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Concetto di limite: il katechon

di Manuel Zanarini - 22/03/2018

Concetto di limite: il katechon

Fonte: Italicum

 

Paolo di Tarso, nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2 Tes. 2:6-7), utilizza il termine Katechon  per indicare il potere che tiene a freno l'avanzata dell'Anticristo prima dell'apocalisse finale e della parusia di Cristo.
Il concetto di limite, nel passo appena citato definito come Katechon, è uno dei punti cardini di ogni società tradizionale. L’illimitatezza non è conosciuta in questo tipo di organizzazione sociale e valoriale. Fin dal primo scritto “filosofico”, l’Editto di Anassimandro, il concetto di limite è dichiarato come guida che l’uomo deve tenere. Nella più corretta traduzione di Martin Heidegger, il testo recita infatti: “Ma da ciò da cui per le cose è la generazione, sorge anche la dissoluzione verso di esso, secondo il necessario; esse si rendono infatti reciprocamente giustizia e ammenda per l'ingiustizia, secondo l'ordine del tempo”.  I cosiddetti Pre-socratici, considerano la Natura come Physis, come luogo in cui avviene la Aletheia dell’essere, cioè in cui avviene lo svelamento dell’Essere all’Uomo.  Entro i limiti della Natura, l’azione dell’uomo aveva un senso e da essa prendeva spunto. Come afferma Mircea Eliade, nelle società antiche e tradizionali, le azioni umane acquistano un senso solo come ripetersi di un’azione primordiale considerata sacra, l’autore la definisce infatti archetipo.  E’ quindi dentro i limiti del tempo, concepito come ciclico e scandito da precise cadenze naturali (equinozi e solstizi) che l’agire umano acquista un senso. Non ci si muove lungo una linea semiretta, che ha un’origine scientificamente data (il Bing Bang) e non ha un termine, come accade nelle società moderne come quella in cui viviamo; bensì, all’interno di un ripetersi costante di azioni archetipe che avvengono in corrispondenza del fiorire e appassire dei cicli naturali. La curva è infatti l’emblema delle “cose che avvengono in Natura”, o come diceva Nietzsche  “tutte le cose dritte mentono. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”.
Riprendendo le parole di Anassimandro, non solo il tempo è sempre stato considerando IL limite, l’altro grande cardine da tenere presente è la necessità. L’uomo tradizionale non si percepiva come “creato a immagine e somiglianza di Dio” e in quanto tale staccato e superiore dal resto della Natura. Egli viveva in uno stato olistico con tutti gli altri elementi del Kosmos, che non venivano visti come risorse di materie prime da sfruttare a proprio piacimento ma elementi di un tutt’uno con l’uomo, per cui arrecare danni alla Natura equivale ad arrecarne a sé stessi, in un sistema definibile ecocentrico come sostiene l’ecologia profonda. E’ del tutto ovvio che in un sistema a risorse finite, come l’ecosistema, il credere di poter consumare in modo illimitato equivalga a stare su un treno lanciato a velocità crescente ma su un binario morto … l’impatto letale è inevitabile, rimane solo da stabilire quando questo avverrà. Solamente il “turbo capitalismo” postmoderno, per dirla con De Benoist, può pensare a una società che si basi sul consumo sfrenato, secondo il motto “lavora, consuma, crepa”, senza pensare a porre dei limiti a tale crescita: tutta la Natura è concepita al servizio dell’uomo e se ne può disporre senza freni. A tal riguardo assolutamente esplicativo è l’esempio di Heidegger sulla differenza tra il mulino a vento e la centrale idroelettrica. Entrambi utilizzano l’acqua per generare elettricità, ma il mulino “asseconda” la Natura; mentre la centrale, accumulando l’acqua per utilizzi successivi, “piega” la risorsa idrica a futuri, e potenzialmente illimitati, bisogni dell’uomo (il disastro del Vajont sia esplicativo in senso concreto di tale rischio …). E’ quindi evidente, giova sempre ripeterlo, che fino al trionfo del capitalismo il limite fosse sempre stato considerato come misura invalicabile. Come è stato possibile che un tale concetto ritenuto fondamentale per secoli sia stato abbandonato? Tale risultato è stato possibile grazie alla saldatura di quelle che Diego Fusaro chiama “la destra del denaro e la sinistra dei costumi”. La prima “ala” è rappresentata da quegli ambienti della grande industria multinazionale e della finanza cosmopolita che per aumentare a dismisura – per l’appunto – i propri guadagni hanno bisogno dell’abbattimento di tutti i vincoli e le restrizioni, sia fisici (Stati, dogane, confini, che) che immateriali (culture, tradizioni, lingue, ecc); mentre la “sinistra dei costumi” è rappresentata da rimasugli della grande tradizione socialista del ‘900 che incapace di reagire al crollo del cosiddetto “comunismo reale” ha deciso di abbandonare la tutela dei ceti più poveri attraverso i diritti sociali comunitari per erigersi a paladina dei diritti individuali. La seconda di queste “ali”(la sinistra) ha fornito alla prima (la destra) quella che Marx chiama la sovrastruttura simbolica – grazie alla distruzione della famiglia tradizionale, l’abbattimento dei confini e della sovranità nazionale, l’esaltazione del homo migrans, la precarizzazione come nuovo stile di vita, ecc – che “convince” la massa degli sfruttati ad aderire al mondo e ai valori vigenti e che ovviamente è esclusivamente a favore degli sfruttatori appunto appartenenti alle elites industriali e ancor più finanziarie. E’ in quest’ottica che vanno lette le battaglie per lo ius soli, i matrimoni omosessuali, la “produzione” e la successiva accoglienza della migrazione di massa, la “guerra alla religione”, ecc a cui stiamo assistendo. Non sono in ballo legittime lotte a discriminazioni o per diritti negati, ma la creazione di atomi sociali – che potremmo definire monadi utilizzando il lessico di Leibniz - , di consumatori sradicati e globalizzati, che parlino una stessa lingua, che non abbiano sesso, che non abbiano tradizioni o nazionalità, in modo che questo nuovo homo migrans et consumans pensi solo al “lavora, consuma, crepa” senza avere alcuna difesa di fronte alla forma-merce oggi dominante. Questa opera massiccia e costante di demolizione di ogni vincolo ha portato non solo al trionfo del capitalismo finanziario apolide (quello dei mercati, spesso drogati, che generano bolle speculative e delle multinazionali che muovono masse di lavoratori sradicati e precarizzati) ma anche alla caduta di ogni limite etico, morale ed educativo. Dopo il ’68, è stato scardinato il sistema valoriale, e potremmo dire istituzionale, che aveva rappresentato un baluardo di resistenza italiano: la famiglia, la scuola, le istituzioni comunitarie, ecc. Ma alla sua demolizione non si è assistito a una “sostituzione” con altri valori, che non siano, come detto prima, l’esaltazione dell’individuo incitato a soddisfare ogni proprio desiderio (peraltro creato ad arte dal sistema stesso) senza ogni limite (ovviamente purché abbia i soldi per poterlo fare). Ognuno si sente in diritto di non rispettare nulla e nessuno e di sfogare ogni proprio istinto senza limite alcuno.
Di fronte a questo scenario desolante, quale può essere il primo passo da compiere come gesto rivoluzionario? La risposta penso non possa altra essere che spezzare la grande narrazione di cui abbiamo parlato finora e cominciare a porre dei limiti all’economia e alla finanza in primis – da assoggettare alla politica e ad un arricchimento ben delimitato – e al degrado etico e morale imposto dal libero mercato. A livello sociale l’unica risposta che possa opporsi a tale strapotere del capitalismo globalizzato può essere fornita da una rete planetaria di comunità solidali tra loro ma che abbiano tra di loro di limiti – che in greco veniva definito peras – che permettano all’individuo, che come ci ricorda Aristotele nella Politica, è Zoon Politikon, quindi, tra le sue caratteristiche fondamentali ha quello di essere un “animale socievole”, cioè che nasce e si esplica solo all’interno di una comunità, e che non esiste come “unità monade”. A loro volta le varie comunità si definiscono tramite il proprio genius loci, dato da un legame molto stretto con le proprie tradizioni e con l’ambiente in cui sorgono, con cui si trovano in un contesto ecocentrico come accennato prima. Solo così l’umanità potrà dotarsi di un katechon che possa arginare il capitalismo globalizzato oggi dominante e ritrovare un modo di vivere umano.