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Siamo schiavi senza catene? Huxley la chiamava 'dittatura dolce', una manipolazione invisibile e capillare

di Enrica Perucchietti - 10/04/2018

Siamo schiavi senza catene? Huxley la chiamava 'dittatura dolce', una manipolazione invisibile e capillare

Fonte: unoeditori

La lezione di Aldous Huxley sul futuro

In una lettera del 21 ottobre 1949, lo scrittore Aldous Huxley ringraziava l’ex allievo dell’Eton College, George Orwell, per avergli spedito una copia del suo nuovo romanzo, 1984. Huxley si mostrava entusiasta del manoscritto ma si permetteva di notare la differenza sostanziale tra il modello di dittatura “dolce” immaginato da lui 17 anni prima nel romanzo distopico Il mondo nuovo, e quello invece cupo e “sadico” descritto da Orwell, spiegando cosa, secondo lui, sarebbe avvenuto nel prossimo futuro:

«Credo che le oligarchie troveranno forme più efficienti di governare e soddisfare la loro sete di potere e saranno simili a quelle descritte in Il mondo nuovo».

 

Huxley si mostrava convinto che i governanti avrebbero assunto la forma della dittatura “dolce”, in quanto avrebbero trovato nell’ipnotismo, nel condizionamento infantile e nei metodi farmacologici della psichiatria un’arma decisiva per piegare le menti e il volere delle masse.

Un’ipotesi che il romanziere inglese avrebbe confermato nel 1958 nel suo saggio Ritorno al mondo nuovo. In estrema sintesi, il potere si sarebbe presto convinto a ricorrere all’ipnosi e alle tecniche di condizionamento farmacologico per controllare e manipolare le masse, in modo da attuare quella che Huxley definiva «the ultimate revolution»:

 

«Entro la prossima generazione chi tiene le redini del mondo scoprirà che […] la sete di potere può essere soddisfatta nella sua pienezza inducendo le persone ad amare il loro stato di schiavitù, piuttosto che ridurle all’obbedienza a suon di frustate e calci. Insomma, penso che l’incubo descritto in 1984 sia destinato a evolversi in quello descritto in Il mondo nuovo, se non altro come esito di una necessità di maggiore efficienza».

 

La manipolazione dolce: schiavi senza catene

Ai metodi repressivi oggi si preferisce (ancora) affiancare la manipolazione “dolce” volta a far credere ai cittadini, secondo la lezione di Huxley, che costoro siano liberi di scegliere quando invece tutte le loro decisioni vengono decise e orientate dall’alto. In entrambi i modelli di totalitarismo, cupo e dolce, è però fondamentale la propaganda di cui i media mainstream si fanno docile cassa di risonanza. Nessun regime può infatti sostenersi senza di essa, così come, paradossalmente, le democrazie occidentali fanno ricorso proprio alla manipolazione capillare dell’opinione pubblica.

Nella società democratica le opinioni, le abitudini e le scelte delle masse vengono cioè indirizzate, come spiegava nel 1928 Edward Bernays – considerato il fondatore delle Pubbliche Relazioni −, da un «potere invisibile che dirige veramente il Paese». Secondo Bernays la propaganda è fondamentale per “dare forma al caos”. Le tecniche usate dal potere per plasmare l’opinione pubblica sono state inventate e sviluppate negli anni, spiegava Bernays, «via via che la società diventava più complessa e l’esigenza di un governo invisibile si rivelava sempre più necessaria».

 

La sorveglianza tecnologica invisibile e capillare

Quello che cambia nell’attuale società rispetto a quella immaginata da Orwell o dal sistema di controllo panottico, è che il controllo sociale, grazie da un lato alla sorveglianza tecnologica (ne abbiamo avuto qualche assaggio con lo scandalo di Cambridge Analytica) e dall’altro a tecniche di propaganda sempre più sofisticate, si è reso invisibile, permanente e capillare e investe tutti in quello che il sociologo Marshall McLuhan ha denominato il “villaggio globale”. Oggi, grazie a una fitta rete di controllo che avviene anche grazie al web, ogni individuo può spiare il prossimo arrivando persino a “segnalarlo” e a tradirlo schierandosi di fatto col potere invisibile (come nei regimi). Tutti controllano tutti e di fatto si mantiene l’ordine anche grazie all’omologazione dei cittadini che non si rendono conto di essere solo le pedine di uno schema di controllo più grande di loro.

 

Il governo invisibile e la manipolazione di massa

Con l’avvento della moderna società di massa il potere ha dovuto esercitarsi su un numero sempre maggiore di persone. L’arte del controllo ha finito per divenire scienza delle Pubbliche Relazioni o, meglio, una “scienza della manipolazione” di sconcertante raffinatezza che riesce a influenzare comportamenti e modi di essere, a volte senza nemmeno dover fare uso della coercizione fisica (pensiamo al fenomeno degli spin doctors).

Come anticipato, Bernays parlava di «tecniche usate per inquadrare l’opinione pubblica» portate avanti da un “governo invisibile”, facendo eco a quanto aveva già dichiarato nel 1884 il primo ministro britannico Benjamin Disraeli:

«Il mondo è governato da tutt’altri personaggi che neppure immaginano coloro il cui occhio non giunge dietro le quinte».

Il potere oggi, per risultare maggiormente efficace, preferisce infatti rimanere “nell’ombra”, palesandosi il meno possibile.

Un potere nascosto, ha l’indubbio “pregio” di rimanere praticamente inattaccabile e nascosto. Può anche, se vuole, favorire ora l’uno ora l’altro dei “poteri visibili” e persino, se lo ritiene necessario, favorire contemporaneamente due schieramenti apparentemente opposti che potranno così, più o meno incoscientemente, perseguire in maniera diversa l’unico fine a cui mira tale Potere (il metodo del Divide et Impera).

Infine, un potere nascosto (o comunque non immediatamente identificabile dai più) ha la possibilità di fare quello che nessun governo o potere visibile può compiere fino in fondo: manipolare quasi alla perfezione i sentimenti e la mentalità di massa senza dare l’impressione di farlo; controllare i popoli entrando nel loro immaginario, plasmando cioè le menti, le coscienze degli individui.

 

Fake news: dividere per… censurare

La questione del controllo attraverso la manipolazione dell’immaginario e dell’emotività delle masse di cui parlo in Fake news (Arianna Editrice) è fondamentale per comprendere gli attuali attacchi alla libertà individuale di cui siamo testimoni in quest’epoca.

In questo scenario si inserisce infatti l’attuale battaglia mainstream contro le cosiddette fake news che sembra riecheggiare l’operato del Miniver orwelliano e sembra riproporre una nuova forma di Maccartismo 2.0: si tratta cioè di una articolata caccia alla streghe che ha come obiettivo la repressione del dissenso. Essa strumentalizza la questione del cyber bullismo da una parte e il dilagare di bufale sul web per portare all’approvazione di una censura della Rete arrivando a ipotizzare l’introduzione del reato d’opinione, una forma moderna di psicoreato.

Lo scopo è quello di continuare a manipolare l’opinione pubblica e in particolare coloro che sono considerati “semplici spettatori”, ossia quel gregge (noi, il popolo) che va orientato nelle proprie scelte in modo che non si svegli e soprattutto che non esprima il proprio pensiero in modo libero e critico. Lo scopo, citando ancora Chomsky, è che «il gregge disorientato continui a non orientarsi» .