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Chi posta una foto così finisce in galera

di Stenio Solinas - 12/09/2017

Chi posta una foto così finisce in galera

Fonte: Il Giornale

Il diritto alla libera manifestazione del pensiero è sancito dall'articolo 21 della nostra Costituzione. Ma per l'onorevole Emanuele Fiano, primo firmatario della legge che porta il suo nome e ora in discussione alla Camera, c'è un pensiero, quello fascista, che non è lecito pensare e quindi va punito. Da sei mesi a due anni. Fascisti in galera suonerà più rassicurante dei Fascisti su Marte, ma sfugge all'onorevole Fiano che se c'è un fascista in questa storia è proprio lui. Le democrazie degne di questo nome non hanno paura delle idee: le combattono, non le vietano. E va da sé che se passa questa bislacca concezione, propria di ogni regime totalitario, che chi la pensa diversamente vada rieducato, oggi sarà il fascismo, domani il professarsi carnivori, dopodomani i teorici del tantrismo... Se non ci fosse da ridere, ci sarebbe da piangere. L'Italia pullula di ciò che Fiano e quelli come lui vorrebbero estirpare: immagini, monumenti, libri, dipinti, memorie famigliari e storie personali. Il fascismo non è stata l'invasione degli Hixos, come per carità di patria aveva teorizzato Benedetto Croce. È stato l'autobiografia di una nazione, come più lucidamente aveva capito Piero Gobetti. Uno dei mali che affligge l'Italia è proprio questo del passato che non passa, l'essere ancorati con la testa all'indietro per evitare di assumersi le responsabilità del presente. Sotto questo aspetto il fascismo è il capro espiatorio di cui una nazione senza idee e senza ideali si serve per nascondere il nulla che l'avvolge, l'essere anti non sapendo essere niente. È naturalmente anche un calcolo politico, sotto il cui ricatto viviamo ormai da più di mezzo secolo. Non è sempre stato così e ancora nel 1961, quando venne trasmesso in Rai il documentario La lunga strada del ritorno, curato da Alessandro Blasetti (restaurato, era presente al Festival del Cinema di Venezia appena conclusosi), il nostro era un Paese in cui non ci si vergognava di avere fatto la guerra, casomai di averla persa. Non era la guerra del fascismo, riguardava tutti, nel bene come nel male: era un Paese a essere stato sconfitto, non un duce... L'antifascismo ideologico e strumentale, quello che faceva del fascismo il male assoluto, cominciò proprio allora, quando le logiche politiche, l'apertura a sinistra, l'arco costituzionale eccetera ebbero bisogno di un cemento unitario e il Pci di una legittimità democratica che altrimenti non avrebbe avuto. A mezzo secolo e passa di distanza, di quei partiti, di ciò che essi rappresentavano, del tipo d'Italia che volevano incarnare, non resta più niente, se non l'architrave fascista che tiene insieme chi ne ha preso il posto e che si vorrebbe reggesse ancora adesso. Solo che sotto c'è il vuoto. Se non ci fossero le imbecillità degli antifascisti, quelle dei (neo)fascisti risulterebbero ancora più evidenti, ma il gioco si alimenta proprio nella nullità dei primi come dei secondi, la volgarità e la miseria delle rispettive tifoserie che si alimentano reciprocamente, un pezzo di carne marcia e le mosche che vi si affollano sopra.