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A chi conviene l’impotenza della legge?

di Francesco Lamendola - 15/09/2017

A chi conviene l’impotenza della legge?

Fonte: Francesco Lamendola

 

 

Bakary Marong è un giovane del Gambia di 22 anni, giunto in Italia come profugo e richiedente asilo. La sua richiesta non è stata accolta, ma lui ha fatto ricorso e così bisogna aspettare la sentenza d’appello. Nel frattempo, il ragazzo, che è alto e molto robusto, e gode di eccellente salute, anche se è solito ubriacarsi per le strade e nei giardini di Padova, ammazza la noia picchiando i poliziotti. Fermato una prima volta per dei normali controlli, si è scagliato come una furia contro due agenti, colpendoli con calci e pugni e utilizzando, per picchiarli, anche una copia del Corano che aveva con sé. Non solo: mentre si produceva in questo esercizio, gridava Allah akhbar! , inneggiava all’Isis ed esultava per la strage di Barcellona, aggiungendo, per buona misura: Maledetti infedeli, vi ammazzeremo tutti! Finalmente immobilizzato, è stato denunciato, ma a piede libero; e, appena due giorni dopo, ha replicato il numero, in maniera quasi identica al precedente. Di nuovo se l’è presa con due poliziotti che volevano vedere i suoi documenti, dopo averlo notato che passeggiava in pieno centro, carico di lattine di birra e probabilmente semiubriaco; questa volta senza inneggiare ad Allah e senza servirsi del Corano come arma impropria, ma sferrando calci e pugni che hanno procurato ai due agenti, come già era accaduto ai loro colleghi, contusioni abbastanza serie. E anche stavolta, incredibile a dirsi, il provvedimento di espulsione non è scattato perché, avendo fatto ricorso per l’accoglienza della sua domanda d’asilo, bisogna attendere la decisione di quel tribunale. Questa è la gente che si presenta nel nostro Paese per ottenere lo status di rifugiato, e si rivolge alla nostra accoglienza e alla nostra solidarietà.
Piccolo dettaglio, di cui non si parla mai: tutto l’iter giuridico è a carico dello Stato italiano, cioè delle nostre tasche, e la domanda di ricorso è una spesa ulteriore che si aggiunge alla precedente. I richiedenti asilo, infatti, non hanno il becco di un quattrino e si aspettano, anzi, di essere mantenuti dallo Stato italiano, senza fare assolutamente nulla di utile, fumando, ascoltando musica, andando a zonzo e possibilmente usufruendo di un menu vario e di loro gradimento, altrimenti fanno sciopero della fame o gettano il cibo in terra, oppure, qualche volta, sequestrano gli operatori delle cooperative e li trattengono finché non viene promesso loro un trattamento migliore.  Anche se tutti sanno che nove su dieci non sono affatto dei veri profughi, ma cosiddetti “migranti economici”, ossia persone venute fin qui non perché in stato di pericolo, ma perché desiderose di una vita migliore; persone, peraltro, in grado di pagarsi il viaggio fino a 6.000 euro in contanti, il che rivela la loro condizione sociale, non precisamente proletaria, specie tenendo conto degli standard africani. Pertanto, noi paghiamo persone come Bakary Marong, che non avrebbero alcun diritto di essere accolte come profughe, e quindi non dovrebbero neanche trovarsi sul nostro territorio, noi paghiamo queste persone dal momento in cui le nostre navi militari le prelevano, anche con il mare grosso, con fatica e pericolo per gli equipaggi, a quando vengono ospitati nelle strutture di accoglienza, passando per tutte le spese processuali relative alle loro domande, fasulle e spudorate; paghiamo inoltre le cure mediche dovute ai poliziotti malmenati da simili energumeni, e paghiamo il servizio delle forze dell’ordine che li devono controllare sul territorio, con pericolo di vita, e magari arrestare e mettere al fresco, perché non combinino guai peggiori, spacciando, rubando e, qualche volta, stuprando e ammazzando. Sorge perciò la semplice, legittima domanda: perché? Perché lo facciamo?
Di fatto, essi comandano nel nostro Paese, fin da quando vi mettono piede. Se provocano sommosse nei centri di accoglienza, se spaccano e bruciato tutto, come è accaduto in più d’una occasione, i responsabili non possono essere, non diciamo puniti, ma nemmeno allontanati, perché ciò provocherebbe una reazione furibonda da parte di tutti gli altri. Succede continuamente, soprattutto a livello di cronaca locale, e i mass media nazionali non ne parlano nemmeno. In realtà è frequente che poliziotti e carabinieri siano chiamati per fronteggiare una sommossa o per prendere in consegna e trasferire altrove alcuni “profughi” che si sono macchiati di reati, ma che vi debbano rinunciare e tornarsene indietro, umiliati, con le pive nel sacco, perché le autorità, a cominciare dai prefetti, hanno dato ordine di tenere una linea “morbida” , in quanto l’importante, per loro, è evitare che scoppino delle grane che potrebbero mettere in imbarazzo il governo, o costringerlo ad assumesi le sue precise responsabilità, dichiarando le sue intenzioni e spiegando le sue strategie, non solo di breve, ma di medio e lungo periodo. Inoltre, i funzionari che operano sul territorio sono consapevoli che, se qualcosa dovesse andare storto, se dovesse scapparci il morto, a Roma non ci penserebbero due volte a scaricarli, e la magistratura non esisterebbe a metterli sotto inchiesta, come se fossero loro i delinquenti, mentre i cosiddetti mezzi d’informazione li metterebbero in croce, come se fossero loro il problema.
Intanto i difensori d’ufficio degli “ultimi” (i quali, forse, non sono tali, e non sono neppure quel che sembrano), i buonisti a tutto campo, i giornalisti di sinistra e i politici progressisti, nonché i preti e i vescovi di strada, tutti costoro salterebbero alla gola dello sfortunato questore o dello sfortunato poliziotto che si trovassero qualche ferito tra le braccia nel corso di una operazione di quel genere. Perciò, meglio mandar giù il rospo e andare per le perse. Il messaggio che ricevono i migranti violenti e malintenzionati è chiarissimo, devastante: lo Stato italiano è debole, non ha le palle, non sa farsi valere: cede e si mette la coda fra le gambe davanti al primo prepotente che alza la voce e minaccia di scatenare un putiferio. E l’arroganza dei falsi profughi aumenta sempre di più. Se lo Stato ha paura di qualche decina di persone disarmate, che “insorgono” nei centri di accoglienza, o che bivaccano in permanenza presso le stazioni ferroviarie, in prossimità dei centri cittadini, cosa farebbe di fronte a dei gruppi armati? Il bello è che questi violenti, questi simulatori che sfruttano i nostri sentimenti umanitari e cristiani per attuare un’invasione silenziosa, ma metodica e, in apparenza, inarrestabile, sono agevolati da una parte (minoritaria) dell’opinione pubblica e da una (gran) parte dell’informazione, della scuola, della cultura, della politica e soprattutto della magistratura. Lo si è visto a Roma, quando le forze dell’ordine hanno sgombrato uno stabile occupato abusivamente da una comunità di africani, specialmente eritrei. Costoro si sono opposti con violenza e le televisioni di tutto il mondo hanno mostrato e documentato il lancio di bombole del gas, dalle terrazze, contro i poliziotti che facevano il loro dovere. Non ci risulta che alcun provvedimento sia stato preso contro quei violenti che si sono resi protagonisti di simili gesti. In compenso, per un agente che ha detto ai suoi uomini: Se tirano qualcosa, spezzategli un braccio!, un coro d’indignazione si è levato immediatamente dalla stampa, dalla radio, dalla televisione e dal mondo della politica; perfino il capo della Polizia è sceso in campo per deprecare quelle parole e per condannare la brutalità che da esse traspariva. Insomma: guai al poliziotto che, esasperato, si lascia scappare una frase forte; ma niente da ridire su degli stranieri che cercano di spaccare la testa agli uomini in divisa. C’è una parte del nostro Paese che la pensa così, che è sempre e comunque dalla parte degli “altri”, dei falsi profughi, di chi viola la legge, di chi minaccia e aggredisce le forze dell’ordine; e c’è una bella fetta di magistratura che li sostiene, e che è pronta a rimettere in libertà un “migrante” anche in flagranza di reato, come quello spacciatore nigeriano che sferrò alcune coltellate alla schiena di un agente, sempre a Padova, ma non è finito neanche in carcere, non si sa per qualche inverosimile cavillo legale. E per quel capotreno che, a Milano, ha avuto quasi il braccio tranciato da un colpo di machete, sferrato dal sudamericano a cui aveva osato chiedere il biglietto, non si è vista né la stampa di sinistra, né la magistratura progressista, versare una lacrima, né, tanto meno, fare un mea culpa. La signora Boldrini non si è indignata, i rappresentanti dello Stato non si sono commossi, i vescovi e i preti di strada non hanno indetto manifestazioni, né veglie di preghiera, né hanno speso una parola di cristiana solidarietà. Forse perché quel capotreno, Carlo Di Napoli, era un italiano? Se avesse avuto la pelle scura, avrebbero mostrato un po’ più di solidarietà?
Viviamo ormai immersi in una sorta di razzismo alla rovescia, in cui tutti i diritti e le scusanti sono riconosciuti agli stranieri, e gli uomini dello Stato, i dipendenti pubblici, sono lasciati soli. Su tutti i treni, le corriere e gli autobus italiani, i controllori vivono in uno stato di tensione e di quotidiano pericolo: ogni giorno qualcuno di loro viene insultato e malmenato da qualche teppista immigrato, solo perché ha fatto il proprio lavoro e chiesto di controllare il biglietto ai passeggeri. E sono parecchi gli insegnanti che vivono un disagio non meno grave, perché esposti a denunce, ritorsioni o minacce da parte di alunni stranieri e delle loro famiglie, che li accusano di razzismo e, naturalmente, di islamofobia, magari perché, durante una lezione di storia, hanno citato i fatti, come il martirio degli abitanti di Otranto da parte dei Turchi, nel 1480. Quanto alle forze dell’ordine, sono lasciate del tutto sole, anche moralmente; i buonisti e gl’immigrazionisti le apprezzano solo se mostrano il loro volto “buono”, come quell’agente di polizia che è diventato una specie di eroe nazionale, perché i fotografi lo hanno immortalato mentre faceva una carezza sul viso a una ragazza eritrea (o somala), confermando il mito auto-celebrativo degli italiani brava gente. E così per i valorosi marinai che da anni, ormai, pattugliano il Mar Mediterraneo e salvano migliaia di vite: onore e gloria se il fotografo è in grado di mostrarceli trasformati in baby sitter o in infermieri di una nursery, che portano a bordo bambini piccolissimi e sostengono donne incinte, scampate alla morte per naufragio; ma se, per caso, tentassero di opporsi a questa invasione illegale, come fece il comandante della corvetta Sibilla, Fabrizio Laudadio, il quale, nel 1997, tentò di sbarrare il passo a una nave gestita dalla mafia albanese carica di cosiddetti profughi, sia la stampa che la magistratura, e la stessa politica, non ci penserebbero un attimo prima di additarli al disprezzo universale, dipinegendoli come autentici mostri d’insensibilità.
Ora, ci domandiamo se sia un caso che la legge non abbia minimamente tenuto conto dei mutamenti sopravvenuti negli ultimi venti o venticinque anni, a proposito dei cosiddetti migranti. Ci domandiamo come sia possibile che un soggetto come Bakary Marong non sia stato caricato su un aereo e rispedito in Gambia, senza biglietto di ritorno. Di che cosa c’è bisogno perché le cose cambino, che aggredisca gli agenti per una terza volta? E se ha osato alzare le mani contro gli uomini delle forze dell’ordine, che erano armati, che cosa non sarebbe capace di fare, un tipo così, ai danni dei cittadini inermi, di un vecchio, di un bambino? Dobbiamo forse aspettare che si ripetano le tragiche imprese di Kakobo, il ghanese trentaquattrenne che nel 2013 assalì a picconate i passanti per le vie di Milano e ne uccise tre, fracassando loro il cranio (fra parentesi, gli hanno dato appena 20 anni di galera, e siamo curiosi di vedere quanti ne sconterà alla fine, per davvero: ma cosa si deve fare, in Italia, per meritare l’ergastolo?). Certo, potrebbe intervenire il Viminale, ma come procedura eccezionale. Qualcuno, evidentemente, non si è reso conto, o non ha voluto prendre atto, che le situazioni eccezionali, in Italia, sono divenute la norma; e ciò perché nessuno si è preso la briga di governare adeguatamente il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Qui non si parla più di qualche decina, o qualche centinaio, e nemmeno di alcune migliaia di persone che pretendono di entrare nel nostro Paese e di essere accolte con lo status di profughi: qui si parla di decine e centinaia di migliaia di persone, in prospettiva di milioni, il che ci fa capire che siamo in presenza di una invasione e di un disegno di sostituzione della popolazione italiana con africani, asiatici e latino-americani, ma specialmente con africani di religione islamica, i quali mostrano le loro attitudini e le loro intenzioni fin da prima di arrivare, già durante la traversata, angariando e maltrattando i loro compagni di fede cristiana. Il Parlamento italiano, che dovrebbe legiferare, non ha fatto assolutamente nulla (e quello europeo meno ancora: tanto, finora, il problema è stato quasi solo italiano e greco): in questi venticinque anni, non ha toccato una legge, modificato un comma,  spostato un codicillo; e intanto i mass media continuano a parlare di “emergenza immigrati” come se fosse nata ieri. Che per espellere un individuo violento e pericoloso ci voglia un intervento ad hoc del ministro degli Interni, e non sia più che sufficiente la legislazione ordinaria, è altamente significativo. L’Italia non è governata, puramente e semplicemente: è lasciata andare. Per la verità, è da molti anni, da decenni, che l’Italia non è governata: ma ce ne accorgiamo ora perché è solo con il mare in tempesta che ci si accorge se il capitano della nave è sveglio e sa il fatto suo, oppure no. Sorge perciò la domanda: a chi conviene l’impotenza, o meglio l’assenza, della legge? Perché tanta passività, ignavia e insipienza non si spiegano nemmeno con la ben nota pigrizia, pusillanimità e corruzione della classe politica italiana. Che qualcuno, anche a livello politico, abbia tutto da guadagnare da questa invasione mascherata e silenziosa, è abbastanza noto: l’auto-invasione è un affare, sia economico che elettorale. La conclusione è che siamo traditi dai nostri stessi governanti...