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Fake News. Come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso

di Enrico Galoppini - 08/04/2018

Fake News. Come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso

Fonte: Il Discrimine

Se il problema delle “notizie false” si riducesse ad una questione di “deontologia professionale”, e cioè di “professionisti dell’informazione” dediti alla divulgazione di falsità, potremmo stare ancora in un certo senso tranquilli.

D’altra parte, come può facilmente arguire chi – come il sottoscritto – ha sostenuto, col massimo dei voti, un esame di Storia del giornalismo, non può far finta di non aver capito che i giornali, ovvero le “gazzette”, nacquero non tanto per soddisfare la curiosità di un pubblico, quanto per favorire gli interessi dei loro fondatori, strettamente connessi con quella “borghesia” emergente che contestava “l’Antico Regime” e ad esso mirava a sostituirsi.

Ma anche volgendo lo sguardo a tempi più remoti, ci possiamo rendere conto che chi ha posseduto l’informazione ha, da sempre, controllato la situazione. Si pensi, giusto per fare un esempio noto ma non adeguatamente considerato in tutti i suoi risvolti, che la “rivoluzione” della stampa a caratteri mobili ebbe come conseguenza più importante e decisiva per i successivi sviluppi della “modernità” la moltiplicazione nelle varie nazioni europee delle traduzioni della Bibbia, il che pose le basi del nazionalismo e delle identità nazionali in opposizione all’ideale imperiale.

Chi controlla l’informazione – parafrasando Orwell, che l’Autrice del libro ha letto attentamente – ha la possibilità di controllare il presente, e dunque di giocare “d’anticipo”, con un notevole vantaggio rispetto a chi non ha gli strumenti per incidere sulla realtà con la “produzione” di notizie, molto o poco importanti, vere o false che siano. Perché le notizie, in fondo, non esistono così come comunemente le s’intende. Che cos’è, a ben considerare la cosa, un “fatto”? Per coerenza e spingendo il meccanismo delle “notizie” fino all’assurdo, se il mondo dell’informazione, preso nel suo complesso, dovesse davvero dare conto di tutti i “fatti” che i verificano, dovrebbe riferire fin nei minimi particolari tutto quel che accade, replicando letteralmente la vita di tutto e tutti, sia come individui che come collettività. Ora mi si obietterà che a nessuno interessa un fico secco se un tale ha comprato un cagnolino, o se un tal’altro s’è messo un vestito nuovo. Ma ciò può essere smentito immediatamente, se ci pensa all’interesse che alcuni media intendono suscitare sul cagnolino o il capo di vestiario alla moda di questo o quell’altro “vip”.

Se non si è convinti di quest’esempio riguardante cose frivole, si pensi allora a “fatti” che consistono in gravi incidenti che dovrebbero interessare un po’ di più. Tutti i gravi incidenti meriterebbero di essere sottoposti all’attenzione generale; invece no, perché chiunque può constatare che praticamente ogni giorno qualcuno muore sul lavoro, ma questo tipo di notizie la maggior parte delle volte viene relegato nelle “notizie locali”. Questo perché ci sono “ordini di scuderia” che servono a coprire una deliberata politica volta a minimizzare i rischi di chi svolge mansioni lavorative umili e pagate male, eppure molto più utili, per la collettività, di quelle dei suddetti “vip” dei quali si viene sempre informati su ogni loro “tendenza”.

Vogliamo poi parlare del “terrorismo”? Alcune vittime sembrano essere più vittime delle altre (si pensi a quelle americane degli “attacchi dell’11 settembre”, da un lato, e a quelle palestinesi della pluridecennale repressione sionista, dall’altro), e lo stesso dicasi di perpetra stragi in giro per il mondo col pretesto della “guerra al terrorismo”. Quasi nessuno sa di quel che sta avvenendo in Yemen, semplicemente perché nessun “autorevole media” ha mai fatto vedere i morti yemeniti dei bombardamenti dell’aviazione saudita, eppure si tratta di bombardamenti a tutti gli effetti “terroristici” effettuati su popolazioni civili, i quali dovrebbero suscitare unanime condanna nelle medesime sedi dalle quali si elevano “moniti” e “risoluzioni” all’indirizzo dell’“Hitler” di turno della propaganda occidentale.

Quelli che ho proposto sono solo pochi esempi, e nemmeno tra i più clamorosi, per far comprendere come “il fatto” mediaticamente rilevante non sia, per l’appunto, ciò che “è accaduto”. Il “notiziabile” dipende dunque da un unico criterio: la convenienza a riportare o meno (oppure parzialmente e/o mischiato a falsità) un qualche evento, ovviamente a tutela degli interessi di cui il tal giornale o canale televisivo si fa difensore.

Talvolta, queste stesse “prostitute dattilografiche” s’inventano di sana pianta il “fatto”, ed è così che si entra nel merito delle cosiddette “fake news”. Le quali, tuttavia, non sono – nelle intenzioni di chi ha coniato l’espressione e l’ha resa di pubblico dominio incoraggiando il consueto fuorviante “dibattito” – quelle delle televisioni e dei giornali “mainstream”, bensì quelle di quella specie di antro infernale che sarebbe diventato internet da quando i “fabbricanti di notizie” (o “padroni del discorso”) hanno deciso che chi scrive, e soprattutto pensa (!), senza l’imprimatur ufficiale, sia per questo ascrivibile alla categoria dei “bufalari” e “disinformatori”. Una galleria di mostri che insidierebbero il “vivere civile” ed il “moralmente corretto” e che vanno considerati alla stregua di chi, durante la guerra, veniva accusato di “intelligenza col nemico”.

D’altronde, è la stessa Enrica Perucchietti, autrice del libro di cui qui caldeggiamo la lettura, a rilevare quanto oramai l’informazione che esce da giornali e tivù (più le loro propaggini sulla rete) sia sintonizzata sul modello di quella propaganda di guerra che in passato restava circoscritta ai periodi di “guerra guerreggiata”. Pertanto ogni fandonia, anche la più assurda e illogica, diventa giusta e sacrosanta se c’è da difendere “il Bene” incarnato in coloro che rappresentano “i Nostri Valori”, “l’Occidente”, “la Scienza”, “la Civiltà”.

Di fronte allo spiegamento di questa potenza di fuoco, c’è da chiedersi quale sia la reale posta in gioco. Si tratta forse di uno stato ipnotico da mantenere con massicce dosi di “notizie”? Si ha forse paura che, diminuendo la ‘terapia’, qualcuno di troppo riesca a riprendersi dall’incantesimo? Sorge il dubbio che in tutto questo agitarsi della cosiddetta “informazione” al servizio di interessi turpi ed inconfessabili vi sia la chiara e distinta sensazione che la situazione stia sfuggendo di mano, e cioè che sempre meno gente si beve le loro fandonie megagalattiche. Sembrerà strano, ma non lo è affatto per chi ha capito come funziona l’eterogenesi dei fini: nel momento in cui la propaganda occidentale sembrava onnipotente (l’11 settembre 2001, al culmine di quegli anni Novanta che segnarono il trionfo dell’unipolarismo statunitense) stava per cominciare il suo inesorabile declino. Oggi, a distanza di diciassette anni, basta leggere anche solo i commenti a piè di pagina di un qualsiasi giornale impegnato da mane a sera nel demonizzare la Russia e il suo presidente, per saggiare il livello di gradimento che Putin riscuote presso un pubblico che, al contrario, se tutta questa propaganda russofoba cogliesse nel segno, dovrebbe essere in blocco filo-americano.

Questo per dire che in tempo di “crisi” – quando chi l’ha innescata l’ha fatto per scardinare tutto, dal sistema economico a quello delle credenze, fino al nucleo familiare e alla stessa identità sessuale – può accadere che un pubblico che ci si attenderebbe lobotomizzato può non ritrovarsi nella narrazione proposta dai media dello stesso regime che, insieme alla “crisi” e alla “globalizzazione”, sta prescrivendo l’ineluttabilità di una guerra contro la Russia.

In altri casi, purtroppo, la propaganda delle menzogne sistematiche dell’informazione “all news 24” ha la meglio, o almeno sembra averlo. È il caso dell’islamofobia, che riesce a conquistare parecchi cuori per il semplice fatto che l’Islam è, a tutti gli effetti, dietro la patina delle distorsioni degli uni (gli occidentali) e degli altri (i musulmani estremisti), uno degli oggetti più sconosciuti che esistano oggigiorno per un pubblico abituato a ragionare in termini di “Progresso contro Tradizione”, “Civiltà contro Barbarie” ed altre idee radicate nel profondo.

Ma a parte questo, se per un verso mi sento di sposare il pessimismo di Enrica Perucchietti, con la quale più volte abbiamo condiviso il classico “ma chi ce lo fa fare?”, per un altro credo non si possa far altro che dar battaglia e sperare.

In primo luogo, perché quello che proprio dà maggior fastidio a Lorsignori è constatare che c’è ancora qualcuno che non è affatto disposto ad arrendersi. Arrendersi alla propaganda unisex, allo scientismo e alla sua concezione riduzionista dell’essere umano, all’immigrazionismo acritico e alla retorica dei “diritti umani”. Arrendersi all’“inevitabile” e all’“ineluttabile”. Perché è sul cambiamento antropologico profondo – dopo aver picconato la religione, aggiungo io – che questa propaganda punta oggidì tutte le sue carte. Non arrendersi significa continuare a pensare, e pensare non può che essere il crimine per antonomasia quando lo psicoreato diventa la scusa con cui mettere il bavaglio a tutto e a tutti.

Inutile (e qui concordo con l’autrice del saggio) farsi illusioni sulla disponibilità delle “masse” a darsi una salutare svegliata. Sono troppi, e troppo potenti, i condizionamenti ed i ricatti che agiscono, in maniera consapevole e non, che impediscono ai più di rendersi conto della portata dell’inganno in atto col sistema dei media. Già il fatto che in pochi si chiedano, prima di dar per buona una “notizia”, di chi è il tal giornale o la tal tivù la dice lunga sul livello d’ingenuità del destinatario medio di questa “informazione”. Ma che si vuol pretendere da persone che tutto il giorno sono aggiogate ad un sistema che toglie loro la cosa più preziosa che hanno, il tempo? E per pensare ci vuole tempo. Oltre che (poiché non siamo disposti a concedere alcun diritto al paradigma egualitarista) una disposizione a porsi dei dubbi, delle domande. Quel famoso “senso critico” tanto incensato fin dai banchi di scuola e sistematicamente represso una volta che quello stesso studente di belle speranze si affaccia alla “vita vera”. In certi ambienti di lavoro è un lusso avere delle idee!

C’è da chiedersi anche perché, credo da sempre, i dominanti hanno una gran paura delle idee. Lo psicoreato altro non è che il punto d’arrivo della repressione che chi domina ha esercitato sui dominati per mantenerli in una condizione per esso comoda e di rendita. Ma che cos’è – considerata sotto quest’aspetto – la Passione di Gesù se non il modello da cui ha tratto ispirazione tutto ciò che è avvenuto in seguito in termini di “processi alle idee”? Gli elementi ci sono tutti: c’è un Uomo che afferma la Verità e che dice “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32). Ovviamente Gesù non si riferiva alle “notizie”… Ma se consideriamo l’operato del Sinedrio con le sue “fake news”, l’assurdo e scandaloso processo intentatogli e il successivo supplizio, si può tranquillamente affermare che tra l’affermazione di una qualsiasi “verità” e il potere non è mai corso buon sangue.

Noialtri, senza alcuna vanagloriosa pretesa di assimilarci alla figura di questo Maestro, che abbiamo in odio la falsità e detestiamo il raggiro in forma organizzata architettato con questi “media” da chi “governa il mondo”, abbiamo comunque compreso che alla base delle menzogne mediatiche c’è un problema, che in primo luogo è di ordine “spirituale”, se con quest’ultimo termine vogliamo mettere in guardia dai pericoli che l’abitudine alla bugia e alla manipolazione degli altri per fini ignobili è in grado di provocare, fino al punto di non ritorno, per la propria integrità più intima e profonda. Ai mentitori professionisti, che con le loro fandonie occultano “verità” scomode e coprono le malefatte dei loro padroni bisogna infatti ricordare una sola cosa: che a forza di mentire e di adeguarsi all’andazzo che non va bene si finisce dritti all’Inferno.

È noto che uno degli artifici più insidiosi del Diavolo è di far credere che non esiste. E con esso l’Inferno, tanto che nella coscienza dei moderni esso ha finito per rappresentare il prototipo del “fake”. Si è cominciato da lì, per poi far credere che “Dio non esiste” (questione, peraltro, posta male), ed una volta scardinate le basilari certezze non si poteva che arrivare a questo festival dell’abbindolamento e della presa in giro, con mezzi sofisticatissimi che attaccano l’essere umano sul piano psichico proprio perché non è più protetto adeguatamente. Troppe fenditure si sono prodotte in quella ‘muraglia’ che la fede e la preghiera riuscivano a tenere in piedi.

Per questo, fermo restando che tutto quel che Enrica Perucchietti afferma nel suo saggio è corretto e non fa una piega, aggiungerei che l’arma più formidabile verso le menzogne mediatiche di cui disponiamo è… ignorarle, nella misura in cui, anche se non riusciamo più a farcele scivolare addosso una volta che si è stati morsi dalla tarantola del “dubbio”, non le si deve concedere un’importanza che non hanno, perché in un modo o nell’altro questa propaganda non è la Verità, mentre solo la Verità, quella Verità che alberga solo in un cuore puro, rende liberi. Liberi da tutto, e dunque anche dalle “fake news”.