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La teoria della panspermia sposta il problema dell’origine della vita, ma non lo spiega

di Francesco Lamendola - 02/11/2017

La teoria della panspermia sposta il problema dell’origine della vita, ma non lo spiega

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

Fino a pochi decenni fa gli scienziati di tendenza materialista, e specialmente i biologi, si appagavano della teoria secondo la quale la vita, in determinate condizioni, può avere origine dalla materia inorganica: cioè che dalle molecole inorganiche, a determinate condizioni, e avendo un sufficiente tempo a disposizione, è possibile che avvenga spontaneamente la formazione di molecole organiche, primo anello del fenomeno chiamato ”vita”, per poi dar luogo, secondo una linea evolutiva sempre più articolata e complessa (e qui l’evoluzionismo darwiniano veniva a dare il contributo decisivo), dai virus e dai batteri più semplici fino agli organismi viventi superiormente organizzati, piante, fiori, insetti, pesci, anfibi, rettili, mammiferi, uccelli. Tutto si sviluppava in maniera semplice e piana; i tempi, in senso geologico, parevano bastanti; e la concezione gradualista sottesa questa idea dell’evoluzione si sposava magnificamente con l’istintiva ripugnanza di molti intellettuali per i “salti”, per le “discontinuità”, che pare accomuni gli scienziati agli storici, ai sociologi, agli psicologie persino ai filosofi.
C’era, è vero, un piccolo neo; il fatto, cioè, che Francesco Redi, circa tre secoli prima, avesse dimostrato, in maniera assolutamente convincente, che nessuna forma di vita nasce dalla materia organica decomposta; che nessuna forma di vita si sviluppa spontaneamente; che la vita, per esistere, non può saltar fiori dal nulla, perché, isolando uno spazio mediante una campagna di vetro, e sia pure uno sazio nel quale è stata collocata della carne in decomposizione, non “nascono” né mosche, né vermi, né larve, né organismi di alcun tipo, per quanto piccoli, per quanto semplici. Tanto avrebbe dovuto bastare e avanzare per smentire qualsiasi teoria sulla generazione spontanea della vita sulla Terra; ma i biologi di formazione materialista non si son dati pensiero per così poco, e hanno proseguito dritti per la loro strada, come se l’esperienza di Redi e poi quella di Pasteur, non li riguardasse per nulla. A ben considerare, quel che appare stupefacente, nella teoria sulla nascita spontanea della vita sulla Terra, è che essa abbia potuto procedere indisturbata per la bellezza di 300 anni, essere sostenuta nei libri di testi scolastici, essere diffusa negli ambienti universitari, essere divulgata sulle riviste scientifiche, quando chiunque, teoricamente, avrebbe potuto mostrarne l’assoluta fallacia, la totale mancanza dei presupposti logici perché venisse presa seriamente in considerazione. Il fatto che ciò non sia avvenuto; il fatto che la nascita spontanea della vita sulla Terra sia stata insegnata e predicata per un tempo così lungo, anche nel corso del XX secolo, fino almeno agli anni ’60 e ’70, e il fatto che ancora oggi, sostanzialmente, e sia pure abusivamente, tale teoria venga presentata agli studenti come quella più accreditata, se non come l’unica avente diritto di cittadinanza nella patria del sapere scientifico, significa una cosa sola: quanto lontana sia la scienza moderna dal possedere quei caratteri di oggettività, di rigore, di coerenza interna, che i suoi corifei più zelanti le attribuiscono, sino a presentarla, di fatto, come la nuova religione dell’umanità moderna, una religione della quale è impossibile dubitare, a meno di voler ricadere nella “barbarie”, nell’ignoranza e nella superstizione dei tempi antichi. Di fatto, quel che è mancato è stato il bambino capace di dire a voce alta, come nella fiaba di Andersen Il vestito nuovo dell’imperatore, la semplice, terribile, impietosa constatazione: Ma il re è in mutande! Se qualcuno l’avesse detta, quella frase, noi oggi potremmo avere un po’ più stima dell’ambiente scientifico ufficiale; potremmo perdonare molte cose, compresa una cert’aria di arroganza, da parte dei cultori della scienza assoluta, dello scientismo, perché, almeno in un caso talmente evidente, avrebbero mostrato di sapersi auto-correggere, auto-emendare e auto-limitare, riconoscendo l’assoluta insussistenza di una teoria scientifica per palese mancanza di fondamenti concettuali. Ma il fatto è che quel bambino, con la sua beata innocenza, non si è visto; e quel che deve far riflettere è che, pur essendo la cosa evidente e sotto gli occhi di tutti, nessuna voce autorevole si sia levata, nel mondo scientifico, per dire: Ma non vedete che la teoria dell’origine spontanea della vita è insostenibile, e che uno scienziato italiano l‘aveva già smentita, con un semplice esperimento pratico, riferendone poi nell’opera “Esperienze intorno alla generazione degli insetti”, nell’ormai lontanissimo 1668?
Al contrario: con rocciosa sicumera, con testardaggine degna di miglior causa, perfino con impazienza infastidita, i biologi “ortodossi” seguitarono ad andare avanti con il paraocchi, e guai se qualcuno si permetteva di disturbarli con qualche domanda inopportuna a proposito della improbabilità, per non dire della impossibilità, della generazione spontanea, così com’era stata definitivamente dimostrata da Louis Pasteur nel 1864. Più di un secolo dopo la definitiva e indiscutibile dimostrazione di Pasteur, che gli valse il premio dell’Accademia Francese delle Scienze, il biologo italiano Emanuele Padoa (Livorno, 1905-1980), professore all’Università di Siena e poi a quella di Firenze, asseriva, con aria decisamente seccata e non tropo scientifica, nel suo classico Storia della vita sulla Terra (Milano, Feltrinelli, 1959, 1974), atteggiandosi a filosofo e citando, quale autorità in materia, il porno-scrittore Alberto Moravia, sentenziava che la generazione della vita sulla Terra era attualmente impossibile; e con quel’aggettivo, “attuale”, pensava di aver risolto il problema prendendosi anche il lusso di indulgere all’ironia sui suoi eventuali obiettori e di fare lo spiritoso a buon mercato sulle Sante Reliquie del cristianesimo (cfr. spec. alle pp. 65-69). E poco importa se, per tentar di dimostrare l’indimostrabile, ossia che, in condizioni ambientali diverse dalle attuali, la vita sulla Terra deve essersi generata precisamente dalla materia inorganica, si sorvola disinvoltamente su due questioni centrali: primo, che il “salto” da una cellula inorganica a una cellula organica è facile da immaginare solo per chi non abbia mai visto una cellula in vita sua, e non possa nemmeno immaginare quanto sia enorme, abissale, la differenza di complessità della seconda rispetto alla prima, e non c’è “brodo primordiale”, o brodino, o minestrone, che valga a renderlo, non diciamo spiegabile, ma nemmeno vagamente plausibile; secondo, che, pur ammettendo, per mero amore d’ipotesi, una generazione spontanea della vita a partire da materia inorganica, ciò richiederebbe un tempo infinitamente lungo, bilioni e trilioni di millenni, e non il tempo, geologicamente assai breve, che il pianeta Terra ha messo a disposizione di questo esperimento: qualcosa come 4,5 miliardi di anni, anzi, ancora di meno, dato che l’acqua allo stato liquido, ad essa indispensabile, non compare prima di 4,4 miliardi di anni, e le prime forme di vita accertate non  rimontano indietro a più di 2,7 miliardi di anni. Lo stesso Bing Bang, ritenuto dagli astronomi come l’inizio dell’Universo quale oggi lo conosciamo, non risale che a 13,7 miliardi di anni fa. Troppo poco, ridicolmente, assurdamente poco, per immaginare una evoluzione naturale delle molecole inorganiche in molecole organiche: qualcuno ha detto, neanche tanto scherzosamente, che, per ipotizzare un evento del genere, ammesso e non concesso che sia possibile anche solo in via teoria, sarebbe stato necessario un temo paragonabile a quello che impiegherebbe una scimmietta, la quale batta a caso sui tasti di una macchina da scrivere, per comporre la Divina Commedia: per comporre, cioè, un’opera di senso compiuto, molto lunga e concettualmente ed artisticamente assai elaborata, avendo quali uniche variabili nel processo di composizione la casualità e il fattore tempo.
È stato necessario che un’altra teoria, la panspermia, formulata per la prima volta dal filosofo greco Anassagora, e ripresa, in tempi moderni, da Lord William Kelvin e da Hermann von Helmholtz, e soprattutto da Svante Arrhenius, indi, in anni a noi ancora più vicini, da Fred Hoyle, astronomo (e scrittore di fantascienza; suoi sono i due famosi romanzi La nuvola nera, del 1957, e A come Andromeda, del 1962) e dal suo collega Nalin Chandra Wickramasinghe, si facesse strada per conto proprio, offendo una diversa spiegazione della comparsa della vita sulla Terra, sempre, beninteso, nel quadro del paradigma evoluzionista, perché, finalmente, ma senza ammettere che si erano buttati via trecento anni per nulla, il mondo scientifico incominciasse a dubitare della bontà della teoria della generazione spontanea, e tornasse a metterla fra parentesi, così come avrebbe dovuto fare sin dalla metà del XVII secolo. In effetti, si era semplicemente spostato il problema dell’inizio, non gli si era data una risposta; e cercheremo di vedere perché. Intanto, comunque, prendiamo atto che, a tempo scaduto da un pezzo, la scienza ufficiale si è degnata di prendersi il disturbo di rivedere ciò che insegnava al pubblico e agli studenti fino a pochi anni or sono, e che, sull’origine della vita, formula oggi un’ipotesi completamente diversa: vale a dire, che la vita è giunta sulla Terra da altri mondi, sotto forma di particelle organiche elementari, che le forze elettriche presenti nell’universo hanno fatto viaggiare attraverso lo spazio, e portandovela da chissà dove. Inutile aggiungere che la stessa teoria si estende a ogni altro pianeta abitato o abitabile, perché è chiaro che quel che può essere accaduto sul nostro pianeta, non si vede perché non dovrebbe rientrare in una modalità generale di diffusione della molecole portatrici di vita. Per intanto, prendiamo buona nota del fatto che la vecchia teoria, sostenuta così tenacemente dai biologi, non è stata rivista e “sostituita” da altri biologi, ma la biologia l’ha semmai “subita” ad opera di scienziati provenienti da altri ambiti: Lord Kelvin, chimico e ingegnere; von Helmholtz, fisico, medico e fisiologo (l’unico, dunque, collegabile, ma solo in parte, alla biologia); Arrhenius, chimico e fisico; infine Hoyle e Wickramasinghe, come abbiamo visto, sono degli astronomi.
Svante Arrenhius (1859-1927), svedese, premo Nobel  per la chimica nel 1903, era già uno scienziato stimato e rispettato, benché alcune sue teorie fossero controverse – era un genio creativo, sovente in anticipo sugli sviluppi della scienza contemporanea - quando, nella seconda parte della sua vita, si dedicò al problema della comparsa della vita sulla Terra, esponendo le sue idee nel libro Il divenire dei mondi, pubblicato a cura dell’Università di Lipsia nel 1908 (titolo tedesco: Das Werden der Welten; edizione inglese, sempre del 1908: Worlds in the Making; the evolution of the Universe, New York-London), libro che fece molto discutere nell’ambiente scientifico e che valse a stabilire quasi definitivamente la teoria della panspermia. Diciamo “quasi” perché, un po’ come il geniale meteorologo tedesco Alfred Wegener (del quale abbiamo già parlato in altri lavori), “imprestato” alla geologia per la teoria della deriva dei continenti, Arrhenius aveva centrato la questione e individuato anche gli agenti e i mezzi della diffusione della vita attraverso lo spazio, ossia le spore cariche di elettricità, ma non disponeva di una serie di elementi per controbatter e le immediate obiezioni, prima fra tutte la nocività della radiazione solare, che avrebbe “ucciso” le molecole viventi prima che potessero raggiungere la superficie del nostro pianeta, o di qualunque altro pianeta disperso nell’immensità dello spazio.
Ecco come Hoyle e Wickramasinghe presentano la linee fondamentali della teoria formulata per la prima volta, in modo abbastanza completo, da Arrhenius, nel loro libro, scritto a quattro mani, Evoluzione dallo spazio (titolo originale: Evolution from Space, Dent & Sons, London, 1981; traduzione dall’inglese di Libero Sosio, Milano, 1983, Gruppo Editoriale Fabbri & C., pp. 43-45):

Per una strana ironia, le idee sviluppate in “Il divenire dei mondi” derivano dalla rigorosa accettazione di una delle più importanti della biologia ottocentesca. Fu Arrhenius ad accettare tale dottrina, e sono stati i suoi oppositori geocentrici a violarla persistentemente. Tale dottrina era stata enunciata da Louis Pasteur, il quale aveva asserito all’Accademia Francese delle Scienze che il concetto di generazione spontanea non sarebbe sopravvissuto al “colpo mortale” che egli stesso gli aveva inferto per mezzo di esperimenti progettati con cura.
Il concetto di generazione spontanea, secondo cui la vita avrebbe origine da miscugli di materiali semplici – terra, aria, acqua -  era persistito dal tempo di Aristotele  (384-322 a. C.) sino alla metà dell’Ottocento. Nessuno pensava ovviamente che animali di grandi dimensioni potessero avere origine in tal modo. Era dato per scontato che un vitello potesse nascere solo da una mucca , anche se nell’”Antonio e Cleopatra” di Shakespeare Lepido dice a Marco Antonio: “Il vostro serpente d’Egitto nasce dal vostro fango per virtù del vostro sole: e così il vostro coccodrillo”.  Era però opinione diffusa che piccoli organismi – lucciole, vermi e larve – avessero origine spontaneamente da semplici materiali inorganici.
Erano stati eseguiti molti esperimenti per dimostrare l’emergere spontaneo della vita, ma quando tali esperimenti erano stati ripetuti adottando precauzioni migliori i presunti risultati erano stati sempre confutati. Già nel 1668 il medico aretino Francesco Redi aveva dimostrato che nella carne in putrefazione non si formano larve se si adotta la precauzione di tenerne lontane le mosche. Divenne sempre più chiaro che, in tutti i casi in cui si supponeva che avesse luogo la generazione spontanea della vita, era sempre presente una qualche forma di precursore vivente, di solito nella forma di un minuscolo uovo. Anche gli organismi più piccoli erano come la mucca e il vitello. Ciascuna generazione di una specie di animali era preceduta sempre da un’altra generazione della stessa specie. Fu questa la dottrina enunciata più di un secolo fa all’Accademia Francese delle Scienze da Louis Pasteur.
Eppure, in virtù di una prestazione notevole di ginnastica mentale, i biologi erano ancora lieti di credere che sulla terra la vita avesse avuto origine attraverso processi spontanei. Si riteneva sì che ogni generazione fosse preceduta da una generazione simile, ma solo finché non si fosse risaliti a epoche sufficientemente remote. In qualche punto lungo la catena doveva esserci un inizio, e l’inizio era una generazione spontanea. Così l’origine spontanea era a un tempo vera e falsa.
La natura contraddittoria di questo ragionamento fu attenuata in apparenza dalla teoria della selezione naturale di Darwin e Wallace. Secondo questa teoria gli animali complessi si evolvono lentamente nel corso di generazioni a partire da organismi semplici. Il primo animale poteva essere stato quindi molto semplice, e la generazione spontanea di un organismo inizialmente molto semplice non sembrava porre problemi così difficili come la generazione degli animali più complessi che vivono oggi attorno a noi.
Questo ragionamento era però illusorio. Gli animali “semplici” possono apparire semplici nella loro figura esterna,  ma nella loro chimica interna sono altamente complessi. […] Il problema più difficile della biologia risiede nell’origine di queste molecole, non nell’evoluzione dio animali apparentemente molto complessi. Il ricorso a un brodo primordiale per superare questo enorme ostacolo è evidentemente un ritorno proprio a quella teoria della generazione spontanea che Pasteur sosteneva di aver distrutto. Nondimeno la maggior parte degli scienziati, fino a oggi, non hanno avuto alcuna difficoltà ad accettare questo tipo di soluzione.
La maggior parte, ma non tutti. Già nell’Ottocento ci furono alcuni scienziati che percepirono questa situazione come contraddittoria. Se la generazione spontanea non era possibile, come aveva asserito Louis Pasteur all’Accademia Francese delle Scienze, non poteva avere avuto luogo. Ogni generazione di ogni specie di organismi doveva essere derivata da una generazione precedente fino a risalire indietro nel tempo a un’epoca anteriore all’esistenza stessa della terra. Ne seguiva perciò che la vita doveva essere provenuta sulla terra dall’esterno, da un’esistenza anteriore in qualche altro posto nell’universo.

Tutto chiaro e spiegato, allora? Non proprio. È strano che scienziati del valore Arrhenius, Hoyle e Wickramasinghe non si siano accorti, in apparenza, che la domanda di fondo: come ha avuto origine la vita, non solo sulla Terra, ma nell’universo?, in realtà non ha ricevuto alcuna risposta; è stata semplicemente spostata indietro nel tempo e lontano nello sazio. Alla variante temporale, già utilizzata dai sostenitori della generazione spontanea, essi hanno aggiunto la variabile spaziale, trasferendo l’evento iniziale della vita in qualche luogo lontano della Galassia, o magari più lontano ancora. Tuttavia, resta inalterata la domanda fondamentale: se la vita non può crearsi da sola; se molecole inorganiche danno, ancora e sempre, molecole inorganiche e giammai potranno dare luogo a delle molecole organiche, per quanto semplici e primitive, perché anche le molecole organiche più primitive e più semplici sono pur sempre immensamente, incommensurabilmente più complesse e articolate delle più complicate fra le cellule inorganiche, come ha avuto principio il fenomeno vita? Evidentemente, non si può spostare il problema ad infinitum; prima o poi, si deve arrivare a un evento iniziale; a meno di voler girare perennemente in tondo, come nella classica storia dell’uovo e della gallina. Arrivati a questo punto, però, è giusto che gi scienziati si fermino; e non importa se lo fanno non per una forma di umiltà intellettuale, ma per mancanza di strumenti d’indagine. Il problema delle origini, e non solo della vita, ma di tutto ciò che esiste, anche “solo” del pensiero, non è di tipo puramente materiale, dunque non lo si può affrontare scientificamente. La scienza studia i fenomeni naturali; ma il problema dell’inizio è di tipo metafisico e teologico…