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Resistenza senza partigiani

di Alessandro Campi - 16/09/2017

Resistenza senza partigiani

Fonte: Alessandro Campi

Quello che si vede nella foto è - se la Rete non m'inganna - Samuele Rago, il presidente provinciale dell'Anpi di Savona. E' lui che - con argomenti incredibilmente miserevoli, che hanno costretto ad intervenire per corregerli anche l'Anpi nazionale - ha sollevato le polemiche contro la targa-ricordo che il Comune di Noli ha deciso di dedicare alla memoria di Giuseppina Ghersi; la tredicenne - accusata di collaborazionismo - seviziata, violentata e uccisa da un gruppo di partigiani a guerra ormai conclusa (era il 30 aprile) 

Rago ha 69 anni ed è un tranquillo (si fa per dire) pensionato. Ma il problema non è la sua persona o la sua individuale mancanza di pietas. C'è una questione più generale, relativa a chi siano coloro che oggi pretendono di parlare a difesa dei valori della Resistenza e di decidere chi sia meritevole di un pubblico ricordo e chi debba invece essere consegnato per sempre all'inferno della Storia. Prendiamo appunto la segreteria politico-organizzativa dell'Anpi savonese. Dal momento del suo insediamento nel 2012, sempre se la Rete non m'inganna e aggiornando l'età di ognuno al 2017, essa risulta composta dalle seguenti persone; Paola Busso (37 anni, docente), Franco Delfino (70, pensionato), Irma Dematteis (72, pensionata), Gianni Ferrando (72, pensionato), Giorgio Masio (29, neo laureato, addetto agli eventi), Davide Milani (46, imprenditore), Alfio Minetti (76, pensionato, incaricato tesoriere) e Stefano Nasi (35, docente, addetto ad ufficio stampa e comunicazione). Il più anziano del gruppo - Alfio Minetti - dovrebbe dunque essere nato nel 1939 o 40. A meno che a quattro-cinque anni di età già militasse in qualche brigata o formazione resistente, se ne deve banalmente concludere che nessuno di costoro può fregiarsi (se non metaforicamente,e quindi del tutto abusivamente) del titolo di 'partigiano'. Sono insomma tutti reduci e testimoni sulla carta di una guerra che, per ovvie ragioni anagrafiche, semplicemente non hanno combattuto. E' un problema più volte sollevato nel corso degli ultimi anni. Morti i partigiani veri (quelli che avevano titolo per parlare avendo seriamente rischiato la loro esistenza nella lotta armata contro il fascismo) sono rimasti i partigiani fasulli o semplicemente nominali, ovviamente più agguerriti e intransigenti dei primi. Il che significa che le sezioni territoriali dell'Anpi (che già si era trasformata nel corso del tempo in una struttura collaterale del vecchio Pci e dunque fortemente snaturata) sono ormai poco più che pseudo-sezioni di partito o circoli militanti, per di più pubblicamente finanziati, che è facile immaginare siano in questo momento storico più coinvolti nella lotta contro il Pd renziano (dunque a sostegno dei suoi oppositori di sinistra) che nelle controversie storiografiche o nell'azione di testimonianza di un passato che, come si è visto in questi giorni, riescono a brandire unicamente come una clave ideologica. Immaginate dunque quale azione di pedagoigia collettiva o quale presenza nel dibattitto pubblico possa avere oggi una simile realtà.
La conclusione è molto semplice. L'Anpi è una struttura associativa fattasi anacronistica e inutile. E per di più di nessun credibilità sul piano politico. Una realtà 'partigiana' ma nel senso deteriore, che a tutto può ambire meno che al monopolio dei valori sui cui si è costruita la repubblica democratica.