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Sei un uomo se porti le armi

di Mauro Bonazzi - 17/09/2017

Sei un uomo se porti le armi

Fonte: Corriere della Sera



Per i Latini, sempre contenti di appropriarsi delle tradizioni greche, le «iniziazioni» erano gli initia , una parola derivata dal verbo inire , «entrare»: il rito d’iniziazione conduce, fa entrare in un’altra più piena dimensione. I Greci però, spiega Davide Susanetti nel libro La via degli dei (Carocci), preferivano un altro termine, più interessante: teletè , che significa completamento. Il rito di iniziazione è un rito che conclude e porta a compimento un percorso, dandogli senso.
Per questo le iniziazioni religiose, come i misteri di Eleusi vicino Atene, erano così importanti: scoprendo la sua natura divina e immortale, l’iniziato raggiungeva finalmente la verità, comprendeva il senso ultimo della sua esistenza — che nulla era stato casuale nel lungo percorso della sua vita. La meta del viaggio era vicina, ormai. E chiaramente indicata: nelle tombe degli iniziati venivano deposte delle laminette d’oro contenenti indicazioni dettagliate sulla geografia dell’aldilà. «Accanto un bianco cipresso, v’è sulla destra una fonte; non ti fermare, poi ne troverai un’altra…». Più chiare di Google Maps, conducevano i defunti, ormai assurti al rango di esseri divini, in luoghi meravigliosi in cui avrebbero goduto per l’eternità di una vita beata.
Questo percorso di iniziazione alla riscoperta di se stessi era cominciato molto prima, fin dalla nascita si potrebbe dire, attraverso snodi decisivi. Intanto si doveva sopravvivere, e non era poco, visto che nell’antichità l’abbandono dei figli (e ancora di più delle figlie) era pratica diffusa e per niente esecrata. Il passaggio decisivo era invece quello che segnava l’ingresso nell’età adulta. Bambini e ragazzi, certe pagine di Aristotele lo spiegano con chiarezza, non erano considerati esseri umani a tutti gli effetti. Incapaci di parlare e ragionare, incerti nei movimenti nei primi anni; in seguito totalmente dominati dalle sensazioni e dalle passioni (sia detto di passaggio, dopo i lunghi mesi estivi trascorsi con l’amata prole: come dargli torto?), apparivano ancora vicini al regno animale. Ma almeno potevano essere allevati e educati, così da essere introdotti nel mondo degli uomini.
In che cosa consistesse il rito di passaggio all’età adulta era scontato: la guerra per i ragazzi, il matrimonio per le ragazze. Non si scherzava né nell’uno né nell’altro caso. Il padre poteva vendere come schiava la figlia, se avesse scoperto che intratteneva rapporti sessuali prima di sposarsi. Quanto ai ragazzi, a Sparta soprattutto, è un miracolo che sopravvivessero alle prove che dovevano affrontare. La krypteia prevedeva che i giovani fossero lasciati soli, senza vestiti e cibo, con un coltello soltanto: dovevano nascondersi di giorno e agire di notte. E già che c’erano dovevano tendere imboscate agli iloti (le popolazioni asservite che lavoravano per Sparta) per ricordargli chi comandava. Meno esagitati, gli Ateniesi istituirono la pratica dell’efebia, due anni di servizio militare obbligatorio, a difesa della città.
Questa ossessione militarista potrebbe sembrare eccessiva. Ma in un mondo caratterizzato da una situazione conflittuale permanente era fondamentale. Cittadino in senso proprio è chi difende la propria patria. Fortunatamente, poi, le cose cambiano: i tempi si fecero meno incerti, e l’addestramento militare fu progressivamente integrato dall’istruzione. Era un cambio di prospettiva notevole. Si poteva contribuire al bene della propria comunità — questo significava entrare nell’età adulta: prendersi cura del prossimo — non solo con le armi, ma anche con l’intelligenza e la conoscenza. Non male come idea, in attesa di diventare dèi ad Eleusi.