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La Fabbrica Italiana Contadina, cosa c’è di FICO?

di Francesco Bevilacqua - 18/12/2017

La Fabbrica Italiana Contadina, cosa c’è di FICO?

Fonte: Italia che Cambia

Un mese fa ha inaugurato a Bologna FICO (Fabbrica Italiana Contadina) – Eataly World, la “Disneyland del cibo” voluta da Oscar Farinetti per promuovere le eccellenze della tradizione rurale ed enogastronomica italiana rendendole accessibili a tutti e mostrando al grande pubblico – che, nella sua testa, ammonterebbe a circa 6 milioni di visitatori all’anno – come nascono le primizie italiane.
Anzitutto, gli unici contadini che avevano a che fare con il concetto di “fabbrica” erano quelli che venivano strappati alle campagne dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione dei primi anni del dopoguerra. In campagna non esistono fabbriche, che per definizione sono luoghi in cui si svolgono processi produttivi di massa, standardizzati e meccanizzati, presieduti dall’operaio – e non dal contadino! –, con conseguente e grave rischio di spersonalizzazione e alienazione del lavoratore. Già il nome fa dunque sorgere i primi dubbi.
Ma veniamo ai fatti! Per chi si serve del parcheggio B e accede alla struttura dal lato est, la prima immagine che si presenta è una spianata di casse, che come un imbuto intercettano le persone all’uscita da “Disneyland” per far pagare i loro acquisti. All’interno di FICO infatti si può prendere qualsiasi cosa dagli scaffali delle attività commerciali presenti senza pagare sul momento, riempiendo il carrello e saldando il conto solo all’uscita. Un modo per far perdere al cliente – pardon, visitatore! – la cognizione di cosa sta comprando e quanto sta spendendo?
All’ingresso principale, un imponente portale ci introduce nel “regno della biodiversità”. Per accedere si passa attraverso un mega scaffale su cui sono esposte migliaia di mele Melinda. Sì, proprio la stessa Melinda che in Val Di Non sta avvelenando la popolazione attraverso un massiccio uso di pesticidi, rilevato in uno studio che ha evidenziato una correlazione fra la vicinanza ai meleti e l’insorgenza di patologie e la presenza di sostanze tossiche nell’organismo degli abitanti.
Con qualche dubbio in più, sotto lo sguardo severo di un’enorme mietitrebbia New Holland, entriamo. Su un pannello che accoglie i client… ehm, visitatori, sono elencate le aziende presenti. Alcune ci fanno sorridere, perché mai ci saremmo aspettate di trovarle in un luogo dove viene celebrata la tradizione contadina. Penso al Bagno Fantini di Cervia, uno degli stabilimenti balneari più “in” della riviera romagnola frequentato da VIP e calciatori. Lo incontriamo verso metà percorso, con tanto di spiaggia, sdraio, spritz per un aperitivo e campo da beach volley. Vabbè…
Continuando a scorrere l’elenco delle aziende, troviamo altri nomi che ci fanno sorridere un po’ meno. Come Amadori, produttore industriale di carne finito nell’occhio del ciclone per un servizio di Report che mostrava le condizioni disastrose, dal punto di vista dell’igiene e del benessere degli animali, in cui versava un suo allevamento di suini.
Fra le altre aziende spiccano la Granarolo – colosso del latte che lo scorso anno ha superato abbondantemente il miliardo di euro di fatturato –, Balocco, Eurovo – mezzo miliardo di fatturato, 17 stabilimenti e 6 marchi –, i consorzi di Parmigiani Reggiano, Prosciutto di Parma, Mortadella Alcisa ed LPA Group – grosso marchio di prodotti ittici che si rivolge a GDO e grossisti –, insieme ad altri nomi che con i concetti di “piccolo”, “locale” e “contadino” hanno davvero poco a che fare.
Così come hanno poco a che fare con tali concetti le librerie Coop – Coop Liguria, Nova Coop e Coop Alleanza 3.0 detengono insieme il 40% del pacchetto azionario di Eataly –, le biciclette della Bianchi, gli elettrodomestici della Whirpool e i mobili di design della Kartell. Difficile poi immaginarsi un contadino sfrecciare su una Lamborghini o rilassarsi in un esclusivo acquapark del Gruppo Monti, tanto per citare altre due aziende presenti con i loro spazi.
Insomma, dopo il giro turistico all’interno della “fabbrica contadina” le nostre perplessità sono decisamente aumentate e ci è sembrato invece di aver visitato la “food court” di qualche grande centro commerciale o aeroporto internazionale, studiata per stimolare il consumo piuttosto che per avvicinare i cittadini alla cultura contadina.
Ed è proprio questo il punto: il mondo rurale si poggia su una tradizione che ha un rapporto simbiotico con pratiche, utensili, luoghi ben definiti, che non è possibile asportare e riunire dentro un capannone di periferia. L’agricoltura viene dalla Terra – l’agricoltura È la Terra! – e da essa non si può allontanare. Non la si può studiare, apprezzare e conoscere al di fuori della sua cornice, senza prima essersi calati in quel contesto sociale e culturale che l’ha plasmata nel corso dei secoli.
Farinetti ha commesso l’errore classico della mentalità del consumo: pretendere di commercializzare tutto. Sperare di prendere, suddividere, impacchettare e vendere anche i beni immateriali. Così facendo ha mancato di rispetto a una cultura antica e complessa, trasformando in fenomeni da baraccone i contadini e in show per spettatori annoiati le pratiche agricole che per loro significano la vita.