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E’ crollato il mito della “Germania felix”

di Luigi Tedeschi - 29/09/2017

E’ crollato il mito della “Germania felix”

Fonte: Italicum



 
Il risultato delle elezioni tedesche non deve sorprenderci molto. Il calo del partito della Merkel, la disfatta socialdemocratica e l’avanzata dell’estrema destra nazionalista di A f D, sono eventi che esprimono la netta divaricazione esistente in tutta l’Europa tra le classi dirigenti e i popoli – sudditi. Il clamoroso successo di A f D è dovuto al disagio sociale delle classi subalterne che hanno dovuto sostenere i costi sociali della immigrazione di 800 mila profughi imposta dalla Merkel con la politica di accoglienza dei rifugiati del medioriente. Le diseguaglianze sociali accentuate e il diffondersi di un sentimento identitario nazionale hanno favorito questo voto di protesta.
E’ crollato il mito della “Germania felix” e della pietrificata stabilità politica del sistema politico tedesco incarnata dalla Merkel. Ma soprattutto il risultato di queste elezioni ha fatto emergere la non identificazione della Germania con l’Europa, e con essa, è stata smentita tutta quella mitologia mediatica di un modello politico immutabile, quale espressione politica della governance finanziaria che domina oggi l’Europa a trazione tedesca.
La disfatta storica dell’SPD, è rivelatrice della crisi irreversibile in cui versa tutta la sinistra europea. Essa ha sconfessato la sua identità storico – ideologica, e con essa, la sua funzione di critica sociale al sistema capitalista, onde omologarsi al nuovo ordine oligarchico neoliberista. Fu proprio la SPD di Schroeder a convertire, con le riforme del lavoro, la Germania socialdemocratica al sistema capitalista globale. E la Merkel ne ha raccolto i frutti, associando nei suoi governi la SPD in posizione subalterna. La Merkel, con il ritorno all’opposizione della SPD, dovrà formare un governo di coalizione con i liberali e i verdi. Coalizione che, data la sua composizione eterogenea e la risicata maggioranza numerica, sembra assai instabile e assai poco condivisa dall’elettorato: dai sondaggi recenti emerge che alla coalizione “Giamaica” è favorevole appena il 23% degli elettori.
A f D è un partito di estrema destra anti immigrazione, euroscettico, nazionalista, ma che condivide con i liberali, in tema di economia, la politica di rigidità finanziaria in sede europea. Entrambi i partiti sono assertori del rigore finanziario, sono contrari al varo di un bilancio comune europeo, alla condivisione dei rischi sul debito sovrano con gli altri paesi europei, vogliono imporre l’inflessibilità delle regole di bilancio in Europa. Schauble in confronto appare un moderato. Assisteremo, probabilmente, ad una estremizzazione della politica di dominio economico – finanziario tedesco in Europa, dato che la Merkel deve recuperare consensi a destra. Macron, già fautore di un rinnovato asse franco – tedesco, finirà per omologarsi ai diktat tedeschi, non potendo opporsi alle elites finanziarie che lo hanno finora sostenuto.
Il populismo di A f D è di matrice identitaria ma interpreta esclusivamente una protesta tedesca. Tale partito non sembra condividere le istanze sociali di altri movimenti euroscettici europei. Non sembra essere alternativo all’ordine neoliberista imposto all’Europa: è espressione dello stato dominate nella UE, non è comunque assimilabile ad altri movimenti sovranisti europei.
 
La Merkel: leader storico della dissoluzione dell’Europa
La Merkel viene oggi accreditata come leader europeo di rilievo storico. Ma la sua visione politica, altro non è se non una tecnica di dominio imposta dalla oligarchia finanziaria all’Europa. La UE esiste in funzione del dominio tedesco, altrimenti, si dissolverebbe rapidamente. Ma la Germania può identificarsi con l’Europa? La UE è un impero economico continentale che ha il suo baricentro in Berlino, ma gli altri paesi europei in maggioranza non si identificano con l’Europa a trazione tedesca, semmai ne subiscono il dominio in termini di devoluzione di sovranità.
La politica di bilancio virtuosa ostentata da Berlino, è stata esaltata quale fondamento di un primato morale tedesco su di una Europa mediterranea dissoluta, corrotta ed incapace di gestire la propria politica economica. Trattasi di un moralismo laico atto a legittimare un ordine imposto dalla potenza capitalistico – finanziaria tedesca a livello continentale.
Infatti, il primato tedesco si è potuto realizzare anche attraverso la violazione delle norme relative alle emissioni delle auto che ha dato luogo allo scandalo Volkswagen, mediante il mega finanziamento statale erogato al sistema bancario tedesco in default e colmo di titoli derivati – spazzatura nella crisi del 2008, in spregio delle normative europee che vietano gli aiuti di stato. Per non parlare poi degli episodi di corruzione rilevati in merito alle vendite di armamenti al governo greco e agli appalti nel settore delle telecomunicazioni per le olimpiadi di Atene (vedi scandalo Siemens).
Ci si chiede dunque, in base a quali imprese di portata storica la Germania della Merkel possa essere accreditata come fondamentale pilastro nella costruzione dell’Europa. Occorre rilevare come al manifestarsi della crisi del debito della Grecia, il cui deficit era nel 2009 di 30 miliardi, la Germania si oppose al salvataggio della Grecia, il cui debito nel 2012 è assurto a 130 miliardi. Nella crisi del 2015 Schauble, dopo che la Troika aveva imposto alla Grecia una politica di austerity devastante, propose la sua fuoriuscita dall’euro e la sospensione del suo diritto di voto nella UE. Inoltre, nel 2010, alle prime avvisaglie della crisi del debito italiano, la Deutsche Bank vendette 7 miliardi di titoli del debito pubblico italiano, onde far convergere i capitali in fuga verso i titoli della Bundesbank.
Alla ferrea rigidità tedesca circa l’osservanza dei parametri finanziari europei e alle relative sanzioni imposte ai paesi deboli, fa riscontro la aperta violazione mai sanzionata della Germania, riguardo ai suoi eccessivi surplus commerciali verso i paesi membri della UE.
La posizione dominante Germania della Merkel nella UE ha contribuito certo alla dissoluzione degli stati, ma non alla costruzione dell’Europa.
L’involuzione rigorista delle riforme della UE
Dopo la scontata, ma dimezzata vittoria elettorale della Merkel, la sterzata a destra prevedibilmente accrescerà il rigorismo finanziario, preteso dai liberali e condiviso da A f D, della Germania in Europa.
Era già stato programmato il varo del bilancio comune europeo, finanziato da titoli garantiti dai paesi dell’Eurozona. Tale riforma avrebbe dovuto garantire la stabilità dell’Eurozona e preservare i singoli paesi dalle ondate speculative e dalle conseguenti crisi finanziarie. Tuttavia la Germania, si è sempre dichiarata contraria alla emissione di eurobond, di titoli cioè che comportassero condivisione del rischio. La Germania aveva quindi condizionato il proprio assenso al bilancio comune europeo al varo di regole che ponessero dei limiti alla quantità di titoli pubblici che le banche potessero detenere in portafoglio in base al coefficiente di rischiosità del singolo paese. Mentre per i paesi come Germania e Francia la rischiosità è pressoché nulla, e quindi non vi sarebbero limiti alla detenzione dei titoli pubblici da parte delle banche, tale limitazione verrebbe invece imposta ad altri paesi (quali l’Italia), che vedrebbero ridursi la loro possibilità di finanziamento del debito ed aumentare, a causa di tale limitazione, la rischiosità dei propri titoli pubblici, con aumento del costo del debito e accresciuta vulnerabilità dinanzi alle ondate speculative.
La politica tedesca in Europa sarà comunque nel segno della continuità. La Germania ha invocato più volte la fine della politica di erogazione di liquidità a tasso zero del QE di Draghi. Nei progetti di riforma di Schauble (e probabilmente condivisi dai partiti a destra della Merkel), viene proposta la fine degli interventi della BCE e dei negoziati politici relativamente alla disciplina delle finanze pubbliche. La rischiosità dei debiti sovrani, secondo l’orientamento tedesco, essere stabilita dai mercati: in caso di crisi, sarebbe il mercato stesso a sanzionare i paesi più a rischio, con ristrutturazione obbligata del debito.
 
Ma come si sa, i mercati possono solo far accrescere gli squilibri (e quindi far lievitare gli spread) tra i paesi forti e quelli deboli. Senza un governo politico delle finanze pubbliche, si verificheranno nel prossimo futuro nuove crisi simili a quella del 2008.
 
L’eccessivo divario dei tassi nella UE può provocare inoltre evidenti squilibri nell’economia reale: i paesi che praticassero i tassi più bassi, attrarrebbero masse di capitali e concentrazioni industriali, a discapito degli altri paesi che subirebbero una destrutturazione delle proprie risorse finanziarie e produttive.
Tali riforme, con o senza il bilancio comune europeo, se attuate, possono solo dar luogo ad un processo involutivo – regressivo per l’Europa del prossimo futuro.
 
Il malessere sociale della Germania
 
Certo è che la politica di bilancio, del fiscal compact, dell’economia basata sull’export rimarrà immutata. Da una intervista su “la Repubblica” del 23/09/2017 a Gunter Wallraff, emerge una immagine della realtà sociale tedesca ben lontana da quella ufficiale, di un paese economicamente florido, con benessere diffuso e bassa disoccupazione. Wallraff definisce la società tedesca “divisa in caste”. Le diseguaglianze tra le elites e il popolo si sono sempre più accentuate, la povertà è assai diffusa tra gli anziani, il welfare è sempre più ristretto. Il ceto medio è in via di estinzione. La precarietà del lavoro è in aumento.
 
Il diffuso malessere sociale una diretta conseguenza di questo modello di sviluppo. I territori dell’ex Germania est si sono spopolati e una sorte simile subiscono oggi le province e le zone agricole dell’opulento Ovest.
 
Tale disagio sociale ha contribuito al successo elettorale di A f D, partito nazionalista, ma non anti – Nato.
Quello tedesco è un modello economico imposto a tutta l’Europa, basato sull’export, che determina la crescita del surplus commerciale con l’estero a discapito dello stato sociale e dei consumi interni. La crescita non comporta adeguate ricadute sull’occupazione, sugli incrementi salariali e sugli investimenti pubblici. Nell’attuale fase di crescita europea, l’occupazione è aumentata con l’aumento del lavoro precario e la compressione salariale.
 
Il futuro dell’Italia si rivela assai incerto, dato il prevedibile orientamento rigorista che assumerà la politica europea. Occorrerebbe proporre strategie di resistenza e di dura contrapposizione a questa Europa a trazione tedesca. Rivendicare la sovranità nazionale ed un ruolo determinante dell’Italia in Europa: questi i temi sostanziali per una politica che possa rappresentare una valida alternativa all’attuale degrado politico – sociale italiano. Ma su tutto ciò rileviamo un assordante silenzio delle forze politiche i campo. Le forze governative sono europeiste a prescindere, le opposizioni si nutrono di vacui velleitarismi confusionali. La dissoluzione del nostro paese ha la sua causa principale nell’europeismo acritico succube e servile delle classi dirigenti verso la UE e l’Occidente americano.

POSTILLA

SE FOSSI TEDESCO AVREI VOTATO AFD
del Poliscriba

Le elezioni della Germania appena concluse, a trazione Merkel, suonano a morto.
L’Est, un tempo comunista, come storia insegna, si sta progressivamente spostando sulla rive droite, quella estrema, come già si era visto con il movimento Pegida, fondamentalmente antislamico.

Quell’Est annesso a calci nella Grande Federazione, che sembrava rimpiangesse i tempi della STASI, ha snobbato pesantemente i socialisti dell’SPD e tutto il loro ciarpame melting polt, scegliendo l’AFD, non a malincuore, senza tapparsi il naso e malgrado i dissapori interni della compagine oltranzista, tra i duri e i morbidi.
Il terremoto è in atto e le scosse proseguiranno ininterrotte fino alla prossima legislatura e non saranno di assestamento.

La Merkel fallirà ancora, questo è pacifico, perché non ha nessuna intenzione di capitolare sull’identitarismo nazionale, in quanto non vuole ri-consegnare la Germania ai suoi legittimi possessori, i tedeschi, ceduta  alle cieche forze del mondialismo.
Non le si può dare torto.
Dobbiamo prendere atto che le teste quadre non possono diventare tonde e il guinzaglio che le stringe il collo ha forti braccia che la strattonano.
La sua ricetta è il peggio che si possa mettere in campo per garantire la futura autodistruzione economica tedesca e lo spaccamento della divisa monetaria in euro 1 e 2.

Di contro, dopo gli inaspettati risultati elettorali germanici, l’Italia pddiota delle prossime elezioni 2018 teme  l’avanzata di un nuovo Fuhrer dai Land di Cacania (R.Musil), sapendo di non avere una coalizione maggioritaria e nemmeno un partito di maggioranza.
Schiava dei Signori della Truffa europoide spera nelle dimissioni di Draghi prima dello scadere naturale del suo mandato che dovrà ratificare previa letterina a Matteo Renzi – che sarà scelto da Mattarella per formare un governo di transizione dopo il prossimo fallimento elettorale – nella quale esplicherà tutta la retorica da banchiere che lo contraddistinse all’epoca del GOLPE contro Berlusconi, per favorire l’insediamento alla Presidenza del Consiglio dello psicopompo Monti.

Draghi si dovrà dimettere perché il duo Merkel-Macron richiederà un rientro immediato delle situazioni debitorie dei PIIGS che continuano a soffrire della doppia crisi 2008-2011, non prima che i Mercati (leggi Soros&Co) abbiano iniziato il malefico attacco ai debiti pubblici periferici a suon di innalzamento dello spread, e che il Quantitive Easing venga stoppato, per garantire un subitaneo rialzo dei tassi e un rafforzamento dell’Euro a favore, come sempre, dell’economie centrali.

La Merkel chiederà la testa del Sud Europa – con la solita “delicata attenzione” alla Grecia, il suo masso al collo – e spingerà per un ulteriore affossamento del nostro Made in Italy, opponendosi alla riduzione dei flussi migratori sulle nostre coste, accampando le solite scuse cristianpolcor. 

La risposta a questo trastullarsi con “Le vite degli altri”(per citare un gran film tedesco), è che AFD ha messo più di un piede nel Reichstag, democraticamente e di certo non lo si può cacciare  o spacciare per partito autoritario, antidemocratico, urlando da radio Berlino: “Lui è tornato” (Timur Vermes docet)
L’ Alternativa  per la Germania è riuscita ad attirare anche e non solo voti di delusi, incazzati, riportando alle urne una buona percentuale di astensionisti. (77% i votanti)
A parte il solito starnazzare di populismo e l’attacco del circo mediatico che vorrà ridurre l’elettorato di estrema destra alla solita accozzaglia di ignoranti, beceri, antimodernisti, filonazisti – diventati tali per mancanza di strade asfaltate (così cercano di spiegarsi la debacle i DEMenti) – ci sarà la seria possibilità di una saldatura con il Front National della Le Pen.

Da noi, solo LegaNord e qualche partitino sarebbero i candidati giusti per una coalizione europea antieuropeista (attendendo la scissione del M5S), sempre che riescano nel compito, quasi impossibile, di attrarre pezzi di quella maggioranza silenziosa che presta il fianco all’indifferenza elettorale in mancanza di leader a cui dare la propria fiducia o per atavico individualismo piccolo borghese provinciale.
Ma i dubbi che l’impresa possa riuscire, permangono, visti i colpi sotto la cintura portati dalle élites finanziarie e dal Vaticano che altro non rappresenta se non la sua banca offshore.(vedi caso IOR- Milone)

Come mai  6 milioni di tedeschi non hanno esitato a schierarsi con l’estrema destra?

Non certo per motivi ideologici.
Il nazismo non c’entra nulla, né tantomeno il populismo: termine ormai abusato per gettare fango su ogni movimento che aspira a un ritorno di un vero potere nelle mani di quei popoli – e sono ormai l’intera umanità sepolta dal 10% di chi possiede oltre la metà delle ricchezze del pianeta – schiacciati da forme sempre più estese e odiose di controllo capillare della libertà di espressione, obbligati a socializzare le perdite del capitalismo iperfinanziario di rapina, ammansiti da quelle sinistre conniventi con i plutocrati che una volta si dicevano difenditrici del proletariato e che ora si stracciano le vesti se la plebaglia vota le estreme destre.

Gli elettori dell’AFD sono stati decisi, virili, hanno sfidato il senso di colpa che lega il pensiero di destra tedesco a un passato, i cui misfatti – che dovrebbero essere  ridimensionati sulla scorta di un sano revisionismo storico senza censure, che esiste, ma viene imbavagliato, ridicolizzato, ostracizzato e incarcerato da parte dei think tank politicamente corretti, sempre saturi di giustizia e giustizieri, mai di autocritica – sembra debbano ricadere ad libitum, sulle generazioni post-nazionalsocialismo. 

Si sono costituiti parte civile contro un’economia asfissiata dall’export totalitario che ha distrutto buona parte del mercato interno tedesco, disintegrando la classe media, delocalizzando nei paesi PECO, risucchiando immigrati a basso costo, concorrenti temibili sul piano dell’occupazione giovanile, della demografia e della convivenza sociale.

Ecco spiegati i minijob, le truffe industriali (caso Wolkswagen), lo sforamento dei parametri di Maastricht – imposti soltanto agli Stati del Mediterraneo, sporchi, brutti, cattivi e ladri – il controllo sulla BCE da parte della Bundesbank, il generoso rifinanziamento degli Istituti di Credito  caduti nella trappola dei subprime, a detrimento dei risparmiatori che hanno perso casa e lavoro e ai quali si è chiesto il sacrificio più opprimente: quello di non essere più tedeschi ma accessori passivi dell’ultraliberismo transnazionale che non ammette confini politici, sociali e geografici e usa le persone come merce di scambio, di qualunque colore e provenienza siano.

La Germania ai tedeschi è il grido che fa paura.
A quando una vera Alternativa per l’Italia che urli l’Italia agli italiani?