E ora dobbiamo chiederci: che presidente sarà? So di andare controcorrente ma Macron non rappresenta, a mio giudizio, una vera novità politica ovvero non costituisce il cambiamento che  ha promesso in campagna elettorale. D’altronde, pensateci bene: come può un uomo che è stato consigliere dell’Eliseo e poi ministro dell’economia di un governo socialista incarnare un movimento politico se non rivoluzionario perlomeno molto innovativo, considerando che poco più di un anno fa “En marche!” non esisteva nemmeno? Come può un ex banchiere rappresentare le istanze del socialismo e della sinistra?

I veri movimenti sorti dal nulla richiedono tempi di incubazione e di crescita più lunghi, vedi il lungo percorso della Lega Nord in Italia e, in tempi più recenti, del Movimento 5 Stelle  o di Podemos in Spagna.

In realtà Macron è, da sempre, un rappresentante dell’establishment e la sua ascesa è frutto di una brillante quanto spregiudicata operazione di marketing politico. Ragioniamo. Sulla Francia incombeva un rischio: che  dopo la Brexit e  la vittoria di Trump, il vento del cambiamento si imponesse anche qui, spazzando via i due partiti tradizionali, sia quello socialista sia l’Ump, accomunati, agli occhi degli elettori, da lunghi anni di promesse tradite. Come scongiurarlo? Puntando sul nuovo, ma teleguidandolo. Dunque, più precisamente, presentando il vecchio vestito di nuovo.

Attenzione: non si tratta di congetture. Jacques Attali nell’aprile del 2016 pronosticava che uno sconosciuto avrebbe vinto le presidenziali del 2017 e indicava due possibili nomi: Emmanuel Macron a sinistra e Bruno  Le Maire. Vedi questo video in cui tra l’altro afferma che sarebbe stato lui a riempire di contenuti il programma di Macron.

Jacques Attali è uno dei personaggi più influenti in Francia sin dai tempi di Mitterrand, un francese globalista, convinto europeista, introdotto e stimato nell’establishment internazionale.  Era l’eminenza grigia di Mitterrand, poi è stato consigliere di Sarkozy ed era considerato da Hollande. Trasversale, come molti dei membri dell’élite che contano davvero in Francia e non.

Con queste premesse non è difficile scremare la retorica elettorale per decriptare le intenzioni  di Macron, il quale  non rappresenta il cambiamento ma la continuità. Sotto ogni punto di vista, anche riguardo la sua personalità. Con lui i francesi otterranno il proseguimento delle politiche di Hollande, che, paradossalmente, tanto hanno odiato.

Naturalmente il nuovo presidente non si scoprirà subito. Prima dovrà riuscire ad ottenere la maggioranza alle legislative di giugno e non sarà facile, poi beneficerà, come sempre, di un periodo di grazia ma nell’arco di qualche mese mostrerà il suo vero volto e le sue vere intenzioni. Temo che sarà una profonda delusione per molti dei suoi sostenitori, anche a sinistra.

L’uomo giusto per la Francia di oggi era Fillon, ma non era gradito a quell’establishment che infatti lo ha azzoppato.

E Marine Le Pen? Per portare a compimento la rimonta impossibile avrebbe dovuto vincere, anzi stravincere il confronto televisivo. E questo non è avvenuto per l’incapacità di mostrarsi presidenziale e propositiva nella seconda parte del dibattito di mercoledì sera. Anche la scelta di denunciare i presunti conti segreti alle Bahamas  di Macron è stata azzardata: queste cose le fai se ne sei sicurissimo altrimenti ti si ritorcono contro. Aggiungete la presunta gaffe con il Corriere della Sera  e gli echi del cosiddetto Macronleaks (le email trafugate), che, contrariamente a quanto scritto da molti giornali, hanno rafforzato il candidato di “En marche!”  permettendogli di presentarsi come vittima di una macchinazione.

La campagna di Marine Le Pen è stata ben strutturata e, per nove decimi, riuscita: il suo scopo era di presentarsi come un candidato sempre più neogollista e sempre meno Front National ma ha sbagliato la volata finale, contraddicendosi. Per stanchezza o forse in seguito a una suggestione. E possibile che lei e il suo stratega Florian Philippot abbiano pensato di replicare le tattiche  di Trump,  alzando i toni e sparando ogni cartuccia (conti alle Bahamas) . Ma la Francia non è l’America. E le svolte improvvise sono sempre rischiose. Se ti ispiri a De Gaulle non puoi comportarti d’un tratto come Trump.  Negli ultimi tre giorni della campagna la Le Pen ha bruciato i progressi fatti negli ultimi dieci.

Il suo è comunque un risultato storico, mai un candidato del Fronte aveva ottenuto tanti consensi, praticamente raddoppiati rispetto al 17,8% di Jean-Marie Le Pen nel 2002.

Resta un dato di fondo: se sommate i voti ottenuti al primo turno a destra dalla Le Pen e da Dupont-Aignan e a sinistra da Mélenchon, risulta che quasi il 50% dei francesi ha votato per partiti in aperta rottura con l’establishment, quasi anti-sistema. Questo significa che il malessere francese è profondo ed è destinato ad aumentare se l’economia francese non ricomincerà a crescere davvero e se la società francese non troverà un  nuovo slancio. Quel che l’élite alla Jacques Attali è incapace di realizzare da oltre un decennio.

Come dire: risentiremo parlare della Le Pen e di Mélenchon.