolo21 per perorare l’intervento in Libia della NATO e un processo contro Assad “per crimini di guerra e contro l’umanità“. Scrive il giornalista Alessandro Lattanzio: “Dario Fo, giullare dello Zio Sam, aveva vinto il premio Nobel, e ora doveva dimostrare di esserselo meritato. L'imperialismo sa fabbricarsi gli ‘oppositori’ “.

 

FO E ALBERTAZZI: IL GIULLARE E IL GALANTUOMO

In questi giorni stampa e tv hanno fatto a gara, salvo qualche flebile voce di dissenso, ad osannare questo giullare sempre al posto giusto nel momento giusto: fascista, repubblichino, antifascista, comunista, extraparlamentare di sinistra, antimperialista, amico degli imperialisti e, nota comica finale, pure cittadino cinquestelle. Giullare del giullare Beppe Grillo.

Qualche mese fa moriva Giorgio Albertazzi e gli stessi organi di informazione allestivano un vergognoso processo contro l’uomo. Non potevano ignorarlo, vista la sua grandezza, e allora lo bistrattarono e ne infangarono impunemente la memoria, scomodando storici velenosi e bugiardi per gettar fango sui suoi trascorsi giovanili.

La differenza tra i due è che Fo rinnegò il suo passato in maniera “buffa”, mentre Albertazzi lo difese. La sua grande colpa fu di aver aderito alla RSI e di aver partecipato, in veste di sottotenente della “Tagliamento”, ad un’azione di guerra, conclusasi con la fucilazione di un disertore, responsabilità che negò sempre e dalla quale un tribunale di questa repubblica lo assolse “per non aver commesso il fatto”. Fu coraggioso nel momento sbagliato, dicendo che lui i partigiani li aveva sempre visti di spalle, mentre scappavano. Ma aprì anche il suo cuore alla compassione dicendo di aver pianto per la morte dei ragazzi che stavano dall’altra parte e del disertore che aveva visto fucilare.

Avrebbe potuto anche lui, in un paese noto per la sua memoria corta, “adeguarsi ai tempi” trovando meno sporte sbarrate, ma non era un giullare e non si lasciò affittare dai potenti di turno. Grave torto in questo Paese di saltimbanchi dove chi rimane coerente con le proprie scelte e con il proprio passato è persona da deridere, mentre chi opta per il salto della quaglia, gioco ben noto ad un popolo che non ha mai finito una guerra con gli alleati con i quali l’aveva cominciata, è persona da osannare e santificare.