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Il relativismo totalitario sta rottamando i valori

di Francesco Lamendola - 19/10/2017

Il relativismo totalitario sta rottamando i valori

Fonte: Accademia nuova Italia

 

È in atto, a ritmo sempre più accelerato, la rottamazione epocale di un intero paradigma, quello dei valori tradizionali e dell’etica assoluta, in nome di un relativismo che sempre più si sta configurando come un nuovo, implacabile totalitarismo, imposto con un massiccio, metodico, planetario  lavaggio del cervello da pare dei mass media e della cultura dominante, università in testa, ma sostenuto anche, all’occorrenza, da una pressione di tipo giudiziario: chi esprime opinioni diverse, rischia la denuncia, la multa e la prigione, e ciò chiude la bocca a ogni eventuale dissidenza o contestazione – ironicamente, in nome di una presunta difesa della democrazia. Di conseguenza, tutte le persone che vivono ancora, intellettualmente, culturalmente, spiritualmente e moralmente nel mondo dei valori e della tradizione, che credono ancora in Dio, nella Patria, nella famiglia, nella distinzione fra il vero e il falso, fra il bene e il male, fra il giusto e l’ingiusto, fra il bello e il brutto, si trovano ad essere automaticamente “superate” e, perciò, “rottamate”. Non servono più, sono diventate inutili, come dei ferri vecchi. In questa maniera, non solo milioni di persone, ma delle intere generazioni – una sicuramente, forse due o perfino tre, quelle dei nati prima del 1960 – sono state mese fuori gioco, fuori della storia, e gentilmente gettate nel cestino della carta straccia. Quel che credevano, quel che sentivano, il mondo per il quale si sono spese, non hanno più importanza; i loro sacrifici, le loro rinunce, le loro battaglie, non hanno più senso; ciò che hanno cercato di costruire, d’insegnare, di trasmettere ai loro figli e nipoti, specialmente con l’esempio della loro vita, viene rifiutato e respinto, sovente dileggiato, altrimenti, semplicemente, ignorato; il loro orizzonte esistenziale è stato dichiarato privo di senso, inutile, soprannumerario. In altre parole, sono state congedate pubblicamente: ancora vive, è come se fossero già morte; sono stati spenti i microfoni, spente le luci, tolte le scenografie; tutto quel che possono ancora fare, è togliersi di mezzo in silenzio, anche fisicamente, il più presto possibile.
Largo ai giovani, almeno a parole: perché, di fatto, la modernizzazione forzata e il giovanilismo esasperato che stanno dietro a questa gigantesca opera di rottamazione delle precedenti generazioni non sono affatto il segnale di una conquistata centralità da parte dei giovani; tutto al contrario. C’è ben poca attenzione verso i giovani, oggi, a cominciare dalla loro speranza d’inserirsi nel mondo del lavoro; per non parlare delle carriere più prestigiose, tutte saldamente occupate da settantenni e ottuagenari ben decisi a tenersi strette le loro poltrone sino all’ultimo soffio di vita. Strano, vero? Da una rivoluzione culturale che estromette così brutalmente i “vecchi”, ci si aspetterebbe che il motore abbia un cuore giovane, e che i giovani ne siano i protagonisti e gli ovvi beneficiari; invece no. Il fatto è che i principali animatori di tale rivoluzione non sono i “giovani” in senso anagrafico, ma quelli, per lo più anziani, già “arrivati” e comodamente allogati entro il sistema, i quali hanno deciso di optare per questa repentina accelerazione del cambio di paradigma, dal paradigma dei valori assoluti a quello del relativismo istituzionalizzato e imposto per via legale e giudiziaria. Per limitarci al panorama di casa nostra – ma il fenomeno è di portata mondiale – il presidente della Repubblica, Mattarella, il presidente del Consiglio, Gentiloni, il pontefice Francesco, i presidenti della Camera e del Senato, i ministri, molti parlamentari, quasi tutti gli intellettuali in forza ai principali giornali, televisioni e case editrici, gran parte del corpo accademico, la quasi totalità degli artisti, degli architetti, degli urbanisti, dei musicisti, per non parlare di tecnici e scienziati, e poi gran parte dell’alto clero, cardinali, arcivescovi e vescovi: pur avendo superato da un pezzo l’età in cui si può esser definiti giovami, hanno scelto di schierarsi per il fulmineo cambio di paradigma, in base al quale ciò che era vero, giusto, buono e bello fino a ieri, o, al massimo, fino all’altro ieri, oggi è divenuto politicamente scorretto, scorrettissimo, è divenuto falso, ingiusto, cattivo e brutto. Tutti costoro han deciso di saltare a piè’ pari sulle nuove posizioni, tagliandosi i ponti alle spalle, e, quel che più conta, tagliandoli alle spalle della società intera, loro che ne sono le guide.
Si è cosi creata una situazione inedita, curiosa, stupefacente. Le classi dirigenti dicono, fanno e raccomandano, anzi, prescrivono, più o meno l’esatto contrario di quel che dicevano, facevano, raccomandavano e prescrivevano sino all’altro ieri; fanno anzi finta di averla sempre pensata come la pensano adesso, fanno finta che il cambio di direzione non ci sia stato, che nessun contrordine sia stato dato; e pretendono che le masse, la gente comune, i singoli individui, prendano per buona questa nuovissima dottrina: cancellare il passato, facendo finta che non ci sia mai stato; censurare ciò che era vero fino a ieri, rimuovendone anche il ricordo; e, di conseguenza, censurare, rimuovere e cancellare anche una parte di se stessi. Si pretende che le persone si adeguino alle nuove direttive come se fossero delle macchine: e come ad una macchina si possono sostituire i pezzi che la compongono, così da ottenere una macchina sostanzialmente nuova, partendo da quello che essa era prima, allo stesso modo le classi dirigenti pretendono che le persone si lasciano manipolare, rottamare, riciclare, trasformare, riadattare, in maniera da diventare delle persone nuove, con una nuova maniera di sentire e di pensare, con una nuova sensibilità e  una nuova prospettiva, come se nulla fosse, come se non fossero mai state ciò che erano state prima. La parola d’ordine, sottintesa ma evidentissima, è: dimenticare il passato, farlo sparire; cominciare tutto daccapo, procedere in una direzione affatto nuova, fingendo, però, che la direzione di marcia sia sempre la stessa, e tutto sia sempre stato così come appare oggi, come lo si vuole oggi.
Si tratta, in primo luogo, di una complessa, capillare, sistematica operazione contro la verità, contro l’identità, contro la memoria. Bisogna trasformare sette miliardi e mezzo di persone in altrettanti immemori, in altrettante Belle Addormentate nel bosco. Il mondo è radicalmente cambiato, ma loro non devono saperlo, non devono neppure sospettarlo. La cosa è relativamente facile con i bambini e con i più giovani: essendo nati in questo clima, e avendo pochi ricordi o nessun ricordo della situazione preesistente, non è affatto difficile convincerli che non esiste e non è mai esistito un passato “diverso”, che il mondo è sempre stato quale lo vedono ora. Per esempio: che gli immigrati ci sono sempre stati; che il loro inserimento nella nostra società è un processo naturale, irreversibile e, comunque, benefico; che le unioni omosessuali hanno la stessa dignità intrinseca del matrimonio fra uomo e donna; che i bambini possono nascere dall’unione di un uomo  di una donna, ma anche dalla fecondazione eterologa praticata da una lesbica, per poi crescerli con la sua compagna, o dalla pratica dell’utero in affitto, nel caso di due omosessuali maschi; che il diritto a divorziare, ad abortire, ad avere una “morte dolce” in ospedale, c’è sempre stato, e, comunque, è giustissimo e sacrosanto che sia garantito a tutti; che il cattolicesimo è la religione della neochiesa massonica di papa Francesco, nel quale ci sono solo ponti e nessun muro, cioè nessuna dottrina, nessuna verità, nessuna certezza assoluta, perché esso è solo una delle tante vie per giungere a “Dio”, un dio poco esigente, peraltro, e assai largo di manica, che capisce tutto, perdona tutto, e che, addirittura, si aspetta da noi, in certi casi, che viviamo nel peccato, perché altro, oggettivamente, non potremmo fare, stante la complessità delle situazioni e la fragilità della nostra natura (vedi il famigerato paragrafo 303 della esortazione apostolica Amoris laetitia).
L’ambito della vita religiosa si presta particolarmente per illustrare il concetto della rimozione del passato. Per un ragazzino di dieci, dodici anni, è normale che il cattolicesimo sia questa cosa qui: la santa Messa con i burattini, o con l’aperitivo, o con i balli, gli applausi, le buffonate, il prete che canta durante l’omelia brani di musica leggera, il vescovo che va attorno in bicicletta dentro la chiesa, le suore che cantano scompostamente canzoni profane e perfino blasfeme, il papa che si mette il naso da pagliaccio, il vescovo che elogia pubblicamente l’altissima moralità del defunto Marco Pannella, gli induisti che portano dentro la chiesa i loro idoli, i musulmani che si mescolano ai cattolici nel Sacrificio eucaristico, gli ebrei che non hanno alcun bisogno di convertirsi, perché anche solo pensarlo sarebbe un reato di lesa maestà nei confronti della sola religione esistente sulla quale non è dato scherzare: la Religione dell’Olocausto. Per questo ragazzino, al quale l’insegnante di religione nella scuola pubblica, e, spesso, anche la catechista in parrocchia, oltre che il suo stesso parroco e il suo stesso vescovo, hanno trasmesso questa idea del cattolicesimo, questa idea del Vangelo, questa idea di Gesù Cristo – un uomo simpatico che perdonava tutti, che voleva la giustizia sociale e che non sopportava i ricchi, mentre amava le prostitute e i peccatori – riuscirebbe difficile credere che il cattolicesimo, per innumerevoli generazioni di uomini e donne, sia stato tutt’altra cosa. E, soprattutto, per lui sarebbe difficile credere che la morale cattolica condannasse una serie di comportamenti che, ora, la Chiesa tollera, o addirittura incoraggia e benedice; e che fra il modello di vita proposto dalla Chiesa e quello del mondo vi fosse una differenza sostanziale. Per lui, oggi, la Comunione è quel rito, invero un po’ strano, nel quale si va all’altare, magari in calzoncini corti e sandali da spiaggia, si prende con le mani quel pezzetto di pane che il prete chiama, chissà perché, il Corpo del Signore, lo si mette in bocca e si torna al banco; momento, comunque, piuttosto noioso: molto più vivace e simpatico è lo scambiarsi il “segno della pace”, sbracciandosi allegramente a destra e a sinistra, avanti e indietro, e uscendo anche dal banco per stringere la mano ad amici e sconosciuti.
Ora, è in atto la stessa tecnica di azzeramento del passato in tutti gli altri ambiti, anche profani, della nostra società e della nostra cultura. Prendiamo il caso di uno studente di psicologia. I libri su cui studia, i professori che ascolta durante le lezioni, per non parlare dei salotti televisivi politically correct, tutti gli dicono che esiste un istinto eterosessuale e un istinto omosessuale; che non vi è differenza fra l’uno e l’altro, né per la moralità intrinseca, né per gli effetti sociali, né per l’equilibrio psichico dell’individuo. Il nostro studente ventenne di psicologia pensa che sia sempre stato così, e che i professori e i manuali della sua disciplina abbiano sempre espresso tali concetti. Invece basta prendersi la briga di sfogliare un qualsiasi manuale di qualche decennio fa, e si troverà l’omosessualità regolarmente collocata nel capitolo, o nei capitoli, delle “deviazioni sessuali”, o anche, più esplicitamente, delle “perversioni sessuali”. Chi ha scritto quei libri?  Evidentemente, psicologi professionisti: i professori universitari di cinquanta, quaranta, trent’anni fa. Una parte di loro sono ancora vivi e vegeti, e alcuni continuano a insegnare dall’alto delle loro cattedre. E che cosa dicono oggi? Esattamente il contrario di quel che dicevano e insegnavano allora. Proprio come i vescovi canterini, i monsignori che lodano Pannella, il papa che esalta la figura di Lutero, e l’ultimo prete di provincia che invita in chiesa Emma Bonino, la campionessa dell’aborto e di cento altre “battaglie” per i diritti civili, vale a dire battaglie anticristiane, per insegnare ai cattolici come si fa ad essere accoglienti verso gl’immigrati. C’è qualcosa che non torna: ma è proibito dirlo. Se nessuno lo dice, è come se i conti tornassero. Dunque, il segreto è dire sempre di sì, e fare finta che non sia successo nulla, che non sia cambiato niente. Tutto si regge su una gigantesca menzogna e su un tradimento inaudito non solo nei confronti del passato e della propria identità, ma nei confronti della verità stessa: perché nulla di onesto si può costruire sulla base di una menzogna, e chi la pensa diversamente o è un imbecille o è un mascalzone. Non stiamo parlando di opinioni a proposito della squadra di calcio: stiamo parlando dei valori intellettuali, culturali, spirituali e morali della nostra civiltà. Milioni di persone li hanno ricevuti, ci hanno creduto, si sono sacrificati per essere fedeli ad essi; alcuni hanno anche dato la loro vita. La patria? La Patria è innanzitutto un valore ideale; tuttavia, per sussistere, essa ha anche bisogno di una cosa così vilmente materiale qual è il confine. Essa, dunque, è definita dai confini: ovvio. Per difendere i confini, i nostri nonni e bisnonni hanno dato la vita: sul Piave nel 1918, a El Alamein nel 1942. Oggi i confini non ci sono più e chiunque ha il diritto di venire in Italia, di essere accolto, mantenuto, spesato, ospitato, alloggiato, anche se si comporta da delinquente: perché, poverino, è un “profugo”, e noi non possiamo restare insensibili al suo “dramma”, né negargli il diritto al sogno d’una vita migliore.
Si giunge così alla conclusione che il peggior nemico del nuovo paradigma è colui che conserva la memoria, che conserva i valori, che custodisce la tradizione, perché costui è un testimone vivente di ciò che non deve essere ricordato, di ciò che deve essere cancellato ed ignorato dalle nuove generazioni. E non è, ripetiamo, solo una questione di età: le persone che abbiamo nominato prima non danno alcun fastidio al nuovo paradigma, anzi, sono benemerite: è forse un caso che ricevano ovunque applausi e che siano continuamente lodate e glorificate dai mezzi d’informazione e da quasi tutto l’establishment intellettuale e culturale? Eppure sono, intellettualmente e moralmente parlando, dei traditori; si sono impadroniti del marchio di fabbrica e spacciamo impunemente moneta falsa per moneta buona. L’Italia di cui parlano, non è la vera Italia; la cultura di cui parlano, non è la vera cultura; la religione di cui parlano, non è la vera religione. Il tradimento c’è e si vede...