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A caccia di fate nell’incantata foresta di Merlino in Bretagna

di Annalisa Terranova - 02/10/2017

A caccia di fate nell’incantata foresta di Merlino in Bretagna

Fonte: Il Secolo d'Italia

La parola fate (fairy) fa la sua comparsa in età medievale, è un’estensione dell’antica parola francese “fai” e deriva dall’italiano arcaico “fatae”. Ma gli stessi esseri fatati non amavano tale definizione e infatti la cultura folk lorica assegna loro altri nomi: il buon popolo, la corte felice, i buoni vicini… La studiosa del folklore inglese Katharin Briggs sosteneva che la domanda “Lei crede nell’esistenza degli esseri fatati?” fosse del tutto irrilevante perché il compito dello studioso era quello di seguire le tracce del “buon popolo” così come si erano depositate nelle tradizioni.

Ma la terra delle fate esiste? Esistono più che altro territori incantati ai quali fate e folletti infondono un particolare “spirito del luogo”. Lo stesso che ritroviamo nel libro L’Erbario delle Fate (Rizzoli), scritto da Sébastian Perez e illustrato da Benjamin Lacombe. Un vero gioiello, soprattutto per le illustrazioni, che infatti viene di continuo ristampato e ora tradotto anche in Cina. Gli autori immaginano di ricostruire la missione a Broceliande di un misterioso botanico russo, Aleksandr Bogdanovich, e i suoi “esperimenti” su “specie sconosciute”. Gli esseri fatati, appunto.

L’ambientazione è dunque la foresta bretone – che esiste davvero – dove Merlino avrebbe incontrato Viviana presso la fonte magica capace di risanare i folli e dove il celebre mago avrebbe la sua tomba. L’agronomo Aleksandr Bogdanovich – la cui vicenda è ricostruita tra realtà e fantasia –  dopo le sue ricerche fa perdere le sue tracce. Così gli autori ricostruiscono la sua biografia: Bogdanovich, della cui infanzia non si sa nulla, viene ammesso per interessamento dello Zar al gabinetto di scienze occulte di Rasputin, cui apparteneva buona parte dell’élite scientifica russa. Rasputin, un po’ santone e un po’ sciamano, è il legame storico tra il mondo di teosofi ed esoteristi dei primi anni del secolo scorso e il mondo incantato delle fate. Incoraggiato da Rasputin, Bogdanovich lavorò a un elisir dell’immortalità e per questo si recò in missione nella foresta di Broceliande, in Bretagna, dove si fece costruire un alloggio in legno sul modello delle isbe russe. Nei suoi appunti gli autori dell’Erbario mostrano la metamorfosi da una mentalità razionalista a una visione aperta alla meraviglia del mistero.

Così all’inizio Bogdanovich mostra il distacco dello scienziato dalle superstizioni del luogo: “Finalmente ho potuto incontrare Léopoldine, guaritrice ufficiale di questi paesani superstiziosi. La vecchia, dall’aspetto arcigno, si è mostrata assai reticente a darmi notizie sulla foresta… “, ma col passare dei giorni si lascia catturare dall’atmosfera incantata del bosco leggendario fino alla prima “sensazionale scoperta”, quando nei pressi di uno stagno, mentre picchietta con le dita sull’acqua, qualcosa risale verso le sue dita… : “Dopo avere analizzato numerose piante di cui alcune hanno virtù molto interessanti, ho scoperto una specie che mi era del tutto sconosciuta. In una pianta, la pilularia, si annida un essere minuscolo che decuplica la sua efficacia terapeutica. L’ho denominata pilularia animans. Dopo diverse prove, ho avuto conferma delle sue proprietà quando l’ho dissolta in acqua e applicata su una piaga. Ha portato alla cicatrizzazione in qualche ora…”.

La foresta di Broceliande gli riserva altre piacevoli sorprese: mentre dorme presso uno stagno viene svegliato da una creaturina alata che sprigiona un profumo rinfrescante, come di garofano: “Mi ha invitato a seguirla e abbiamo imboccato sentieri sperduti, fiancheggiati da rosai selvatici, tristi e incantevoli”. Questo mondo non può entrare in contatto con il mondo vero, reale, e va protetto. Di qui il finale escogitato dagli autori dell’Erbario. Nell’ultima lettera alla moglie Irina, Bogdanovich racconta di essere arrivato al termine della sua missione, ma se della missiva si legge una riga su due vediamo che Bogdanovich rivolge un accorato invito alla consorte a recarsi da lui “nella terra delle fate” per sottrarsi alle minacce di Rasputin. Poi, il 5 settembre, il professore scompare. La baracca dove viveva e faceva i suoi esprimenti viene bruciata. Un anno dopo anche la moglie con la figlia di dieci anni, il 5 settembre 1916, scompaiono durante l’ennesima battuta nella foresta di Broceliande. Lacombe disegna un ritratto della famiglia al completo: moglie, marito e figlia, tutti e tre con gli occhi grandi e incantati dei folletti. Ma, al di là dell’evanescenza del personaggio, chi e cosa rappresenta Bogdanovich? Una mente scientifica e progredita vinta, alla fine, dal fascino irresistibile del “buon popolo”. Lo scienziato che scopre altri orizzonti. Una favola che può sempre rinnovarsi, oggi come agli inizi del secolo scorso, alla vigilia di sconvolgimenti che avrebbero portato lutti e tragedie.

E non è un caso che oggi diventino best seller i libri dell’ex guardia forestale Peter Wohllebensulla vita segreta degli alberi. Dall’erborista di Rasputin alle schiere di adepti della silvoterapia molto tempo è passato. Un secolo esatto: ma la natura continua a sussurrarci i suoi segreti, a parlarci dell’intima personalità di alberi e piante. Proprio come facevano le fate di Broceliande.