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Le donne nella Magna Grecia

di Luigi Morrone - 06/11/2016

Le donne nella Magna Grecia

Fonte: Ereticamente

Analisi della condizione giuridica della donna nelle città magnogreche tra il VII ed il V sec. a.C

Va premesso che noi abbiamo una visione un po’ “atenocentrica” della Grecia antica. Tendiamo, cioè ad attribuire all’intero mondo ellenico ciò che – in effetti – è peculiare della πόλις ateniese. Quindi siamo convinti che, come ad Atene, in tutta la Grecia le donne non potessero neanche assistere alle Olimpiadi, non avessero la capacità di amministrare il proprio patrimonio, non avessero diritto ereditario, non potessero comparire in Tribunale se non sotto la tutela del marito se sposate o del padre se nubili.

Non fu così in tutta la Grecia.

Facciamo due esempi:

  • Sappiamo da Pausania e da alcune scoperte archeologiche, che la principessa Cinisca, figlia del re di Sparta Archidamo, vinse 2 olimpiadi (nel 396 e nel 392 a.C.) nella corsa dei carri. Non immaginiamo – però – Cinisca sul carro a guidare i cavalli: nelle gare olimpiche il premio non era appannaggio dell’auriga, ma del proprietario dei cavalli. Quindi, le vittorie olimpiche della principessa erano dovute non ad una particolare abilità, ma al suo censo, che le permetteva di comprare i cavalli migliori, ma ciò dimostra che le donne di Sparta non solo potevano assistere alle olimpiadi, ma potevano addirittura parteciparvi, ed avevano anche la capacità di amministrare il proprio patrimonio.
  • Alcune scoperte archeologiche hanno portato alla luce delle tavole, risalenti al VI-V secolo a.C., in cui si possono leggere le leggi in vigore a Gortyna, nell’isola di Creta, secondo le quali le donne hanno diritto ereditario, capacità di agire e possono chiedere il divorzio.

Passiamo a vedere la condizione in Magna Grecia.

Dobbiamo premettere che abbiamo notizie scarne, ma su Locri e Reggio ci sono fonti abbastanza precise, anche se sfumate in aloni leggendari.

Locri. Johan Jacob Bachofen nel XIX secolo aveva ipotizzato una ginecocrazia in Locri Epizefiri. Gli studi successivi hanno scartato questa ipotesi, propendendo per una confusione del giurista svizzero, ma hanno ipotizzato una discendenza matrilineare per le famiglie aristocratiche, da cui – appunto – sarebbe derivato lo “equivoco” di Bachofen. Anche questa ipotesi è scartata dai più recenti studi, però vi è da considerare che in un frammento la poetessa locrese Nosside dice:

“Ηρα τιμήεσσα, Λακίνιον ἃ τὸ θυῶδες

πολλάκις οὐρανόθεν νεισομένα κατορῇς,

δέξαι βύσσινον εἷμα, τό τοι μετὰ παιδὸς ἀγαυὰ

Νοσσίδος ὕφανεν Θευφιλις ἁ Κλεόχας.

Venerata Era, che spesso scendendo dal cielo

proteggi il Capo Lacinio odoroso di incensi,

accogli la veste di bisso che con la figlia Nosside

tessé la nobile Teofilide figlia di Cleoca”

(traduzione di Ulderico Nisticò – “Muse Ioniche” – Città del Sole 2014).

Nota a margine: quando Nosside scrive questo frammento, Crotone e Locri sono in guerra, ma Nosside, locrese, si reca al santuario di Capo Lacinio in territorio crotoniate. Nei secoli, questo rispetto per i luoghi sacri si è perso, evidentemente … Come si vede, la discendenza narrata è matrilineare: Nosside, la madre Teofilide e la nonna Cleoca. Quindi, se la discendenza matrilineare, con ogni probabilità, non aveva giuridica rilevanza, è altrettanto probabile che nella prassi fosse uso fare il nome della madre per indicare la propria discendenza, un po’ come avviene oggi al mio paese di origine, San Giovanni in Fiore, dove ci conosciamo per soprannome e, di solito, il soprannome viene ereditato dalla madre. Però, sulla legislazione locrese, abbiamo fonti più certe.

Secondo la tradizione, fu Zaleuco a dettare le leggi. Qualcuno, a cominciare da Timeo, dubita dell’esistenza storica del personaggio. Il mio collega Cicerone nel De Legibus taglia la testa al toro. Nel dialogo immaginario, Quinto gli chiede: “Quid, quod Zaleucum istum negat ullum fuisse Timaeus?” (“Che importanza può avere che Timeo abbia negato l’esistenza di Zaleuco?”).

Statua di Caronda -Catania-Piazza Stesicoro

Statua di Caronda -Catania-Piazza Stesicoro

E Cicerone risponde: “At <ait> Theophrastus, auctor haud deterior mea quidem sententia — meliorem multi nominant —, commemorant vero ipsius cives, nostri clientes, Locri. Sed sive fuit sive non fuit, nihil ad rem: loquimur quod traditum est” (“Ma [lo afferma] invece Teofrasto, autore per nulla inferiore a mio parere – molti anzi lo dicono migliore- , e poi lo ricordano i suoi stessi concittadini, i miei clienti locresi. Ma che egli sia esistito oppure no, non importa per il nostro tema: noi riferiamo ciò che è stato tramandato”). Quindi, che sia esistito o no, esiste un corpo di disposizioni che ci è stato tramandato, costituito da 14 articoli. Uno, importantissimo, anche se non riguarda l’argomento, abolisce la schiavitù a Locri. Vediamo ciò che concerne la posizione della donna.

Gli adulteri devono essere privati di entrambi gli occhi. Dunque, a Locri è punito l’adulterio con l’accecamento. Da un aneddoto sappiamo che anche l’adulterio maschile aveva la stessa rilevanza penale di quello femminile. Che sia vero o no, si narra che il figlio di Zaleuco fosse stato colto in flagrante adulterio ed il padre, per evitare che il figlio venisse completamente accecato, offrì uno dei suoi occhi. Altre due disposizioni, appaiono un po’ “strane”.

  • È vietato alle donne indossare vesti dorate e di seta e abbellirsi con ricercatezza se non per prendere marito.
  • Le donne sposate devono indossare bianche vesti mentre camminano per il foro con i domestici, ed essere seguite da un’ancella. le donne nubili possono indossare vesti di vari colori.

Tali disposizioni ricordano molto alcuni precetti della scuola pitagorica, ben esaminati nel recente libro di Pina Sirianni “Etica al femminile nella scuola di Pitagora” (Calabria Letteraria Editrice – 2013), in cui – tra l’altro – è pubblicata una lettera che Melissa, allieva di Pitagora, manda a Clareta, un’allieva più giovane: “Conviene, perciò, che tu poco ornata trascorra il tempo modesta e libera con il tuo legittimo marito, ma non con magnificenza, e che tu porti un vestito candido, puro e semplice, non, all’opposto, splendido ma superfluo: devi evitare porpora o il tessuto mischiato a porpora e quelle tra le vesti che sono trapunte d’oro. Questi espedienti servono alle prostitute a caccia di molti uomini; per una moglie che voglia piacere solo a suo marito, la bellezza risiede nel contegno, non nelle sue vesti”.

Poiché Zaleuco, se esistito, è anteriore a Pitagora, che il filosofo abbia “copiato” dal legislatore questi precetti? Gaetano De Sanctis ha proposto un’altra interpretazione. Le disposizioni sono precedute da una sorta di “proemio” che Zaleuco avrebbe premesso sulla “filosofia ispiratrice” delle sue leggi. De Sanctis, con argomenti a mio avviso inoppugnabili, ha dimostrato che quel proemio risale ad epoca senza dubbio successiva a quella in cui presumibilmente avrebbe vissuto Zaleuco, e ne ha annotato le chiare influenze pitagoriche, onde ha ipotizzato che anche tali disposizioni attribuite a Zaleuco fossero, in realtà, dei “precetti morali” dettati quando a Locri si diffuse la filosofia pitagorica.

Passiamo a Reggio. Anche qui abbiamo un legislatore il cui nome ci è stato consegnato dalla tradizione: il catanese Caronda, come Zaleuco, lodato da Aristotele nella Politica e citato da Cicerone nel De Legibus. Sulla storicità di Caronda, al contrario di Zaleuco, abbiamo fonti certe. Anche qui, citiamo per la sua importanza una disposizione anche se esula dal tema: Tutti i figli dei cittadini han diritto ad apprendere, ed ognuno deve saper leggere e scrivere a spese della πόλις. 2500 anni fa a Reggio si studiava a spese dello Stato …Veniamo al tema:

  • L’uomo che si risposa mentre ha figli minori deve abbandonare ogni carica pubblica, perché “dà matrigna” ai suoi figli.
  • La donna può chiedere il divorzio. Qui s’innesca un aneddoto, non sappiamo se vero, ma gustoso. Da Zaleuco, Caronda aveva mutuato una curiosa norma: chi avesse voluto una modifica legislativa, avrebbe dovuto presentarsi nell’Agorà con una corda al collo e, in caso di reiezione della richiesta, avrebbe dovuto strozzarsi con esso. Un uomo si presentò col cappio al collo all’Agorà, narrando che la moglie aveva chiesto il divorzio per sposare un uomo più giovane e chiese l’abolizione del diritto di divorzio per le donne. L’Agorà non accolse la richiesta in toto, ma la legge fu modificata, nel senso che, ottenuto il divorzio, la donna non avrebbe potuto sposare un uomo più giovane del marito.
  • Se una donna resta orfana mentre è ancora nubile, se ricca, il suo parente più prossimo deve sposarla; se povera, i suoi parenti più prossimi hanno l’obbligo di procurarle la dote. Anche qui, c’è un aneddoto curioso. Un’orfana povera si presentò all’Agorà, rigorosamente col cappio al collo e riuscì a far modificare la legge nel senso che anche le povere avrebbero dovuto essere sposate dal parente più prossimo.

Concludiamo con Crotone. Abbiamo scarne notizie, per lo più da Erodoto. Sappiamo che le nozze dovevano essere precedute da sponsali con solenni promesse reciproche tra i promessi sposi, sappiamo che era riprovevole l’adulterio, ma non è dato di sapere se si trattasse di un dato giuridico, o di una condanna morale, anche perché Erodoto scrive quando ancora Crotone è sotto l’influenza della scuola pitagorica, tra i cui precetti vi è la riprovazione dell’adulterio.