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L’assassinio della storia

di John Pilger - 24/09/2017

L’assassinio della storia

Fonte: Comedonchisciotte

Uno degli “eventi” più pubblicizzati della televisione americana, il film The Vietnam War, è iniziato sulla rete della PBS. I registi sono Ken Burns e Lynn Novick. Burns, celebre per i suoi documentari sulla Guerra Civile, la Grande Depressione e la Storia del Jazz, asserisce che i suoi film sul Vietnam: “Ispireranno il nostro Paese ad iniziare a parlare e pensare alla guerra del Vietnam in modo completamente nuovo”.

In una società spesso senza memoria storica e alla mercè della propaganda della sua “eccezionalità”, la “totalmente nuova” Guerra del Vietnam di Burns è presentata come “opera epica e storica”. La sua ricca campagna pubblicitaria glorifica il suo maggiore sponsor, la Bank of America, che nel 1971 fu bruciata dagli studenti di Santa Barbara, in California, come simbolo dell’odiata guerra in Vietnam.

Burns si dichiara grato a “tutta la famiglia della Banca d’America” che “da molto tempo aiuta i veterani del nostro Paese”. La Banca d’America era la facciata dietro cui si manovrava l’invasione che uccise quasi quattro milioni di vietnamiti e che avrebbe distrutto ed avvelenato una terra un tempo ricca. Più di 58.000 soldati americani vi furono uccisi, e si stima che circa lo stesso numero si sia suicidato.

Ho guardato il primo episodio a New York. Fin dall’inizio non lascia alcun dubbio sulle sue intenzioni. Il narratore dice che la guerra “è stata iniziata in buona fede da persone decenti per gravi equivoci, eccessiva sicurezza americana e fraintendimenti dovuti alla guerra fredda”.

La disonestà di questa affermazione non sorprende. La fabbricazione cinica dei “false flags” che hanno portato all’invasione del Vietnam è documentata – l'”incidente” del Golfo del Tonchino del 1964, che Burns dichiara vero, non era che uno di questi. Le menzogne sono disseminate in una miriade di documenti ufficiali, in particolare i documenti del Pentagono, che il grande informatore Daniel Ellsberg rilasciò nel 1971.

Non c’è stata buona fede. La fede era marcia e cancerosa. Per me – come deve essere per molti americani – è difficile guardare il caos di mappe di “zone rosse” del film, di persone intervistate senza spiegazione, di archivi tagliati goffamente e di sdolcinate sequenze di campi di battaglia americani.

Nei comunicati stampa riguardanti la serie in Gran Bretagna – che la BBC manderà in onda – non si parla di morti vietnamiti, solo americani. “Stiamo cercando di dare un significato a questa terribile tragedia”, dice Novick. Molto postmoderno.

Tutto questo non sarà nuovo per coloro che hanno osservato come i colossi mediatici americani e la cultura popolare hanno riveduto, corretto e servito il grande crimine della seconda metà del ventesimo secolo: da Berretti Verdi e Il Cacciatore a Rambo, legittimando così le successive guerre di aggressione. Il revisionismo non si ferma mai e il sangue non si asciuga mai. L’invasore è compatito e ripulito da ogni colpa, mentre “cerca di dare un significato a questa terribile tragedia”. Dice Bob Dylan: “Oh, dove sei stato, figlio mio dagli occhi azzurri?”.

Pensavo alla “decenza” e alla “buona fede” mentre ricordavo le mie prime esperienze di giornalista in erba in Vietnam: di quando guardavo ipnotizzato come la pelle dei bambini contadini colpiti dal napalm si staccava come una vecchia pergamena e le esplosioni delle bombe che lasciavano gli alberi pietrificati e ornati con carne umana. Il generale William Westmoreland, il comandante americano, si riferiva alle persone definendole “termiti”.

Nei primi anni ’70 mi recai nella provincia di Quang Ngai, dove, nel villaggio di My Lai, tra 347 e 500 uomini, donne e bambini furono assassinati dalle truppe americane (Burns preferisce chiamarle “uccisioni”). All’epoca, questo fu presentato come un’aberrazione: una “tragedia americana” (Newsweek). Si calcola che, in questa provincia, cinquantamila persone furono massacrate durante l’era delle “zone di fuoco libero” americane. Omicidi di massa. Ma non facevano notizia.

A nord, nella provincia di Quang Tri, furono sganciate più bombe che su tutta la Germania durante la seconda guerra mondiale. Dal 1975, gli ordigni inesplosi hanno causato più di 40.000 morti, perlopiù nel “Vietnam del Sud”, il paese che l’America rivendicava di voler “salvare” e, con la Francia, considerato di importanza strategica.

Il “significato” della guerra del Vietnam non è diverso dal significato della campagna genocida contro i nativi americani, dai massacri coloniali delle Filippine, dai bombardamenti atomici del Giappone, dal radere al suolo di ogni città della Corea del Nord. Lo scopo è stato descritto dal colonnello Edward Lansdale, il famoso uomo della CIA su cui Graham Greene basò il suo protagonista nel libro The Quiet American.

Nel citare il libro di Robert Taber The War of the Flea Lansdale disse: “C’è solo un modo per sconfiggere un popolo insorto che non si arrenderà, e questo è lo sterminio. C’è solo un modo per controllare un territorio in mano alla resistenza, quello di trasformarlo in un deserto”.

Nulla è cambiato. Quando Donald Trump ha parlato alle Nazioni Unite il 19 settembre – un’organizzazione nata per risparmiare all’umanità il “flagello della guerra” – ha dichiarato di essere “pronto, capace e disponibile” a “distruggere totalmente” la Corea del Nord e i suoi 25 milioni di abitanti. Gli ascoltatori ebbero un sussulto, ma il linguaggio di Trump non era nuovo.

Il suo rivale per la presidenza, Hillary Clinton, si vantava di essere disposta ad “annientare totalmente” l’Iran, una nazione di oltre 80 milioni di persone. Questo è the American Way, il modo americano; mancano solo gli eufemismi.

Tornando negli Stati Uniti mi colpisce il silenzio e l’assenza di un’opposizione – di strada, del giornalismo e delle arti, come se il dissenso un tempo tradizionalmente tollerato sia regredito a dissidenza: ad un metaforico movimento clandestino.

C’è molto fracasso e rabbia verso Trump l’odioso, il “fascista”, ma quasi nessuno a Trump il sintomo e la caricatura di un duraturo sistema di conquista ed estremismo.

Dov’è lo spirito delle grandi dimostrazioni anti-guerra che invadevano Washington negli anni ’70? Dov’è l’equivalente del Movimento Freeze che riempiva le strade di Manhattan negli anni ’80, chiedendo che il presidente Reagan ritirasse le armi nucleari tattiche dall’Europa?

L’energia pura e l’ostinazione morale di questi grandi movimenti in gran parte ebbe successo; nel 1987 Reagan negoziò con Mikhail Gorbachev un Trattato di Forze Nucleari di livello intermedio (INF) che in effetti concluse la guerra fredda.

Oggi, secondo documenti segreti della Nato ottenuti dal quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung, questo trattato vitale sarà probabilmente abbandonato perché “la pianificazione del targeting nucleare è aumentata”. Il Ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, ha avvertito di non “ripetere i peggiori errori della guerra fredda … Tutti i buoni propositi sul disarmo e il controllo delle armi da parte di Gorbachev e Reagan sono in grave pericolo. L’Europa è nuovamente minacciata di diventare un terreno di addestramento militare per le armi nucleari. Questo lo dobbiamo dire con forza”.

Ma non in America. Le migliaia di persone che si sono schierate per la “rivoluzione” del senatore Bernie Sanders nella campagna presidenziale dello scorso anno sono collettivamente mute su questi pericoli. Il fatto che la maggior parte della violenza americana in tutto il mondo non è stata perpetrata da Repubblicani, o da mutanti come Trump, ma dai Democratici Liberali, rimane un tabù.

Barack Obama ne fornì l’apoteosi con sette guerre simultanee, un record presidenziale, compresa la distruzione della Libia come stato moderno. Il rovesciamento del governo eletto dell’Ucraina da parte di Obama ha avuto l’effetto desiderato: l’ammasso delle forze della Nato a guida americana sulla frontiera occidentale della Russia attraverso cui i nazisti la invasero nel 1941.

Il “fulcro sull’Asia” di Obama nel 2011 ha segnalato il trasferimento della maggioranza delle forze navali e aeree americane in Asia e nel Pacifico con l’unico scopo di confrontare e provocare la Cina. La campagna mondiale di assassinii del Premio Nobel per la Pace è probabilmente la più vasta campagna di terrorismo dall’11 settembre.

Quella che è conosciuta negli Stati Uniti come “la sinistra” si è effettivamente alleata con i più oscuri recessi del potere istituzionale, in particolare il Pentagono e la CIA, per vanificare un accordo di pace tra Trump e Vladimir Putin e per ripristinare la Russia come nemico in base a zero prove della sua presunta interferenza nelle elezioni presidenziali del 2016.

Il vero scandalo è l’infida assunzione di potere da parte di sinistri interessi guerrafondai che nessun americano ha votato. La rapida ascesa del Pentagono e delle agenzie di sorveglianza sotto Obama ha delineato uno spostamento storico di potere a Washington. Daniel Ellsberg lo ha giustamente definito un colpo di stato. I tre generali che manovrano Trump ne sono la testimonianza.

Tutto ciò non riesce a penetrare quei “cervelli liberali in salamoia di formaldeide della politica dell’identità”, come scrisse memorabilmente Luciana Bohne. Mercificata e testata sul mercato, la “diversità” è il nuovo marchio liberale, non la classe che la gente serve, a prescindere dal genere e dal colore della pelle: non la responsabilità di tutti di fermare una guerra barbarica per porre fine a tutte le guerre.

“Come cazzo siamo arrivati a questo?” dice Michael Moore nel suo spettacolo di Broadway, Termini della mia Resa, un varietà per disillusi sullo sfondo di Trump come Big Brother.

Ammiravo i film di Moore, Roger & Me, sulla devastazione economica e sociale della sua città natale di Flint, Michigan, e Sicko, la sua indagine sulla corruzione nella sanità in America.

La sera dello spettacolo, i plaudenti spettatori esultavano alla sua affermazione rassicurante che “siamo la maggioranza!” e ai suoi appelli di “bloccate Trump, un bugiardo e un fascista!”. Il suo messaggio pareva essere quello che se si fossero turati il naso e votato per Hillary Clinton, la vita sarebbe nuovamente stata prevedibile.

Può darsi che abbia ragione lui. Invece di semplicemente abusare del mondo, come fa Trump, la grande Annientatrice potrebbe aver attaccato l’Iran e lanciato missili a Putin, che lei stessa ha paragonato a Hitler: una particolare oscenità visto i 27 milioni di russi che morirono nell’invasione di Hitler.

“Ascoltate,” disse Moore, “mettendo da parte ciò che fanno i nostri governi, gli americani sono veramente amati dal mondo!”

Calò il silenzio.

 

 

Fonte: www.counterpunch.org

Link: https://www.counterpunch.org/2017/09/22/the-killing-of-history/

 

 

Tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA