Roberto Vecchioni cantava la sua Samarcanda e la “nera signora”, la morte in attesa dei soldati che pur scrollatisi di dosso la paura implacabile di una guerra giunta al termine, danzavano e bevevano per il pericolo scampato. Forse il cantautore, mettendo in musica la sua canzone, trascurò una nota ed una parola in più. Ebbri lo erano di sicuro ma probabilmente consci di un’amica fedele che li attendeva, nell’invariabilità, dei primi come degli ultimi, attimi di un destino. Quegli uomini, morirono per la città irraggiungibile di un sogno diventato realtà e per un incubo moderno: dall’impero persiano, attraversando l’era dei khan e del “casato della stirpe aurea”, all’impero del Tamerlano, sino a liberarsi a fatica dal protettorato della Repubblica Socialista Sovietica. La Mietitrice di Anime aveva un volto, quello di un periodo e dell’architettura dell’ex Unione Sovietica dove, nonostante tutto, qualcosa di ben visibile e piacevole è rimasto. Questa è la Storia di Samarcanda, la città tanto amata dal Professor Franco Cardini, raccontataci accuratamente e con passione come solo lui sa fare, nell’ultimo libro “Samarcanda. Un sogno color turchese”. Una chimera a volte beffarda, che spesso appare agli occhi di chi la visita con le sembianze di una malia traditrice cui si concede quasi tutto, ma rimanendogli fedeli. E’ un sogno ormai svelato da ricercare nei siti archeologici e tra i suoi monumenti delle dinastie passate, restaurati in malo modo. Samarcanda è la magia dei palazzi fiabeschi dall’incredibile fascino ipnotico, dove Alessandro Magno, Genghis e i racconti di Marco Polo fra romanzo e realtà, bramavano l’impossibile. Ora sono tutti da leggere senza respiro. Il percorso dalle origini, la leggenda di Samarcanda e la città moderna, sono svelati da uno storico e da un viaggiatore straordinario.

Samarcanda l’uzbeca, la tagica, la russa e la persiana. Il substrato culturale comune dei diversi popoli è ben visibile. Andiamo in dietro nel tempo e alla prima volta che ha visitato la città. In particolare, c’è un luogo della che le ha fatto tornare in mente la ben nota forza seduttrice di cui molti parlano ?

Il santuario cimiteriale dello Shah-i-Zinda e la leggenda del santo decapitato dai pagani che raccoglie al sua testa mozzata e sale la scala del monte per raggiungere, sulla sua cima, il luogo che ha scelto per il suo sepolcro. Mi ha fatto sentire a casa. Esattamente la stessa leggenda e lo stesso scenario di San Miniato a Firenze e di Montmartre a Parigi.

Samarcanda ha segnato indelebilmente la fantasia, l’immaginario, la voglia di mettersi in viaggio per avvicinarsi ad un sogno, molto più reale di quello che si pensi. L’Occidente e il suo esotismo strampalato del settecento e dell’ottocento l’hanno dimenticata. L’Oriente e la «Via della Seta» l’hanno resa eterna. L’Europa moderna invece?

L’Europa è stata forte e radicata nella sua identità finché ha saputo concepire, studiare e sognare l’Oriente come suo confine, suo Specchio e suo Altro da sé. Finché lo ha amato, magari anche combattendolo e conquistandolo. Finché ha saputo rispecchiarvisi, dai Persiani di Eschilo ai dipinti di Delacroix alla musica di Borodin. Da quando ha smarrito se stessa è capace solo di odiarlo o di temerlo o d’ignorarlo.

Professore, troviamo nel libro una citazione che ci riporta al «mito di fondazione» della città e al suo artefice, il principe ario Samar. Vuole spiegarci qualcosa in più ?

E’ una leggenda appunto “di fondazione”, che vuole fornire una spiegazione storica in chiave fantastica di qualcosa di cui si sono dimenticate le origini effettive. Samar è come Romolo: una figura mitica travestita da figura storica. Il mito ràdica nel Sacro: la storia procura un ancoraggio nel passato che è in effetti illusorio, ma del quale l’essere umano ha necessità.
Nel terzo capitolo, al paragrafo dedicato alla figura di Gengis Khan, leggiamo: “Gengis Khan dette al suo «impero» il carattere dell’organizzazione politico-militare mobile, flessibile, senza trascurare però di imprimergli una forma sempre più gerarchizzata”. Questa elasticità, cosi diversa dalla flessibilità ideologica contemporanea che troviamo in svariati ambiti, includeva anche la sfera religiosa? Se sì per un motivo preciso ?

Genghiz Khan era uno sciamanista, convinto che l’universo fosse un grande essere vivente e che Tangri, il cielo, fosse il regolatore supremo delle forze animate in esso presenti. La sua religione era, non a caso, molto simile a quella dei Native Americans, soprattutto degli Hopi. Forse, in termini occidentali moderni, potremmo definirlo un monoteista-panteista. Nel film Derzu Husala questo modo di sentire spirituale è molto fedelmente rappresentato.

In questo libro, troviamo anche un breve rimando alla Valle dell’Hunza in Pakistan, alla presenza inglese nei primi anni del ‘900 in prossimità della mitica « Shangri-La». Che rapporti avevano gli abitanti di Samarcanda con il luogo immaginario raccontatoci nel romanzo “Orizzonte perduto” di James Hilton ?

Samarcanda è una città prima sogdiana e quindi tagika, quindi iranica, che ha risentito fortemente dal XIII secolo in poi dell’apporto tartaro. Nel Ghur-i-Mir, il mausoleo funebre di Timur, sotto la cupola verde simbolo del cielo di Dio è eretto all’interno il “palo sciamanico” dell’ascensione delle anime: l’ascesa verso l’Agharthi.

Torniamo alla Samarcanda dei giorni nostri con i piedi ben saldi per terra. Dopo la morte del Presidente Islam Karimov, ponendo lo sguardo sull’area, riscontriamo un cospicuo interesse russo, cinese e islamico. Cosa ne sarà di Samarcanda e dell’Uzbekistan ?

Spero che gli uzbeki sappiano scegliere correttamente i loro alleati e si avvicinino al gruppo socio-economico-culturale della “Conferenza di Shanghai”ch’è un ponte tra Cina, Russia, India e Iran. Spero caldamente che non si facciano attirare in alcuna trappola atlantistico-occidentalista di tipo liberistico e consumistico, che sfuggano alle trappole loro tese dalle lobbies multinazionali.

L’antica “Samarcanda” cantata da Roberto Vecchioni mi convince poco. Lo storico, scrittore e filosofo Michel Foucault, pensava che “Se nel sonno la coscienza si addormenta, nel sogno l’esistenza si sveglia”. Non le sembra che il cantautore italiano abbia fatto un po’ di confusione invertendo i poli?

Vecchioni ha giocato sull’attrazione occidentale verso l’orientalismo, sul sogno del viaggio, sul senso della morte intesa come Grande Paura e al tempo stesso Grande Avventura, Grande Nemica e Grande Consolatrice. Da buon menestrello, ha scritto la sua ballata: che ha avuto successo anche perché, consciamente o inconsciamente, si è servito di grandi simboli archetipici.

Franco Cardini

Samarcanda. Un sogno color turchese

Editore Il Mulino, 03/11/2016

Pagg. 325, euro 16,00